«È giusto che i frontalieri sostengano il Sistema sanitario italiano, ma non a queste cifre»
Sì, gli incentivi per il personale sanitario impiegato nelle aree di frontiera ci saranno. Non solo, saranno pagati dai frontalieri e dai lavoratori italiani in Svizzera. Allargando il campo, da tutti coloro impiegati in uno Stato straniero. È quanto prevede la bozza della Legge Finanziaria all’articolo 50, come hanno riferito i media italiani fra cui VareseNews.
L'articolo 50
Di premi per trattenere il personale sanitario in Italia, nelle aree di frontiera appunto, se ne parla da tempo (qui, qui, qui e qui, rimanendo al Corriere del Ticino). Con inevitabili polemiche e discussioni lungo il confine. Logica la soddisfazione di Emanuele Monti, consigliere regionale, che ha parlato di «svolta» attesa da anni. Fra i promotori di questa apertura verso il personale sanitario nelle aree di frontiera, Monti non ha nascosto la propria felicità per quanto emerso dalla Finanziaria: «Una volta approvata la Legge, si lavorerà sui decreti attuativi per fare in modo che la misura si traduca in sostanziali incrementi economici per il personale medico, infermieristico e sanitario in genere» ha dichiarato a VareseNews. «Si apriranno tavoli con gli ordini professionali e i sindacati per dettagliare meglio la misura, che potrà servire anche a rendere più attrattivi ospedali e strutture in aree di confine e che stanno subendo più di altri la concorrenza delle realtà svizzere».
La novità, dicevamo, non riguarda unicamente i frontalieri ma tutti i cittadini AIRE o, meglio, gli italiani che lavorano e risiedono all’estero pur mantenendo il servizio sanitario italiano. La stima del contributo totale che potrà arrivare è di 110 milioni di euro. Nel 2019, in Svizzera, dei 329 mila frontalieri censiti solo 103 mila (il 31,5% circa) erano anche assicurati in Svizzera. Nello specifico, dei 77 mila frontalieri provenienti dall’Italia solo 600 (circa 0,8%) erano assicurati nella Confederazione. Tradotto: la stragrande maggioranza dei lavoratori frontalieri italiani, circa il 68,5%, non era a carico del sistema sanitario elvetico mentre il 30,5% dei francesi (55 mila su 180 mila) e il 75,5% dei tedeschi (46 mila su 61mila) era assicurato nella Confederazione.
La reazione dell'OCST
La reazione di Andrea Puglia, responsabile frontalieri in seno al sindacato OCST, non si è fatta attendere. «Come un fulmine a ciel sereno, nella bozza di manovra finanziaria il Governo ha deciso di introdurre per i "vecchi frontalieri" una "quota di compartecipazione" (leggasi "tassa") per il Servizio sanitario nazionale». E ancora: «In sostanza, a partire dal 2024 i "vecchi frontalieri" dovranno pagare un'imposta annuale che varierà tra il 3% e il 6% del proprio reddito netto annuo. L'aliquota esatta verrà decisa dalle singole Regioni. I soldi verranno poi utilizzati dallo Stato per migliorare le condizioni del personale medico di frontiera e gli ospedali di confine (anche per limitare la fuga dei professionisti del settore verso la Svizzera)».
Puglia, annunciando analisi più approfondite in un secondo momento, per il momento ha constatato che, da un lato, il Governo italiano «ha fatto tutto nel silenzio, senza interfacciarsi con le parti sociali». Un atteggiamento, questo, definito «scandaloso». Dall'altro, pur condividendo il principio di fondo, il sindacalista si è scagliato contro le cifre: «In Italia il Sistema sanitario nazionale è alimentato dall'IRPEF, che pagano tutti i lavoratori. Quindi, contribuiscono al Sistema tutti i lavoratori attivi in Italia, i frontalieri fuori fascia, i nuovi frontalieri sulla Svizzera e i frontalieri attivi in altri Stati confinanti. Fino a oggi, invece, i "vecchi frontalieri" non hanno mai pagato nulla per il Sistema sanitario pur utilizzando il servizio pubblico e pur non versando l'IRPEF. Quindi, è un principio corretto chiedere anche a loro un contributo». Tuttavia, «non a queste cifre» ha sottolineato Puglia.
«Non è la prima volta – ha concluso Puglia – che torna questo tema. Decenni fa, questa tassa si pagava già: con aliquote minori, però. Poi fu tolta, quindi nel 2015 volevano reintrodurla ma noi la bloccammo, perché nel 2015 gli Stati avevano ancora l'intenzione di introdurre l'IRPEF anche per i "vecchi frontalieri". La bozza di Legge parla di un range compreso tra il 3% e il 6% del reddito netto annuale. Capite che tra le due cifre la differenza è enorme. Abbiamo subito contattato Regione Lombardia, che ha garantito che si stabilizzeranno su un'aliquota "attorno al 3 virgola qualcosa per cento". Vedremo se sarà vero». Il sindacalista ha pure avanzato qualche dubbio circa la riscossione dell'aliquota: «Immaginiamo sarà il "vecchio frontaliere" a dover in qualche modo certificare il proprio reddito».