Franklin University: «Sempre più versatili, flessibili e vicini al territorio»

Da oltre mezzo secolo una scuola statunitense respira aria ticinese. Quella di Sorengo, per la precisione. Era il 1969, infatti, quando dalle ceneri del Fleming College — programma della American School in Switzerland —, nacque la Franklin University, istituto intitolato allo scienziato e padre fondatore degli Stati Uniti d’America Benjamin Franklin. Recentemente, le redini della Franklin University sono state affidate a Samuel Martín-Barbero. Con il nuovo rettore, abbiamo parlato del presente e del futuro della scuola.
Dottor Martín-Barbero, lei è rettore della Franklin da
meno di un anno: dal 1. agosto 2022. Cosa significa, per lei, essere una scuola
americana in Ticino? Cosa rende speciale la Franklin University?
«La nostra è un’università davvero unica poiché è un istituto doppiamente accreditato: in Svizzera e negli Stati Uniti. Opera con un modello
educativo nato in Europa, quello delle arti liberali, sviluppatosi in epoca
recente principalmente negli Stati Uniti. Sotto questo punto di vista, dunque,
siamo un’istituzione globale nello spirito, nella dualità di ciò che gli studenti
studiano e di come lo studiano. Non solo per la costruzione dei corsi, ma
anche nell'approccio all'apprendimento. Qui lo studente è al centro
dell'equazione e ciò, sommato alle ridotte dimensioni dell’istituto, ci distingue
dalle altre università. In Svizzera e in altri luoghi del mondo».
A proposito di altre scuole: che rapporti ci sono fra la
Franklin e gli istituti ticinesi USI e SUPSI?
«Da un punto di vista filosofico e sociale, ci consideriamo
un motore di cambiamento e di sviluppo, come tutti gli altri istituti.
Per questo li consideriamo alleati e non concorrenti. Con USI e SUPSI stiamo
sviluppando forti programmi istituzionali: abbiamo insomma rapporti cordiali e
fruttuosi. A breve verranno svelati alcuni progetti che ci permetteranno di
lavorare sempre più facilmente insieme. Siamo quindi in prima linea per
renderci il più inclusivi possibile all'interno dell'ecosistema ticinese e per
consentire una nuova ondata di relazioni o partenariati universitari nella
regione, presentando ad alcune di queste istituzioni la possibilità di
collaborare e cooperare fortemente nei prossimi anni. Mercoledì abbiamo
presentato il nostro primo corso di laurea in Psicologia in collaborazione con l’Associazione
ticinese psicologi. E tra poche settimane ospiteremo una conferenza con
scuole e università private in Svizzera con le quali parleremo delle sfide e
della tabella di marcia per i piccoli istituti».


Ha seguito i recenti cambiamenti in seno all’USI?
«Siamo assolutamente entusiasti della nomina di questa
studiosa di economia, Luisa Lambertini, che ha una grande esperienza di
gestione e amministrazione insieme a un curriculum straordinario, non solo come
economista ma anche come amministratrice a Losanna. Ci congratuliamo con lei
per il suo nuovo ruolo e le apriamo le porte per essere qui con noi ogni volta
che vuole. Non vediamo l'ora di collaborare con l'USI».
Quali sono i suoi obiettivi per questo istituto? Guardando
al futuro, la Franklin ha bisogno di rinnovarsi o la sua strategia è perfetta
così com’è?
«La Franklin ha probabilmente bisogno di maggiore visibilità.
È, questo, un aspetto su cui stiamo lavorando duramente: l’obiettivo è portare
più consapevolezza del marchio, metterci al centro dell’attenzione all’estero,
principalmente, ma anche in Svizzera. Non solo: vogliamo essere il miglior
istituto in cui lavorare. Non sono molte le università che si dedicano alla
creazione di una cultura dell'eccellenza in termini di ambiente di lavoro. Vogliamo
rendere la Franklin University il più agile, flessibile e aperta possibile, in
modo da facilitare il cambiamento, la trasformazione e l'innovazione. E chiaramente
stiamo lavorando per scoprire, o amplificare, quegli elementi di unicità che
già ci contraddistinguono, come ad esempio la sperimentazione accademica o il
fatto che gli studenti possano, facilmente e in un solo anno, passare da corsi
umanistici a corsi di scienze biologiche, con la possibilità di co-creare il
proprio curriculum, invece di essere obbligati a seguire un percorso specifico.
Questa versatilità e flessibilità è qualcosa che vogliamo rendere molto più
evidente già nei prossimi mesi. Fra gli obiettivi abbiamo anche la
riformulazione di alcuni programmi universitari, così da collegarli più
strettamente alla carriera futura dei nostri studenti e alle richieste del
mercato. La nostra rete globale, i nostri contatti non solo con l’America ma
anche con il Medio Oriente e l’Europa dell’Est, ci sta dando interessanti fonti
di ispirazione per costruire nuove strategia di carriera. Abbiamo già un
programma che mette in contatto chi studia qui con i CEO di aziende importanti. L’opportunità
che hanno i nostri studenti di avere simili faccia a faccia con persone
appartenenti a diverse industrie è importante. E date le nostre piccole
dimensioni, c’è la possibilità di interagire più da vicino con questi dirigenti
e tenere conversazioni più profonde e di una naturalezza maggiore. L’ambiente è
diverso. Questa è parte della ricchezza del Franklin, e parte di ciò che
vogliamo sviluppare ancor più nel futuro».
Fra tassa d’iscrizione, alloggio e mensa (più spese
extra), la retta annuale tocca tuttavia i 70 mila dollari (64 mila franchi). Come
si giustifica questa spesa?
«È vero, le nostre tasse universitarie sono superiori alla
media di un'istituzione statale o sovvenzionata dallo Stato. Ma se si
considerano gli istituti privati negli Stati Uniti e in Europa, siamo nella
media. Il prezzo di iscrizione si giustifica nel tipo di attività e di servizio
ad alta intensità che offriamo ai nostri studenti e alle loro famiglie. Il
fatto di vivere qui, nei nostri campus, di avere servizi per gli studenti che
molte altre università non residenziali non hanno (come le due caffetterie
aperte mattina, mezzogiorno e sera), giustifica da solo il livello delle nostre
tasse. Non va poi dimenticato che forniamo agli studenti anche un forte aiuto
finanziario. Dei circa 400 studenti iscritti alla Franklin, il 70% gode di un
sostegno economico: forniamo più di 6 milioni all’anno in borse di studio. Siamo
consapevoli, dunque, che alcune famiglie non possono permettersi il prezzo
pieno della retta e per questo forniamo un forte sostegno alle famiglie».


