Dodici anni di carcere per gli abusi sulla figliastra
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Dodici anni di carcere, l’espulsione dalla Svizzera per un periodo analogo e il divieto a vita di esercitare attività a contatto con minorenni. È la pena inflitta dalla Corte delle assise criminali presieduta dalla giudice Francesca Verda Chiocchetti al 56.enne spagnolo del Luganese che ha abusato della figliastra per nove anni, dal novembre 2014 al novembre dello scorso anno. Toccamenti e rapporti sessuali, tentati e consumati, anche più volte al mese. L’atto d’accusa stilato dalla procuratrice pubblica Anna Fumagalli e confermato integralmente dalla Corte, ha dipinto un quadro familiare tetro, contraddistinto da «un dominio esercitato dall’imputato sulla giovane vittima». Pesanti le accuse a carico dell'uomo: atti sessuali con fanciulli (ripetuti, consumati e tentati), ripetuta coazione sessuale e ripetuta violenza carnale.
Un inferno durato anni
Gli abusi, dai primi toccamenti fino a rapporti sessuali completi, sono iniziati quando la vittima aveva solo dodici anni e avvenivano anche giornalmente. Il patrigno ha approfittato delle assenze lavoratiove della moglie, madre della ragazza, e del rapporto di dipendenza e sudditanza della figliastra nei suoi confronti. In particolare, la vittima – costituitasi accusatrice privata e rappresentata dall’avvocato Letizia Vezzoni – è stata intimidita con aggressioni verbali e fisiche, mentre i suoi movimenti e i contatti con il mondo esterno sono stati controllati attraverso dispositivi informatici. L’incubo è finito solo con la denuncia della giovane, lo scorso gennaio. L’imputato – difeso dall’avvocato Pascal Frischkopf – ha negato qualsiasi addebito e ha chiesto il proscioglimento. Dei rapporti sessuali, ha raccontato l’uomo , sono avvenuti ma consensualmente, ma solo nell’ambito di una relazione sentimentale che, a suo dire, sarebbe iniziata nel 2021 con la figliastra già maggiorenne. Una tesi che non ha minimamente convinto la Corte delle assise criminali (a latere i giudici Aurelio Facchi e Giovanna Canepa Meuli), la quale ha inasprito di due anni la pena proposta dalla pubblica accusa, ossia 10 anni di carcere.
Chi è credibile e chi no
Essendo un processo indiziario, tutto è dipeso dalla credibilità delle parti. C'è la vittima che, ha spiegato la giudice nel motivare la sentenza, «ha sempre rilasciato dichiarazioni circostanziate e ha riferito i dettagli degli abusi laddove poteva farlo. Dove non poteva, non ha forzato la mano. Ha spiegato e contestualizzato la frequenza dei rapporti sessuali» e, a differenza di quanto sostenuto dal legale dell’imputato, «il principio accusatorio non è stato violato». In particolare, «la ragazza riferisce del blocco subito, del freezing, al momento del primo contatto di natura sessuale (dei toccamenti e un tentativo di congiunzione carnale, ndr): è qualcosa che accade spesso in presenza di abusi su minore». La vittima, poi, «non ha denunciato a cuor leggero o per far del male all’imputato. Ha parlato di inferno tra le mura di casa e si è esposta all’inferno che può rivelarsi un’inchiesta per abusi sessuali, con verbali estenuanti e confronti», ha affermato Verda Chiocchetti. Un‘inchiesta, va detto, «condotta impeccabilmente dagli inquirenti». La giovane, ha voluto mettere in chiaro la giudice, «non è una mezza matta che voleva vendicarsi, come è stato tentato di farla passare».
Dall'altra parte c'è l’imputato, che tutto ha fatto affinché la figliastra stesse lontana dalle persone che potessero scoperchiare tutta la vicenda. Ha poi voluto dipingere tutto come un amore nato al telefono quando la vittima era maggiorenne, ma quanto da lui asserito nulla ha a che vedere con una relazione sentimentale. Nulla del suo racconto è credibile e in aula non ha mostrato reazioni ai racconti della vittima, si è solo preoccupato della sua personale sofferenza, ma in carcere».
Un ingente risarcimento
Agli atti, lo ricordiamo ci sono anche due perizie. Una che dipinge l’imputato come un narcisista, l’altra che evidenzia un disturbo post traumatico da stress per la vittima. «Come pensa possa essere la psiche di una bambina abusata una volta adulta?», ha tuonato la presidente della Corte, rivolgendosi all’imputato, che ha ascoltato impassibile la lettura del dispositivo della sentenza. «Il danno è enorme: il tutto per cosa? Non per amore ma per il suo godimento fisico». Alla giovane donna, la Corte ha riconosciuto un risarcimento per torto morale di 35 mila franchi. Il 56.enne, dietro le sbarre da gennaio e la cui carcerazione di sicurezza è stata prolungata per tre mesi, dovrà seguire anche un trattamento ambulatoriale alla Stampa.