«È solo un film, ma volevamo far capire che la Vallemaggia ha reagito»
L’inizio delle riprese era stato fissato per lunedì 1. luglio. Nella notte fra sabato 29 e domenica 30 giugno, però, la Vallemaggia è stata investite da un’alluvione violentissima. Erik Bernasconi e la sua troupe si trovavano – e si trovano tutt’ora – nelle zone colpite dal disastro per l’adattamento cinematografico del Becaària, prezioso romanzo di Giorgio Genetelli che narra i turbamenti di un adolescente alla ricerca della propria identità nel Ticino degli anni Settanta. «E noi – racconta proprio Erik Bernasconi – avremmo dovuto cominciare a lavorare a questo adattamento quel lunedì. Io e altri della troupe ci trovavamo da settimane in Vallemaggia. Il giorno prima dell’inizio delle riprese, per contro, sarebbero dovuti arrivare tutti».
Quell'hotel a pochi passi dalla pista
Poi, per dirla con Bernasconi, è successo quello che è successo. Erik e gli altri sono rimasti bloccati. Senza perdersi d’animo, però, si sono messi a disposizione per aiutare la popolazione. «Innanzitutto – prosegue il nostro interlocutore – mi preme sottolineare che siamo stati fortunati. Nessuno di noi è rimasto ferito, o peggio. Certo, abbiamo avuto i nostri momenti di paura e tensione. Due attori e un assistente fonico, per dire, si trovavano in un hotel a trenta, forse cinquanta metri dalla pista di ghiaccio di Prato Sornico. Pista che è stata spazzata via. Lì si trovava un nostro camion, con tutto il materiale degli elettricisti: è stato trascinato via dalla furia degli elementi. A distanza di giorni, e con il nuovo inizio delle riprese fissato per lunedì 15 luglio, posso dire che siamo stati davvero fortunati. E che, al di là della paura, abbiamo avvertito una forte, fortissima partecipazione attorno a noi rispetto a ciò che era accaduto».
Rispetto a chi ha perso qualcuno o, ancora, a chi non ha più una casa, le vicende di Bernasconi e della sua troupe sembrano poca cosa. «Parlerei di micro-dramma» chiarisce il regista. «Siamo persone che amano il proprio lavoro, che vivono di una passione e che temevano di aver perso la possibilità di fare questo film. Film a cui personalmente stavo lavorando da tredici anni. Ma tutto questo, di fronte alla morte e alla distruzione, viene ridimensionato. Non voglio essere troppo retorico, è che dopo uno shock del genere il fatto di essere vivi e di essere ancora tutti assieme ci ha scaldato».
Un aiuto a chi ne aveva bisogno
Bernasconi e gli altri, come detto, si sono messi a disposizione per dare una mano a chi ne aveva bisogno. «Il grosso, davvero, era in mano alle autorità e a chi, insomma, è del mestiere» spiega il regista. «Nel nostro piccolo, una volta ristabiliti i contatti telefonici ci siamo mossi per aiutare alcuni privati a sistemare ciò che si poteva sistemare».
Infine, la ripresa o meglio il nuovo inizio dei lavori cinematografici. «Sulle prime, al di là che non volevamo essere d’intralcio, era impensabile mettersi a lavorare. Ci mancava anche una parte del materiale. In generale, ci siamo chiesti se fosse giusto rimanere in valle per girare un film. Un film per me importantissimo, ma non in un contesto di devastazione come quello. Ho e abbiamo aspettato. Per capire, anche, come avrebbe potuto reagire la popolazione alla nostra presenza. Alla fine, è emersa in tutti noi la ferma volontà di provarci, di partire, di fare questo film. Anche per segnare una sorta di ritorno alla normalità per la Vallemaggia. Questa volontà, forse, ci è arrivata dai volontari e da tutti coloro che si sono messi a disposizione per dare una mano. Per quanto ferita e disastrata, la Vallemaggia è subito ripartita. Ha reagito. Mostrando gli attributi». Una ripartenza, certo, frenata dalle continue allerte. E dal timore che qualcosa di brutto possa succedere. Di nuovo. «Ogni volta che le previsioni indicano possibili, forti precipitazioni, quel timore evidentemente sale» ammette Bernasconi. «Ma per fortuna, al momento, il meteo è stato clemente».
Fra dramma e impatto
A Bernasconi, infine, chiediamo se questa esperienza – in un qualche modo – si rifletterà nel film. Se, guardandolo una volta finita, lo spettatore vedrà anche la sofferenza patita dalla Vallemaggia. «È difficile rispondere» conclude il regista. «Indubbiamente, tutto quello che è successo, a noi e alla valle, ci ha cambiati e toccati come persone. E se fossi qui per girare un documentario, per forza di cose, l’alluvione occuperebbe ampi spazi. Ma in questo caso stiamo parlando dell’adattamento di un romanzo. Di finzione. Ci sarà una scena, questo sì, che potrebbe richiamare il dramma di questa alluvione. Per il resto, però, parliamo appunto di un lavoro rigoroso, con una sceneggiatura, un piano. È difficile inserire qualcosa all’ultimo e fare in modo che funzioni e non sembri posticcio. Quanto successo, allargando il discorso, influenzerà i nostri ricordi e il modo con cui ci muoveremo sul territorio. Cerchiamo sempre di entrare in sintonia con i posti in cui giriamo, lo faremo anche a questo giro. Lavoreremo con la gente di qui, con un look anni Settanta. Susciteremo, penso, curiosità».