Guardare oltre la siepe, l’esempio di Seminterra

Quando incontriamo nella campagna di Gudo Eric Vimercati, incuriositi dalla varietà di specie coltivate, gli chiediamo di raccontarci come vengono gestiti gli orti, lui, però, dribbla la domanda e ci invita a guardare ciò che un minuto prima non avevamo visto. Una siepe.
«Non una siepe monotona da giardino - di lauroceraso o di tuia - ma una siepe composta di diverse specie indigene che troviamo nei nostri boschi o in altri ambienti naturali». Ecco allora spuntare il sambuco, il crespino, il viburno, il corniolo, l’olivello spinoso e la rosa canina. «La primavera scorsa, grazie al sostegno di BirdLife Svizzera e Ficedula, sul perimetro del campo abbiamo piantato 450 arbusti di 15 specie diverse. Sarà una siepe viva, con fioriture e bacche che serviranno per attirare numerosi insetti e uccelli». Una misura di conservazione a favore della biodiversità ma anche per gli ortaggi». Quando dice «ortaggi», Eric - che di formazione è ingegnere ambientale - raccoglie da terra una carota ricurva e un po’ bitorzoluta «di quelle che non trovi al supermercato».
La nostra passeggiata nella cooperativa agricola Seminterra inizia così: un po’ come se di fronte a un quadro ci chiedessero di guardare la cornice. Ma anche le siepi fanno parte del quadro. Anzi, questa è la filosofia della cooperativa: «Le siepi completano un ecosistema che si arricchisce vicendevolmente di ogni suo singolo elemento. Seminterra non è solamente una superficie dove produrre ma dove permettere alla vita di svilupparsi nelle sue forme più svariate». La biodiversità, dunque, come valore in sé, ma non solo: «Più si diversifica un terreno, più diventa resiliente nei confronti di malattie, parassiti ed eventi estremi. Certamente non è immediato, ma è lì che vogliamo andare. La presenza di uccelli predatori di afidi e altri insetti parassiti, per esempio, ci aiuta a controllare la nostra produzione in maniera del tutto naturale». Nella stessa direzione si muovono altre misure come i mucchi di sassi e rami che incontriamo nella nostra passeggiata perimetrale. Sull’intero campo di Seminterra - che conta circa un ettaro e mezzo e che sorge accanto alla decennale avventura dell’associazione Lortobio - ne contiamo una quindicina. «Una sorta di rete ecologica dislocata su più punti: un habitat naturale per ospitare orbettini, ramarri, e altri piccoli animali».
Dalla periferia al centro. Cavolo a foglia Red bor, cavolo a foglia Raimbas, cavolo Fildcrakra, cavolo bianco Dotterfeld. E così via. Ognuno con il suo cartellino scritto a mano con l’indelebile nero. In una delle numerose aiuole del campo incontriamo Matilde e Federico. «Quest’anno è la prima volta che veniamo qui a Gudo». Con la piccola Emilia, stanno raccogliendo il sedano da taglio, una pianta aromatica simile al prezzemolo. Con il coltellino recidono il sedano alla base, puliscono gli steli appassiti e lo ripongono nella cassetta. Sono soci della cooperativa e hanno sottoscritto un abbonamento bisettimanale. «Significa che ogni due settimane riceviamo una cassetta con il raccolto e per regolamento siamo tenuti a svolgere almeno quattro giornate all’anno di lavori sul campo». Un contributo che Matilde e Federico svolgono con il sorriso sulle labbra.
In Ticino Seminterra è un unicuum. La chiamano agricoltura partecipativa. I prodotti coltivati collettivamente vengono consumati e distribuiti tramite un sistema di filiera corta che avvicina produttori e consumatori. Nel resto della Svizzera e in Europa questa forma di agricoltura supportata dalla comunità esiste da tempo. L’esperimento nella campagna di Gudo è iniziato due anni fa e oggi le cose filano lisce. «Abbiamo 160 soci, di cui la metà ha sottoscritto un abbonamento», spiega Lidia Selldorf che con Eric e un’altra decina di persone ha dato vita al progetto. Anche lei è ingegnere ambientale. «Con il raccolto, però, si condividono pure i rischi. Se dovesse arrivare la grandine in estate e distruggere la produzione, ognuno sa che per alcune settimane nella propria cassetta troverà poco o nulla». Una forma di condivisione del rischio e di solidarietà con il produttore che fa parte del progetto. Si divide il raccolto in parti uguali, si dividono i rischi. Piccola sfumatura, precisa Lidia: «Non si compra la verdura, ma una parte del raccolto, perché con l’abbonamento si diventa co-proprietari dell’orto». Un progetto che Lidia non esita a definire politico: «Con l’abbonamento ognuno di noi diventa responsabile del proprio consumo, riduce lo spreco e sostiene un certo tipo di agricoltura, locale, biologica e stagionale, portando nel contempo la propria socialità nell’orto».