Prima parlava di visibilità, soprattutto all’estero. Ma a
livello locale? Al di là di USI e SUPSI, che rapporti ha la Franklin con il
Ticino e i ticinesi?
«Vorrei rispondere dicendo come vorrei che la Franklin fosse
vista dai ticinesi. Questo istituto è stata per mezzo secolo una fonte di ricchezza
per la regione, direttamente e indirettamente. I nostri studenti e le loro famiglie
hanno contribuito alla realtà economica ticinese. Questo è un aspetto che
dovrebbe far capire alla gente che sì, siamo un'università privata, ma non a
scopo di lucro, e da tempo abbiamo scelto questo luogo per farne parte in modo
completo e integrale. Noi, come detto, vogliamo renderci molto più visibili,
molto più vicini e avvicinabili a qualsiasi componente della regione e della Città.
In questo momento, grazie ad alcuni progetti di sviluppo strategico e
istituzionale, siamo in stretto contatto non solo con Lugano, ma con il Cantone
e con il Paese in generale. Stiamo contribuendo allo sviluppo culturale come fornitore di contenuti
accademici, come qualsiasi altra istituzione. È così che mi piacerebbe la Franklin fosse vista e percepita nella regione: come un mediatore, un'interpretazione
di ciò che accade in altre parti del mondo attraverso le lenti dei nostri
studenti. E, anche, come un luogo in cui le porte sono aperte a chiunque voglia
venire a bussare: vedrà un sorriso felice e qualcuno disposto a parlare con
loro».
In questo istituto americano sono iscritti studenti
provenienti da ogni parte del mondo. Fra questi anche studenti ucraini e russi.
Come vengono gestiti, dalla Franklin University, discorsi delicati come la
guerra in Ucraina o la crescente polarizzazione politica in atto negli Stati
Uniti?
«La Franklin risponde sempre alle sfide della politica e
delle relazioni internazionali nello stesso modo: attraverso l'educazione, la
creazione di comprensione tra le civiltà. E lo fa cercando di mostrare i punti
in comune e cosa ci rende diversi. È un'istituzione che non si schiera a favore
di A o B e che punta invece all’inclusività, portando tutte le opinioni e tutte
le prospettive nel dibattito pubblico. Mentre altri preferiscono schierarsi,
noi ci limitiamo a essere moderatori di ciò che accade. Per quanto riguarda
l'attualità della situazione russo-ucraina, l'anno scorso l'istituzione ha organizzato
una veglia come modo rispettoso e simbolico di mostrare solidarietà con il lato
umano di quanto avvenuto, con gli effetti del conflitto. È così che serviamo al
meglio i nostri studenti, le nostre famiglie, e che preserviamo la neutralità e
l'educazione, la missione che abbiamo come università».