Fermato con 17 chili di coca, condannato a 9 anni

È una storia struggente, quella che ha portato un 35.enne albanese residente in Lombardia a trafficare cocaina dall’Olanda all’Italia. Da vent’anni nella Penisola, impiegato come gessatore, nel 2018 torna in Albania per il funerale dello zio e una sera per il dolore - lui che è astemio - inizia a bere amari e a giocare alle slot machine. E a perdere. Ma per fortuna un signore gentile gli presta 6.000 euro per continuare a giocare. Perde anche quelli e si ritrova indebitato. Il signore gentile è in realtà uno strozzino, e in un modo o nell’altro l’imputato arriva a dovergli 220.000 euro. Soldi che non ha. Cominciano quindi le minacce e fra fine 2019 e inizio 2020 viene anche selvaggiamente picchiato. Per riparare il debito, gli viene detto, dovrà fare un viaggio per loro. Quello in cui viene pizzicato dalle guardie di confine a San Pietro di Stabio con nascosti in auto quasi 17 chili netti di cocaina: uno dei più grandi sequestri di droga nella storia recente del nostro cantone.
«Un vortice di frottole»
Una storia struggente, dicevamo, quella dell’imputato. In particolare se vera. Ma vera non era. La procuratrice pubblica Marisa Alfier, titolare dell’inchiesta, l’ha definita «un fantasy, un vortice di frottole». E la Corte delle assise criminali, presieduta dal giudice Amos Pagnamenta, si è detta pienamente concorde. Persino il suo legale d’ufficio, avvocato Stefano Ferrari, ha parlato di «un atteggiamento non proprio chiaro» in inchiesta, concentrando la sua arringa su altri aspetti della vicenda.
Almeno nove viaggi
La verità, secondo quanto concluso dalla Corte, è che l’uomo abbia agito senza particolari remore e senza alcuna coercizione nel fare quel che ha fatto. E altro che singolo viaggio: ne ha fatti almeno nove. Sempre sulla stessa auto, targata Germania per destare meno sospetti al nord. Auto dotata di tre ricettacoli, due sul lato passeggero e uno sul lato conducente, per nascondere i panetti di droga. A mente della procuratrice Alfier l’uomo potrebbe aver trasportato in questo modo fino a 150 chili di cocaina. Ma di un’ipotesi si tratta: la Corte, nell’impossibilità di stabilire un esatto quantitativo l’ha condannato per i 17 chili sequestrati più un’imprecisata quantità. E la pena è stata ingente: nove anni di carcere, oltre all’espulsione dalla Svizzera - territorio con il quale l’imputato non ha alcun legame - per dieci.
«Non c’erano elementi»
L’avvocato Ferrari si era invece battuto per una pena contenuta in cinque anni e quattro mesi e alla condanna per un solo viaggio, l’ultimo. Negli altri casi, ha sostenuto in ultima analisi invano, «non c’erano agli atti elementi oggettivi per affermare che avesse trafficato stupefacenti». «Ha fatto quei viaggi per trasportare sostanze illegali, non c’è altra spiegazione», ha invece concluso la Corte.
Droga solo in transito
La buona notizia in tutta questa vicenda, se così si può dire, è che l’enorme quantità di droga non era destinata al mercato svizzero, bensì a quello italiano. In Ticino la sostanza era soltanto di passaggio. E l’imputato aveva preso diverse misure per evitare di essere fermato. Dall’uso di telefoni cellulari non tracciabili, al dormire sempre in auto per non lasciare tracce del suo passaggio, fino a farsi accompagnare da una ragazza, probabilmente per fingere un rapporto affettivo e una vacanza, e a ricorrere in cinque casi a staffette (il fratello, all’inizio ignaro) per verificare che il confine fra Svizzera e Italia non fosse presidiato. Ragazza e fratello peraltro condannati nei mesi scorsi per il loro coinvolgimento (a pene decisamente minori).
Per tutto questo l’imputato ha provato a dare spiegazioni, spesso contraddicendosi, e senza essere creduto. Ma qualcosina l’ha ottenuto. Nulla si sa dell’organizzazione per cui lavorava e la Corte sul suo ruolo nella stessa non ha potuto appurare altro che «corriere». Che fosse qualcosa di più resterà solo un sospetto.