«Hai un’eredità da ritirare», ma in realtà è una truffa
Quasi venti milioni di dollari, mezzo milione di franchi e 14.000 euro. A tanto ammonta la truffa perpetrata ai danni di cinque cittadini nordamericani, raggirati tra il 2015 e il 2020. Tra gli attori anche un avvocato italiano 49.enne, residente e attivo in Svizzera, che oggi è comparso davanti alla Corte delle assise criminali di Lugano presieduta dal giudice Amos Pagnamenta.
L’uomo, difeso dall’avvocato Michele Rusca, è accusato di aver fatto attivamente parte dell’organizzazione criminale capace, appunto, di mettere in piedi una truffa internazionale. Ed è per questo che l’accusa – sostenuta dalla procuratrice pubblica Chiara Borelli – ha proposto una pena di sei anni di carcere per i reati di truffa per mestiere (ripetuta e in parte tentata), falsità in documenti, conseguimento fraudolento di una falsa attestazione e inganno nei confronti delle autorità.
L’eredità di un parente
Ma come venivano avvicinate le vittime? Venivano agganciate via email e telefonicamente, grazie anche a un raffinato meccanismo di menzogne e documentazione falsa da parte di fittizi istituti fiduciari e bancari. In sostanza, uno dei truffatori avvisava la vittima di essere beneficiaria di importanti eredità lasciate da un parente deceduto. I soldi, però, sarebbero arrivati attraverso banche italiane e, dunque, gli ereditieri si sarebbero dovuti appoggiare al sedicente (il nome si è rivelato essere falso) Alberto Rossi. Dottor Rossi che, nella sua funzione di facilitatore nella transazione (grazie anche alla collaborazione con Maurizio Draghi, un falso nipote di Mario Draghi), prospettava alle vittime la necessità di acquistare una società con sede e conti bancari in Svizzera. Ed è qui che entra in scena l’avvocato residente nel Luganese. Secondo l’accusa il 49.enne era il «tramite» svizzero, colui che metteva a disposizione le proprie società «dormienti» – di fatto praticamente inattive – a prezzi esorbitanti e, oltretutto, andava avanti a gestirle anche dopo la vendita per 60.000 franchi annui. Società che sarebbero in seguito servite per far confluire i capitali. Ma a tutto ciò manca ancora un tassello: il dottor Rossi, nel frattempo, chiedeva in più occasioni alle vittime di versare soldi per sbloccare la transazione e ottenere l’eredità: capitali che venivano depositati in una banca di una società tunisina di proprietà, sostenevano i truffatori, dei nipoti di Bettino Craxi. Un castello che, di fatto, ha permesso di racimolare qualcosa come 20 milioni di dollari.
«Un romanzo? No, la realtà»
«A leggerlo, l’atto d’accusa può sembrare un romanzo – ha commentato, durante la requisitoria, la procuratrice pubblica Chiara Borelli –. Invece è la triste realtà». E l’imputato, secondo l’accusa, si è prestato al gioco. Aiutando a creare «un danno materiale ed economico immenso». Contribuendo «in qualità di correo, si è macchiato di una colpa grave, estremamente grave». Per questo motivo è stata chiesta una pena di 6 anni di carcere oltre all’espulsione dalla Svizzera per dieci.
«Innocente, o complice»
L’imputato, per contro, si è dichiarato innocente e ha chiesto, in via principale, il proscioglimento da ogni capo d’imputazione. Il difensore Michele Rusca, durante l’arringa, non ha però tralasciato il fatto che l’assistito possa, in realtà, aver avuto un ruolo di complice: «Ha cominciato a dubitare di questa truffa soggiacente dall’estate del 2017. Credeva – ha sostenuto – che questi cittadini (le vittime truffate) volesse costituire fondi in nero in Europa». E, una volta scoperte le azioni non proprio legali, il 49.enne sarebbe stato minacciato dai protagonisti della truffa, costringendolo ad andare avanti. Per la difesa, quindi, l’imputato non avrebbe avuto una posizione centrale nel raggiro, ma piuttosto accessoria: «Non mi sembra si possa dire che il mio assistito dirigesse i giochi, tutt’al più ha retto il gioco», ha commentato Rusca. Avvocato che, inoltre, ha chiamato in causa anche le vittime: «C’è stata leggerezza da parte dei danneggiati che sulla base del nulla hanno pagato importi milionari». Per questi motivi, in via subordinata, ha chiesto che il suo assistito fosse prosciolto dai fatti accaduti prima del 2017 e che fosse ritenuto colpevole solo nella forma della complicità. E quindi la pena massima sia di 36 mesi, senza espulsione dalla Svizzera.