Galleria del San Salvatore, processo bis con una perizia in più

Il crollo di parte della calotta della galleria autostradale del San Salvatore l’8 giugno 2017 è riconducibile a un errore umano o non era preventivabile? Se errore umano è stato, è provabile oltre ogni ragionevole dubbio? E chi lo avrebbe compiuto? Sono queste le domande al centro del processo bis in Appello per quei fatti, che vede alla sbarra due professionisti condannati in primo grado nel 2019 a pene pecuniarie sospese per violazione delle regole dell’arte edilizia. Un terzo professionista era stato assolto, un quarto è nel frattempo deceduto e il processo nei suoi confronti abbandonato. I due imputati, il progettista e direttore dei lavori 58.enne difeso dall’avvocato Luca Marcellini e il 40.enne suo assistente, difeso dall’avvocato Carlo Borradori, professano la loro innocenza, mentre la procuratrice pubblica Chiara Borelli e USTRA vorrebbero vederli condannati anche per franamento per negligenza e perturbazione del traffico, sempre per negligenza. Accuse da cui erano stati prosciolti in prima istanza. La sentenza della Corte d’appello e revisione penale (CARP) presieduta dal giudice Angelo Olgiati è attesa per le prossime settimane.
La vicenda è complessa, anzitutto perché il crollo - che non aveva causato feriti - è avvenuto cinque anni dopo i lavori e dunque trovare un nesso causale certo tra presunte omissioni nei lavori e l’evento non è scontato. Inoltre il processo di primo grado è stato fatto necessariamente in fretta perché incombeva la prescrizione. A provare a fare chiarezza ora, a quasi cinque anni dalla prima volta in aula, c’è una nuova perizia giudiziaria commissionata dalla CARP, che non ha giocato a favore dell’accusa. Il crollo, questo è indiscusso, è stato causato dalla pressione idrostatica sulla calotta della galleria, ma la perizia non dà una risposta univoca su cosa possa aver causato la pressione stessa, o se essa sia stata sottovalutata durante i lavori. Non sancisce, in altre parole, un rapporto di causa-effetto certo. E se alle difese va bene così, l’avvocato Luigi Mattei (a nome di USTRA) ha provato a dimostrare che in realtà un nesso sufficiente si può dedurre, in quanto la perizia afferma che dei fori di drenaggio realizzati per diminuire la pressione erano in realtà pressoché inutili e che a farli più grossi e profondi il rischio sarebbe fortemente diminuito. Ma non completamente sparito. La domanda è se a livello penale ciò sia sufficiente per una condanna. Ai due imputati viene rimproverato in sostanza di non aver verificato che questi fori fossero stati fatti e funzionassero. Per intenderci, avevano un diametro di 1,8 centimetri, mentre oggi - USTRA ha rimesso le mani sulla galleria dopo il crollo, con lavori ancora in corso - il diametro è di 10 centimetri, e delle squadre una volta al mese devono passare a controllare che non si siano otturati.