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Frontalieri in calo in Ticino? Sì, ma pesa la stagionalità

A livello nazionale la soglia psicologica delle 400 mila unità potrebbe presto essere superata – Luca Albertoni: «Per ora siamo in linea con quanto accaduto in passato»
La dogana di Chiasso nell'ora di punta dell'uscita dalla Svizzera dei fronalieri. ©Gabriele Putzu
Dario Campione
20.02.2024 19:00

I frontalieri in Svizzera si avvicinano a una nuova soglia psicologica: alla fine del 2023 erano infatti 392.831, oltre 13 mila in più rispetto al 31 dicembre 2022, quando i lavoratori con il permesso G nella Confederazione erano 379.513. Un simile andamento lascia presupporre che, tra 10 mesi, cadrà anche la barriera delle 400 mila unità. Numeri forse impensabili prima della libera circolazione - 22 anni fa, alla fine del 2002, i frontalieri erano infatti 165.296 - ma in grado da soli di testimoniare la forza di un’economia, quella elvetica, in costante crescita.

Oggi, l’Ufficio federale di statistica (UST) ha pubblicato i dati sul frontalierato relativi al IV trimestre 2023. La crescita, come detto, è stata complessivamente ancora sostenuta (+3,5%) ma non omogenea. In Ticino, infatti, da un anno all’altro l’incremento è stato dell’1,3% mentre nell’ultimo trimestre si è addirittura verificato un calo dell’1%. A dicembre 2023, i frontalieri nel nostro cantone erano 78.738, vale a dire 781 in meno di settembre (ma 1.026 in più rispetto alla fine del 2022).

I numeri diffusi stamane erano molto attesi, soprattutto in Ticino. Da mesi si discute, infatti, sulle conseguenze dell’accordo fiscale siglato lo scorso anno con l’Italia ed entrato in vigore a metà luglio. Secondo la maggior parte degli analisti, la crescita del carico fiscale sui “nuovi” lavoratori frontalieri - calcolata attorno al 30% - potrebbe scoraggiare molti a scegliere la Svizzera come luogo d’impiego. La riduzione del vantaggio salariale, in sostanza, potrebbe produrre in prospettiva una contrazione del frontalierato. Cosa che auspica proprio l’Italia, alle prese con una carenza di manodopera quasi senza precedenti, soprattutto nella “ricca” Lombardia e in alcuni settori strategici (sanità, in primo luogo).

«Credo che sia ancora troppo presto per tirare conclusioni su un possibile trend - dice al Corriere del Ticino Luca Albertoni, direttore della Camera di Commercio del Canton Ticino - si conferma il calo stagionale registrato anche in passato, e anche per questo eviterei ogni genere di allarmismo, che peraltro sarebbe del tutto ingiustificato». Un solo trimestre «non è significativo - dice ancora Albertoni - vero è che si intravvedono alcune complicazioni in più a trovare manodopera, specialmente per le misure adottate dalle autorità italiane, ma al momento siamo ancora in linea con quanto avvenuto in passato».

Le valutazioni più strutturali, conclude il direttore della Camera di Commercio, «dovranno essere fatte su un arco quantomeno annuale dall’entrata in vigore delle nuove regole fiscali».

Due sole eccezioni

In effetti, l’analisi delle cifre del frontalierato in Ticino negli ultimi 20 anni mostra come il IV trimestre sia quasi sempre contraddistinto dal segno negativo. Dal 2010 in avanti, soltanto due volte - ovvero nel 2015 e nel 2022 - l’ultimo trimestre dell’anno ha fatto registrare un incremento dei frontalieri rispetto ai tre mesi precedenti. Il calo del 2023 non si allontana quindi, né in percentuale né in numeri assoluti, da quanto già accaduto molte volte negli ultimi anni.

«Il fattore della stagionalità resta preponderante - dice al Corriere del Ticino Moreno Baruffini, economista e ricercatore dell’IRE - tanto è vero che come il IV trimestre è spesso negativo, così, nell’andamento del numero dei frontalieri, il II trimestre di ogni anno è sempre positivo». Ad aprile, infatti, riaprono alberghi e locali turistici, e inevitabilmente la curva delle assunzioni torna a salire.

Al di là di ogni necessaria prudenza nel commentare le cifre, l’economista dell’USI sottolinea però alcuni aspetti su cui «è possibile riflettere. Il primo - dice Baruffini - è la riduzione dell’incremento annuo dei frontalieri, passato dal 4,4% del 2022 all’1,3% del 2023; il secondo è l’interruzione della striscia positiva di crescita delle assunzioni di permessi G, striscia che durava ormai da sette semestri».

I motivi alla base di queste oscillazioni non possono, ovviamente, essere ricondotti alle conseguenze dell’accordo fiscale con l’Italia, i cui effetti - spiega il ricercatore dell’IRE - saranno visibili «soltanto più in là. Sono piuttosto la conferma di una congiuntura negativa. L’economia elvetica è in difficoltà dalla metà dello scorso anno: avremmo potuto parlare di un’anomalia se il dato dei frontalieri fosse ulteriormente cresciuto». Quindi, nessuna sorpresa se il settore terziario ticinese ha perso da settembre a dicembre dello scorso anno 645 impieghi. E anche il calo, da un trimestre all’altro, di circa 130 addetti nel settore industriale è spiegabile con lo scenario internazionale: «In questo momento, c’è un serio problema di esportazione di manufatti in Germania», conferma Moreno Baruffini.

Uomini in maggioranza

Alcune considerazioni finali sulle cifre diffuse dall’UST. Intanto, si conferma il fatto che la maggior parte dei frontalieri in Svizzera proviene dalla Francia (57%) e lavora quindi nella Romandia. Il 23,2% e il 16,5% giungono invece rispettivamente dall’Italia e dalla Germania (il restante 3,3% è suddiviso fra altri Paesi).

Il settore terziario resta di gran lunga quello che attrae il maggior numero di frontalieri: il 69,14% in tutta la Svizzera, il 67,27% in Ticino. L’industria assorbe meno di un terzo della manodopera straniera (il 30,18% in Svizzera e il 31,82% in Ticino), mentre l’agricoltura conferma il suo ruolo residuale: 0,68% nella Confederazione e 0,91% nel nostro cantone.

Il frontalierato, infine, non riesce a superare le barriere di genere: i permessi G uomini sono infatti il 64,49% del totale (61,74% in Ticino), le donne invece il 35,51% (il 38,26% in Canton Ticino).