Diritti umani, la Svizzera sotto esame dell'ONU
Il 10 dicembre di ogni anno si celebra la Giornata mondiale dei diritti umani, ricorrenza ormai da tempo distante dai tradizionali canoni della pura commemorazione: troppi, nel mondo, gli scenari drammaticamente concreti di violazione o di negazione delle più elementari regole della convivenza civile e politica. Il passaggio storico del 10 dicembre 1948, giorno in cui la “giovane” Assemblea generale delle Nazioni Unite votò la Dichiarazione universale dei diritti umani, non si è purtroppo tradotto nell’estensione universale delle garanzie di libertà e di emancipazione.
Anche per questo, nel tempo, le Nazioni Unite hanno tentato di consolidare la Dichiarazione del 1948 in molti modi. Ad esempio, istituendo (nel 2006) il Consiglio ONU dei diritti umani e, all’interno dello stesso, avviando la procedura dell’Esame Periodico Universale (EPU), grazie al quale tutti i Paesi membri si giudicano reciprocamente ed esprimono anche raccomandazioni per una miglior messa in atto degli impegni assunti a livello internazionale.
La Svizzera ha già passato tre volte il vaglio dell’EPU: nel 2008, nel 2012 e nel 2017. E adesso è ormai imminente il quarto esame, fissato tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio 2023.
I due rapporti
In vista di questo appuntamento, il consiglio federale ha stilato un voluminoso «Rapporto» (ben 42 pagine, pubblicate online il 23 settembre scorso) nel quale si fa anche il punto sullo stato di attuazione delle raccomandazioni adottate nel 2017. Un secondo rapporto, ovviamente ufficioso, è stato invece redatto da oltre 100 organizzazioni non governative, (ONG) anch’esso con l’obiettivo di valutare complessivamente l’attuazione delle stesse «raccomandazioni rivolte dagli Stati alla Svizzera nel precedente UPR» ed «elencare le misure che i Comuni, i Cantoni e la Confederazione devono adottare per migliorare la situazione dei diritti umani» nel Paese.
I due testi, com’è logico, pur avendo finalità identiche sono diversi tra loro. Il primo è in gran parte descrittivo, il secondo molto più valutativo.
Se il Governo spiega di voler «cogliere l’occasione» rappresentata dalla quarta verifica ONU «per ribadire il proprio impegno a favore dei diritti umani e la volontà di sottoporsi al prossimo esame in uno spirito di apertura e di dialogo», le ONG avanzano indicazioni molto più stringenti.
Secondo Valentina Stefanovic, sino a pochi giorni fa co-coordinatrice di humanrights. ch (la piattaforma delle ONG che operano per i diritti umani in Svizzera), è un bene che «le autorità a vari livelli - Confederazione, Cantoni, conferenze specializzate e Comuni - stiano mettendo in discussione l’attuazione dei nostri obblighi in materia di diritti umani, dato che mancano misure importanti per la protezione degli stessi diritti quali l’inasprimento dell’obbligo di responsabilità per le imprese o una legge che tuteli contro ogni possibile forma di discriminazione».
«La società civile si aspetta che il Consiglio federale si confronti seriamente con le prevedibili raccomandazioni dell’EPU e sia autocritico anche nei settori in cui fatica a rispettare i propri impegni. Credo che il Governo debba sfruttare questa opportunità per rafforzare sistematicamente i diritti umani nel nostro Paese - ha detto Michael Ineichen, responsabile advocacy di Amnesty International Svizzera - la Confederazione deve svolgere meglio il suo ruolo di coordinamento, collaborando con i Cantoni e la società civile affinché le valide raccomandazioni degli organismi internazionali per i diritti umani siano effettivamente attuate».
La forza del federalismo
Il federalismo, quindi, come chiave di una migliore e più puntuale applicazione dei diritti umani, sulla scorta anche di un’ipotesi di lavoro presentata lo scorso 3 novembre, in un convegno a Berna, dal Centro svizzero di competenza per i diritti umani (CSDU), rete universitaria creata su mandato della Confederazione per «promuovere l’attuazione degli obblighi internazionali della Svizzera in materia di diritti umani, nonché consigliare e sostenere in questo processo le autorità a tutti i livelli istituzionali, la società civile e l’economia».
In concreto, prendendo a modello proprio l’EPU delle Nazioni Unite, il CSDU ha avanzato l’idea di una «revisione tra pari» (peer review) sui diritti umani tra i Cantoni svizzeri. I quali si valuterebbero a vicenda e potrebbero, in particolare, condividere le migliori pratiche e discutere le difficoltà comuni.
All’evento di Berna, è stato presentato uno studio sul tema compiuto dall’Università di Losanna e finanziato dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca. «La Svizzera ha sottoscritto un gran numero di trattati internazionali sui diritti umani, i cui obblighi sono spesso di competenza dei Cantoni, in particolare nei settori dell’assistenza sociale, della salute, dell’accesso alla giustizia, della polizia e dell'istruzione. Nel nostro progetto di ricerca abbiamo dimostrato che l’attuazione dei diritti umani da parte dei Cantoni è un processo complesso e spesso imperfetto - spiegano al CdT Martino Maggetti, associato di Scienza politica nell’ateneo vodese ed Evelyne Schmid, associata di Diritto pubblico internazionale sempre a Losanna - Nell’ordinamento giuridico svizzero esistono già diversi meccanismi per incoraggiare i Cantoni ad attuare i loro obblighi internazionali. Nonostante questa diversità, per l’attuazione dei diritti umani vengono generalmente utilizzati solo meccanismi debolmente vincolanti, come piani d’azione o guide di buone pratiche. Per migliorare la situazione, si potrebbe ricorrere a meccanismi più incisivi. In particolare, si potrebbe prendere in considerazione l’istituzione di un maggiore coordinamento tra la Confederazione e i Cantoni, rafforzare l’utilizzo delle conferenze intercantonali esistenti, adottare un sistema più semplice ed efficiente per la raccolta dei dati dai Cantoni, e l’assegnazione di risorse aggiuntive».
L’idea attualmente in discussione «di istituire una revisione periodica in cui i Cantoni possano valutare l’attuazione dei diritti umani da parte degli altri Cantoni, proprio sull’esempio della revisione periodica delle Nazioni Unite - aggiungono Schmid e Maggetti - potrebbe permettere di sviluppare e di sperimentare approcci innovativi per l’attuazione dei diritti umani».
Ipotesi di lavoro cantonale
L’ipotesi di lavoro del CSDU è al centro, oggi, a Lugano di una conferenza organizzata dalla Fondazione Diritti Umani, con il sostegno dell’USI e di molte organizzazioni della società civile ticinese. Una conferenza nella quale sarà presentata la proposta di istituzione di un difensore civico cantonale (Ombudsperson) dei diritti umani.
«In generale, ogniqualvolta il Parlamento federale ratifica una convenzione internazionale per la protezione di determinati diritti fondamentali, la vigilanza sull’applicazione viene affidata ai Tribunali - dice l’avvocato Paolo Bernasconi - ciò significa però intervenire soltanto al termine del processo di applicazione. Le persone più vulnerabili e bisognose di protezione non dispongono, infatti, dei mezzi e delle competenze per rivolgersi a un giudice, tanto più se devono affrontare un percorso che può durare parecchi anni. Per migliorare la protezione dei diritti fondamentali bisogna quindi ancorarne i principi nella società e responsabilizzare le istituzioni. Per questo proponiamo l’istituzione di un Ombudsperson cantonale dei diritti umani, al quale sia affidata una competenza esplicita di vigilanza superiore al Gran Consiglio ticinese e che riferisca mediante rapporti annuali».