Femminicidio: i dati che mancano e il reato che non c’è

Il termine
Il femminicidio rappresenta una parte preponderante degli omicidi di donne, con la caratteristica della maturazione in ambito familiare o all’interno di relazioni sentimentali. Il termine femminicidio, nell’accezione comunemente intesa, è un neologismo che può essere fatto risalire agli anni ’90, per qualificare gli omicidi basati sul genere, che vedono come vittima la donna «in quanto donna».
«Una violenza di genere»
Secondo l’Ufficio federale per l’uguaglianza fra donna e uomo, i dati degli ultimi anni rivelano che ogni due settimane, in Svizzera, muore una persona a causa di violenza domestica, per una media di venticinque persone l’anno. Di queste, il 75% è costituito da donne e ragazze. Inoltre, circa il 40% dei reati registrati dalla polizia avviene in ambito domestico. Oltre il 70% delle vittime di violenza è rappresentato da donne e ragazze. «Quella perpetrata nei confronti delle donne - scrive la Confederazione - è una forma di violenza di genere. Con quest’espressione si descrivono le forme di violenza dirette contro una persona in ragione del suo genere».
L’articolo 113: omicidio passionale
Oggi il Codice penale svizzero non contempla il reato specifico di femminicidio, prevedendo invece i seguenti articoli: art. 111 omicidio intenzionale, art. 112 assassinio, art. 113 omicidio passionale e art. 116 infanticidio. Nel 2020, l’allora consigliera agli Stati Marina Carobbio Guscetti (PS) depositò una mozione chiedendo di «presentare le modifiche legislative necessarie per correggere l’art. 113 del Codice penale: il riferimento alla passione deve essere eliminato nella versione italiana e francese a favore di un termine neutro, come già in essere nella versione tedesca nella quale si parla di ‘‘Totschlag’’». La mozione venne bocciata dal Consiglio agli Stati. Non andò meglio alla consigliera nazionale dei Verdi Greta Gysin, che propose due opzioni: «La rinuncia al riferimento alla passione nella versione italiana e francese» o «l’abrogazione dell’art. 113 del Codice penale svizzero in quanto superfluo». La proposta, approvata dal Nazionale, venne poi respinta dagli Stati.
Una statistica più precisa
Nel nostro Paese manca anche una statistica precisa per quanto riguarda i casi di femminicidio. Lo scorso anno, la consigliera nazionale dei Verdi Sibel Arslan ha depositato un postulato che chiede di «condurre uno studio di fattibilità per determinare se e come la raccomandazione dell’ONU sulla rilevazione statistica dei femminicidi possa essere attuata». In Svizzera, ricordava la deputata di Basilea Città, «non c’è un servizio ufficiale che registri i femminicidi e tenga una statistica delle uccisioni legate al genere». Ma «per riconoscere e combattere la violenza motivata dal genere bisogna che questa sia opportunamente definita e denominata». Le statistiche ufficiali della polizia «sono limitate», le ha fatto eco qualche giorno fa al quotidiano romando 24 heures la criminologa Nora Markwalder, sottolineando che «le statistiche sono essenziali per comprendere e misurare un fenomeno: dobbiamo sapere di cosa stiamo parlando per determinare quali misure adottare. Prendiamo il caso del femminicidio: abbiamo scoperto che il rischio maggiore si verifica quando la donna lascia l’uomo. Senza dati completi non saremmo stati in grado di dimostrarlo. Queste informazioni ci permettono di aumentare la protezione delle donne in tale preciso momento. Le statistiche sono il primo passo nella lotta contro il femminicidio: come si può combattere qualcosa che non si capisce?». Inoltre, ha spiegato Markwalder, «esaminando tutti i dossier a partire dal 1990, è emerso che gli omicidi erano più frequenti nei primi anni. Da allora sono diminuiti, ma i femminicidi no».