Il caso

«Dalla Curia ci aspettiamo delle scuse»

Parla un familiare di uno dei ragazzi che avrebbe subito gli atti sessuali dei quali è accusato don Rolando Leo
x cappellano del Collegio Papio di Ascona è in carcere dallo scorso 7 agosto. © CdT/Chiara Zocchetti
Spartaco De Bernardi
28.03.2025 06:00

«Vogliamo che sia fatta giustizia, è chiaro. Ma ci preme anche che la Curia, in particolare il vescovo, ci scriva una lettera di scuse per quanto accaduto. Lettera che fino ad ora, nonostante la nostra insistenza, non è ancora giunta». È un fiume in piena il familiare di uno dei ragazzi che avrebbe subito le attenzioni improprie e inopportune da parte di don Rolando Leo, il sacerdote in carcere dal 7 agosto scorso con l’accusa di coazione sessuale, atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere, atti sessuali con fanciulli e pornografia. Reati - in alcuni casi commessi ripetutamente, in altri solo in un’occasione - dei quali il presbitero, in regime di espiazione anticipata della pena al carcere della Stampa, dovrà rispondere di fronte ad una Corte delle Assise criminali.

Il rinvio a giudizio dell’ex cappellano del Collegio Papio di Ascona, firmato la settimana scorsa dalla procuratrice pubblica Valentina Tuoni, non allevia affatto le sofferenze del ragazzo che dovrebbe essere l’ultimo, in ordine di tempo, ad esser stato vittima degli atti sessuali contestati al sacerdote: li avrebbe subiti nel 2023. E nemmeno quelle della sua famiglia, che si è costituita accusatrice privata nel procedimento penale. «Con don Rolando non vogliamo avere più nulla a che fare», continua il familiare della presunta vittima, ribadendo che le scuse della Curia potrebbero portare un po’ di conforto, almeno in parte. Conforto che ha cercato altrove.

«Devo buttar fuori tutta la rabbia che ho in corpo»

«L’ho trovato nella “Rete l’abuso”, il portale italiano che raccoglie le testimonianze di chi è stato vittima di abusi da parte di appartenenti al clero», racconta sempre il familiare della presunta vittima di don Rolando Leo. Il progetto al quale si riferisce nasce nel 2010 da un gruppo di attivisti - vittime e professionisti volontari, sparsi su tutto il territorio italiano - che hanno formato non solo una rete di supporto alla quale le vittime possono rivolgersi, «ma anche un importante deterrente per evitare che la chiesa “nasconda” i preti pedofili», si legge sul sito dell’associazione. «Ho bisogno di buttar fuori tutta la rabbia che ho in corpo», aggiunge il nostro interlocutore, il quale s’immagina che anche le altre famiglie delle presunte vittime del sacerdote si trovino nelle medesime condizioni. Famiglie alle quali l’amministratore apostolico, vescovo Alain de Raemy, ancora una settimana fa ha espresso la sua vicinanza e quella di tutta la Curia in occasione della conclusione delle indagini riguardanti gli addebiti mossi nei confronti di don Rolando Leo. Nella nota stampa, il vescovo dichiara anche di condividere con tutti coloro che sono toccati dalla vicenda la dolorosa sofferenza vissuta, nonché di assicurare la costante disponibilità di ascolto e supporto. Parole, quelle di monsignor Alain de Raemy, che non sembrano bastare al familiare di una delle presunte vittime, il quale ribadisce che «quello che vogliamo è ricevere le scuse dal vescovo per tutto quanto abbiamo vissuto e stiamo vivendo tuttora».

In questo articolo: