«Ho cucinato per Clinton ma in Ticino non si trova niente: per questo vado via»
Una delle peculiarità particolarmente affascinanti della lingua inglese è la sua capacità di evolversi, con neologismi che riescono a definire in maniera sorprendentemente azzeccata alcuni fenomeni della nostra società: uno di questi è «human capital flight». L'espressione spiega in modo più efficace quella che, in italiano, chiamiamo banalmente «fuga di cervelli». L'emigrazione verso Paesi stranieri di persone di talento o ad alta specializzazione professionale formatesi nella madrepatria è infatti un fenomeno che coinvolge non solo coloro che possiedono formazioni universitarie, i cervelli, ma anche eccellenze in diversi settori, anche più manuali. Il capitale umano della nostra società, appunto.
Eppure non sempre si riesce a mantenere questo prezioso capitale nel territorio. Anche il Ticino conosce bene questo fenomeno: secondo l’Ufficio cantonale di statistica, sono oltre 800 i giovani che ogni anno lasciano il cantone per, come direbbe LeBron James, portare i propri talenti altrove. Ogni caso è diverso e se stante: c’è chi parte in cerca di un migliore guadagno o verso le capitali del proprio settore di competenza. Altri invece rivelano contorni che lasciano decisamente più perplessi.
Vincitrice del premio di miglior apprendista cuoca della Svizzera e parte del team della nazionale elvetica che ha dominato agli ultimi mondiali di cucina in Lussemburgo, Dalila Zambelli probabilmente non avrebbe mai immaginato che la sua ricerca di lavoro in un settore come quello della ristorazione, che da anni denuncia carenza di personale (mancherebbe circa il 20% della forza lavoro, ndr), sarebbe stata così difficoltosa. Nonostante l’eccellenza del suo CV, le porte delle cucine ticinesi sono però rimaste chiuse.
«Quando nel 2022 ho finito la scuola, da cui sono uscita con voti dal 5,8 al 6 in quasi ogni materia, mi sono subito messa a cercare lavoro – racconta la ventiduenne del Gambarogno -. Ho mandato decine e decine di CV, ma praticamente non ho mai ricevuto risposta. Devo ammettere che ci sono rimasta male: addirittura un ristorante mi ha scritto che ero troppo qualificata per loro, come se non fossi consapevole che, al di là delle medaglie, sono solo all’inizio del mio percorso professionale e che avrei dovuto fare la classica gavetta per affermarmi».
Andare oltre Gottardo non era più una semplice opzione. «È chiaro che mi sarebbe piaciuto trovare qualcosa in Ticino, ma ho bisogno di fare esperienza e per questo, quando mi si è presentata l’opportunità di andare a Zurigo, non ho esitato. E sono contenta della mia scelta: dentro la cucina al Roof Garden mi sento come una bambina di fronte ai suoi giocattoli. Sento che sto imparando e crescendo, non solo professionalmente ma anche come persona. Inoltre lo chef fa parte della rappresentativa senior della nazionale svizzera, quindi conosce le mie ambizioni e le mie aspettative, permettendomi, quando possibile, di allenarmi e prepararmi per le Olimpiadi della Cucina che si terranno il prossimo febbraio a Stoccarda».
La voglia di lavorare quindi non sembra mancare a Dalila, a dispetto del luogo comune dei giovani che non sono più disposti a sacrificare ore in cucina mentre i coetanei si divertono. «Mi rendo conto che in questi anni, lavorando il weekend e finendo tardi, ho perso molti contatti. Ma non ho mai visto tutto questo come una rinuncia, la passione è sempre stata più forte di tutto. Forse un giorno questo cambierà, ma ad oggi voglio dare il massimo per realizzare i miei sogni».
Uno comunque è già stato realizzato: la vittoria del campionato mondiale di cucina nel 2022 con la nazionale giovanile svizzera. «È passato esattamente un anno da quel giorno, ma è come se fosse ieri. È stato un risultato frutto di un grande lavoro individuale fatto di tante ore di allenamento, ma soprattutto di un gioco di squadra impeccabile: in queste competizioni la comunicazione è fondamentale, ma per molte nazionali rischia di essere il punto debole, in particolare nei momenti di forte stress in cui di fronte alla difficoltà ci si chiude a riccio. Noi siamo riusciti a creare una grande alchimia e a sostenerci l’uno con l’altro. Siamo tutti sparsi per la Svizzera, ma ancora oggi quando ci ritroviamo sentiamo il legame indissolubile tra di noi: forse è stato questo il grande segreto del nostro successo».
Una squadra che ha avuto l’onore di preparare lo scorso 11 novembre a Berna il menù per il Prix Suisse 2023, dove tra gli ospiti c’era l’ex presidente americano Bill Clinton. «Non era la prima volta che cucinavamo a questo evento, ma ovviamente sapere di cucinare per personalità del genere fa sempre un certo effetto. Si crea una pressione che in realtà diventa un grande stimolo a fare sempre meglio: sono questi i momenti di crescita che è bello vivere assieme ai compagni di brigata».
Proprio la crescita è il mantra di Zambelli. «Come detto prima, mi sto allenando per fare bene con il team svizzero alle Olimpiadi. Ma trovo che la formazione continua, in un ambiente come la ristorazione, sia necessaria: per questa ragione vorrei cominciare a fare corsi di sommelier e di mixologia, che rappresentano un’evoluzione del lavoro degli chef». Ma questo percorso passerà anche dal tornare in Ticino? «Vedremo, è evidente che non dipende solo da me».