Dalla lettera di monsignor Alain de Raemy alla fine del celibato per i sacerdoti
Una lettera indirizzata ai fedeli della diocesi di Lugano è stata letta oggi, dai celebranti, nelle messe domenicali in tutto il cantone. Una lettera nella quale il vescovo Alain de Raemy, amministratore apostolico della curia ticinese, ha voluto ricordare - senza però chiedere perdono - «il terremoto delle rivelazioni» sugli abusi compiuti da sacerdoti e religiosi.
Annunciata già nella conferenza stampa in cui lo stesso de Raemy aveva parlato con i giornalisti dell’ormai notissimo rapporto dell’Università di Zurigo, la lettera ai fedeli è una sorta di chiamata a raccolta del popolo di Dio attorno al messaggio più autentico del Vangelo: «In verità vi dico, tutto quello che avete fatto a uno solo di questi fratelli più piccoli, l’avete fatto a me», scrive il vescovo citando Matteo (25,40), e rievocando «la tanta sofferenza» causata da «altrettanta inaccettabile indifferenza e da molta colpevole violenza».
La Chiesa, nel suo insieme, non può tacere né ignorare quanto accaduto, afferma de Raemy. Ed è chiamata, di conseguenza, a una riflessione comune che sia aperta, sincera, senza nascondimenti. Un modo per «rinnovare la propria fede in questi giorni di commozione, di rabbia e forse anche di disperazione per l’immisurabile sofferenza di ogni persona vittima di abuso - bambini, giovani e adulti - e per i molti che sono stati manipolati e trascurati proprio dove avrebbero dovuto trovare rifugio e protezione, proprio dove avrebbero dovuto trovare il buon Samaritano».
Soltanto «l’impegno per la verità ci farà liberi», sottolinea ancora de Raemy, motivo per cui egli stesso ha deciso di invitare a un momento di preghiera comune i fedeli e di incontrare, se lo vorranno, nelle prossime settimane, tutti coloro i quali in qualche modo sono stati vittime di violenza.
L’intervista
Ma nella prima domenica di riflessione su quanto emerso dallo studio dell’Università di Zurigo a proposito delle violenze nella Chiesa, ha fatto molto rumore anche l’intervista rilasciata alla Sonntagszeitung da Renata Asal-Steger, presidente della Conferenza centrale cattolica (RKZ) e componente dell’organismo che risarcisce le vittime di abusi.
Asal-Steger ha chiesto un deciso cambio di passo delle gerarchie ecclesiastiche elvetiche non soltanto sul tema della ricerca della verità sui tanti casi di violenze emersi, ma anche sulla «partecipazione delle donne, la separazione dei poteri nel diritto canonico, la morale sessuale. Dobbiamo ripensare tutto questo se vogliamo risolvere il problema» ha detto, ricordando il processo sinodale mondiale avviato ormai da qualche tempo da papa Francesco.
Secondo la presidente della RKZ, un passaggio fondamentale sarebbe la fine del celibato obbligatorio. «A coloro che trovano questo stile di vita giusto per sé stessi dovrebbe essere permesso di continuare a viverlo, ma non dovrebbe più essere obbligatorio per la vocazione sacerdotale», ha insistito Renata Asal-Steger, toccando in realtà uno dei punti più controversi della discussione interna alla Chiesa, sul quale lo stesso pontefice argentino non ha mai mostrato alcun segnale di apertura.
La presidente della RKZ chiede risposte rapide perché, dice, «non escludo la possibilità che in futuro ci rifiuteremo di pagare i soldi dei vescovi se c’è troppo poco movimento. Il cantone di Lucerna, dove lavoro, consegna l’1% del gettito delle tasse ecclesiastiche alla diocesi di Basilea. Se tutti e dieci i cantoni della diocesi partecipassero a un boicottaggio, al vescovo mancherebbero 3,8 milioni di franchi: non sarebbe più in grado di svolgere le sue funzioni».
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