«Ha portato il terrorismo in casa nostra»
«Sono pienamente convinta che quel martedì nero del 24 novembre 2020 nel reparto casalinghi della Manor in centro a Lugano l’imputata ha compiuto in solitaria un attentato terroristico con arma bianca cercando di assassinare due persone. Ha portato il terrorismo in casa nostra». È con queste parole che la procuratrice pubblica Elisabetta Tizzoni ha aperto la sua requisitoria, tesa a mostrare perché l’imputata – una 29.enne ticinese convertita all’Islam – deve essere condannata per tentato assassinio ripetuto. Condannata, per l’esattezza, a scontare 14 anni di carcere, sospesi a favore di un trattamento stazionario in struttura chiusa.
«Nonostante la sua semplicità di pensiero e la psicosi di cui soffre – ha continuato la procuratrice – sapeva che uccidere una persona in quel contesto è illecito. Voleva dimostrare la sua ideologia estremista al mondo sgozzando qualcuno». Era, in altre parole, capace di intendere e volere (due perizie chieste proprio dall’accusa parlano di una scemata imputabilità di grado medio: «Non è così squilibrata come vuole fare credere. Nella testa aveva in chiaro il luogo, l’arma e il primo obiettivo: una donna. Aveva deciso di agire nel centro della sua città (l’imputata è nata e cresciuta nel Luganese, ndr.) tra le 14 e le 17 quando ci sarebbe stato un numero adeguato di miscredenti. Anche la data non era scelta a caso: un mese prima di Natale, la festa per eccellenza della religione cristiana».
Tizzoni si è anche soffermata sulla radicalizzazione della donna: «Certo, di Islam e dell’ideologia dello Stato Islamico sapeva ben poco, ma è una radicalizzata. La radicalità affascina soprattutto le persone strutturalmente fragili e facilmente influenzabili, come i giovani adulti e le persone affette da patologie psichiche. Dell’ideologia alla base dell’Isis non sanno quasi mai nulla ma vi si attaccano tramite il lavaggio del cervello effettuato attraverso il web. Ad affascinare non è peraltro l’ideologia, ma l’estremismo e gli atti violenti, oltre a sentirsi parte di un gruppo. L’imputata aderendo all’estremismo si è sentita forte per la prima volta nella sua vita. Decidendo di non essere più vittima ma diventando carnefice».
Questione di millimetri
La procuratrice ha anche letto il referto medico relativo alle ferite riportate dalla vittima principale, un taglio da dieci centimetri al collo: «Quel coltello poteva causare lesioni letali. Non ha leso i grossi vasi del collo solo per pochi millimetri. Solo per un caso fortuito non vi sono state lesioni più gravi». A dieci mesi dall’attacco subito, la vittima soffriva ancora di dolori, disturbi del sonno e flashback giornalieri dell’attacco.