Confine

Dalla Svizzera all'Italia con centinaia di chili di cannabis: c'era un vivaio in Ticino?

Nell’inchiesta durata quasi un anno e mezzo la Guardia di Finanza ha pizzicato più volte due uomini, padre e figlio: in totale sono stati sequestrati 408 kg di prodotti derivati dalla coltivazione di cannabis – È possibile che il figlio, residente nel Mendrisiotto, avesse un vivaio in zona
©ROBIN VAN LONKHUIJSEN
Stefano Lippmann
05.03.2025 16:15

Era da più di un anno che la Guardia di Finanza del Comando provinciale di Como li teneva d’occhio. E, in questo anno e mezzo circa, sono rimasti incastrati più volte nelle maglie della rete delle autorità. Tanto che, alla fine dell’inchiesta, i militari italiani sono riusciti a sequestrare 408 chilogrammi di prodotti derivati dalla cannabis. Il tutto, a cavallo del confine. Dal Ticino, insomma, i prodotti finivano in Italia, ma non solo.

L’inchiesta delle Fiamme Gialle ha portato alla denuncia di due uomini – padre e figlio, di nazionalità italiana – responsabili, appunto, del traffico illecito di stupefacenti. Nel complesso, tra gli oltre 4 quintali di prodotti sequestrati in più occasioni, sono stati rinvenuti infiorescenze, oli e resine derivati dalla cannabis nonché panetti di hashish. Di questi, circa 280 chilogrammi – dopo le analisi chimico-tossicologiche – con principio attivo di THC oltre al valore consentito in Italia, ovvero lo 0,5% (in Svizzera la percentuale consentita è dell’1%).

Quei sospetti sul vivaio

Stando alle informazioni che abbiamo potuto raccogliere sentendo gli inquirenti italiani, non è da escludere – sebbene non vi siano prove certe – che la cannabis possa essere stata coltivata in Ticino. Una delle due persone denunciate a piede libero – il figlio, che sarebbe residente nel Mendrisiotto – aveva infatti un vivaio nel nostro territorio.

Tra alberi, fiori e ortaggi è possibile che ci fosse, dunque, anche una coltivazione di cannabis. Siamo nel campo delle ipotesi perché ad oggi – ci confermano da oltre confine – non sono state coinvolte le autorità ticinesi e dunque non sono stati effettuati controlli mirati alle nostre latitudini.

Staffette e telecamere

I prodotti, come detto, avevano quale prima destinazione l’Italia. Per riuscire a varcare il confine e tentare di eludere i controlli, il figlio era supportato dal padre, residente a Roma ma con domicilio nella provincia di Milano.

Mettevano in atto quella che in gergo si chiama la «staffetta». In sostanza il padre partiva in avanscoperta e con il veicolo «vuoto» verso uno dei valichi cosiddetti minori. A pochi minuti di distanza si trovava il figlio, in questo caso alla guida del veicolo con il carico prezioso. Il primo, di fatto, controllava che la strada fosse libera da eventuali controlli. Che il percorso fosse «pulito». Questo senza fare i conti con i sistemi di videosorveglianza attivi alle dogane ad esempio di Crociale dei Mulini (il valico di Marcetto a Novazzano), quello di Maslianico o quello di Drezzo (Pedrinate).

L’occhio vigile – hanno spiegato le Fiamme gialle in una nota stampa – dava conferma di diversi transiti anomali da parte degli indagati, soprattutto in orari notturni e alle prime luci dell’alba.

In Toscana ma non solo

Per arrivare a sequestrare oltre quattro quintali di merce i due, come detto, sono stati pizzicati più volte. Trattandosi in buona parte di canapa light, non sarebbe stato difficile produrre la necessaria documentazione.

In realtà «l’assenza di documentazione di trasporto e l’incongruenza delle dichiarazioni fornite sia sul luogo di origine che di destinazione finale della merce» ha insospettito i finanzieri che, di riflesso, hanno avviato i necessari approfondimenti investigativi finalizzati alla ricostruzione dell’illecita filiera. Esercizio riuscito perché è emerso che la merce, una volta varcato il confine, veniva spedita attraverso ignare società di logistica a centinaia di clienti finali.

Gli inquirenti hanno tracciato spedizioni verso attività commerciali situate in Toscana e in Emilia Romagna, come pure in Repubblica Ceca, Ungheria e Austria.

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