Fortezze con significati diversi sugli stemmi del basso Distretto
Dalla sponda sinistra della Valle di Muggio scendiamo verso il piano. La seconda puntata del nostro viaggio estivo alla ricerca del significato degli stemmi dei Comuni del Distretto (e degli ex Comuni) è dedicata al Basso Mendrisiotto.
Partiamo dal polo di Chiasso dove sullo stemma è raffigurato un portone azzurro con due ante aperte su fondo argenteo. Sopra il portone, un leone rosso. Dietro l’emblema – come capita sovente – c’è una famiglia: gli Albrici, proprietaria di molti terreni a Chiasso in passato. A questo blasone fu aggiunta la lettera C che fa bella mostra di sé in alto allo stemma. Uno stemma, quello di Chiasso, che ha subito diverse modifiche nel corso dei secoli. «Lo stemma precedente, adottato nell’800, era caratterizzato da un fascio sormontato dall’albero della libertà con cappello piumato – si spiega sul sito della cittadina –. Nel 1903 lo stemma venne modificato con il bastone alato di mercurio, simbolo del commercio, inclinato verso destra; sul lato retrostante figurava il fascio dell’unione con la fiaccola e al centro la croce federale raggiata».
Prima di spostarci in un altro Comune, ci dedichiamo alle frazioni chiassesi di Pedrinate e Seseglio. Un tempo erano un solo Comune (Seseglio era frazione di Pedrinate), lo stemma era quindi uno. Era diviso verticalmente in due sezioni. Su quella sinistra con sfondo azzurro risaltavano due chiavi d’argento, su quella di destra, con sfondo oro, una porta torricellata rossa e finestrata di nero. Ad aiutarci in questa nostra ricerca è ancora in particolare l’«Armoriale dei Comuni ticinesi», che a tal riguardo spiega: «Le chiavi e la porta che appaiono nell’arma, ricordano l’entrata più a meridione del Cantone».
L’enigma di Balerna
A Balerna l’emblema si compone di una croce di Malta rossa in campo azzurro. Lo stemma è antico, è infatti presente come dipinto nella collegiata della località, opera di Gianmaria Livio da Coldrerio (1693-1766). E questa non è l’unica rappresentazione datata presente nel Comune. Forse proprio a causa della sua età, non siamo riusciti a trovare (e non siamo gli unici) informazioni sulle sue origini.
Saliamo in collina e raggiungiamo Morbio Inferiore. Lo stemma presenta due torri: una bianca su campo rosso, l’altra rossa su campo bianco. «Ricorda l’antico castello, che sorgeva sul colle, dove, nella prima metà del seicento, fu costruita la chiesa parrocchiale, il santuario di Santa Maria dei Miracoli, consacrato nel 1613 diventata basilica il 2 giugno 1991», si spiega in modo esaustivo sul sito del Comune, per poi aggiungere: «Era uno di quei castelli di segnalazione e difesa che si dipartivano da Milano e da Como, per spingersi, in uno schema di collegamenti e di comunicazioni, fin nelle nostre vallate. È attestato in un documento del 1198 (»Morbius de Castello de Morbio») e vi era annessa una vasta proprietà terriera, compreso il mulino sul fiume Breggia». Nell’Armoriale si riassume la storia del castello, partendo dalle origini: «Il fortilizio di Morbio fu fondato dai Galli, già 500 anni avanti Cristo; nel Medioevo venne restaurato e quasi riedificato».
Il levriero che ritorna
Restiamo in collina e ci spostiamo a Vacallo. Lo stemma ha uno sfondo verde con una grande V color argento, accompagnata da tre grappoli d’uva d’oro. «Lo scaglione rovesciato simboleggia l’iniziale del nome di Vacallo. L’uva ricorda i vigneti e la produzione di vino pregiato». Lo stemma personifica quindi la vocazione agricola della località. I tre grappoli inoltre, simboleggiano i tre rioni: Pizzamiglio, Roggiana e San Simone.
Il nostro viaggio di oggi finisce tornando sul piano, a Novazzano. L’emblema è rosso con al centro un «veltro (un cane levriero, ndr) rampante d’argento, con la testa rivoltata». Il cane è da sempre l’emblema degli abitanti di Novazzano (non per niente esiste il nomignolo «can»). La presenza dell’animale sul gonfalone ha origini antiche ed è attestata in un’ordinanza del 1569, ma non è stata costante, anzi. Sul sito del Comune si legge: «Il veltro apparve sul gonfalone fino al 1660, anno in cui si diede incarico al pittore Torriani di Mendrisio di riprodurre su stoffa nuova il tradizionale emblema. Ma il cane del Torriani non piacque e si pensò di eliminarlo, riducendo il gonfalone al semplice campo rosso. Altri documenti attestanti che il veltro fece ulteriori comparse sulla bandiera, non ce ne sono. Quasi certamente non comparve più, la bandiera tutta rossa a poco a poco andò in disuso finché non se ne parlò più». Fino al 1953, anno del 150.esimo dell’indipendenza ticinese, quando un’ordinanza cantonale stabilì che tutti i Comuni dovessero avere un gonfalone. «Dopo tre secoli di oblio, nel 1953 il Comune, saggiamente riprese il motivo del veltro, di antica tradizione».