Lugano

Galleria del San Salvatore, processo bis con una perizia in più

Dopo due condanne nel 2019 per violazione dell'arte edilizia, ma non per franamento, gli imputati chiedono l'assoluzione mentre accusa e USTRA una pena più aspra – L'esperto non vede un nesso causale certo con i lavori
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Federico Storni
18.10.2023 18:00

Il crollo di parte della calotta della galleria autostradale del San Salvatore l’8 giugno 2017 è riconducibile a un errore umano o non era preventivabile? Se errore umano è stato, è provabile oltre ogni ragionevole dubbio? E chi lo avrebbe compiuto? Sono queste le domande al centro del processo bis in Appello per quei fatti, che vede alla sbarra due professionisti condannati in primo grado nel 2019 a pene pecuniarie sospese per violazione delle regole dell’arte edilizia. Un terzo professionista era stato assolto, un quarto è nel frattempo deceduto e il processo nei suoi confronti abbandonato. I due imputati, il progettista e direttore dei lavori 58.enne difeso dall’avvocato Luca Marcellini e il 40.enne suo assistente, difeso dall’avvocato Carlo Borradori, professano la loro innocenza, mentre la procuratrice pubblica Chiara Borelli e USTRA vorrebbero vederli condannati anche per franamento per negligenza e perturbazione del traffico, sempre per negligenza. Accuse da cui erano stati prosciolti in prima istanza. La sentenza della Corte d’appello e revisione penale (CARP) presieduta dal giudice Angelo Olgiati è attesa per le prossime settimane.

La vicenda è complessa, anzitutto perché il crollo - che non aveva causato feriti - è avvenuto cinque anni dopo i lavori e dunque trovare un nesso causale certo tra presunte omissioni nei lavori e l’evento non è scontato. Inoltre il processo di primo grado è stato fatto necessariamente in fretta perché incombeva la prescrizione. A provare a fare chiarezza ora, a quasi cinque anni dalla prima volta in aula, c’è una nuova perizia giudiziaria commissionata dalla CARP, che non ha giocato a favore dell’accusa. Il crollo, questo è indiscusso, è stato causato dalla pressione idrostatica sulla calotta della galleria, ma la perizia non dà una risposta univoca su cosa possa aver causato la pressione stessa, o se essa sia stata sottovalutata durante i lavori. Non sancisce, in altre parole, un rapporto di causa-effetto certo. E se alle difese va bene così, l’avvocato Luigi Mattei (a nome di USTRA) ha provato a dimostrare che in realtà un nesso sufficiente si può dedurre, in quanto la perizia afferma che dei fori di drenaggio realizzati per diminuire la pressione erano in realtà pressoché inutili e che a farli più grossi e profondi il rischio sarebbe fortemente diminuito. Ma non completamente sparito. La domanda è se a livello penale ciò sia sufficiente per una condanna. Ai due imputati viene rimproverato in sostanza di non aver verificato che questi fori fossero stati fatti e funzionassero. Per intenderci, avevano un diametro di 1,8 centimetri, mentre oggi - USTRA ha rimesso le mani sulla galleria dopo il crollo, con lavori ancora in corso - il diametro è di 10 centimetri, e delle squadre una volta al mese devono passare a controllare che non si siano otturati.