L'intervista

«Ho fatto alzare le tapparelle, il sole nell'aula porta saggezza»

A tu per tu con Michele Guerra, presidente del Gran Consiglio
©Chiara Zocchetti
Gianni Righinetti
02.01.2025 06:00

Dal colpo di scena del suo insediamento - l’arrivo nell’aula del Gran Consiglio di Giancarlo Giannini - alle continue richieste di «silenzio» rivolte ai deputati durante l’ultima sessione di dicembre. Michele Guerra, da maggio primo cittadino del cantone, traccia un primo bilancio di questa esperienza.

Iniziamo dalla fine, dalla sessione fiume di metà dicembre: in particolare tre giorni di dibattito sui conti senza arrivarne a una. Ha qualcosa da rimproverarsi o è il sistema-Parlamento e i suoi protagonisti a non funzionare più?
«Il sistema non risponde più alle esigenze di un Parlamento totalmente cambiato e frammentato. Abbiamo adottato misure mai viste prima per ridurre i tempi, come il dibattito ridotto per il preventivo combinato alla procedura scritta per gli emendamenti (in passato, per entrambi i casi erano dibattiti liberi con tempistiche ampissime). Nonostante questo freno a mano tirato al massimo e il non fare le pause, anche a fronte di oltre 70 emendamenti, il dibattito è durato quattro giorni costringendoci a rimandare vari temi: un record e soprattutto un segnale negativo. Non possiamo permetterci un Parlamento bloccato dalle sue stesse regole».

Che immagine devono farsi i cittadini di fronte a questa situazione?
«Un’immagine di frammentazione e complessità che se non affrontata sfocia nel caos. Una volta c’erano meno schieramenti e maggiore disciplina, ora le voci si sono moltiplicate. Tuttavia, l’Ufficio presidenziale sta già lavorando a una revisione normativa per adattare il sistema. Un Parlamento efficiente è il cuore della democrazia».

In maniera reiterata si è visto costretto a chiedere «più silenzio» addirittura «chiacchierate a bassa voce se volete chiacchierare». Ma il suo compito non è anche quello di mantenere ordine e disciplina in aula?
«La situazione permane simile ormai da troppi anni, soprattutto nelle discussioni lunghe (preventivo e consuntivo). L’unica differenza fra me ed i miei predecessori è che io ho deciso di non usare la campanella. Se prima si facevano scampanellate per richiamare al silenzio, nel mio caso interrompo i lavori e richiamo. Le scampanellate avvengono fuori microfono e non diventano di dominio pubblico. I richiami invece sono a microfono e la maleducazione di chi disturba viene messa di fronte a tutta l’aula, al pubblico e pure verbalizzata. Ricordo un intervento datato 2013 dell’allora collega Aldo Pedroni (che lo rese celebre). Una vera e propria invettiva contro una serie di chiacchieroni. Diversi lo applaudirono. Il “se volete chiacchierare fatelo a bassa voce” è ovviamente una frase ad effetto. Anni fa un mio predecessore, bloccandoli, chiese ad un paio di deputati che parlavano rumorosamente fra loro: “Vi disturbiamo?”. Questo approccio serve a mantenere ordine e rispetto reciproco».

Il sì al Preventivo 2025: più orgoglio o sollievo?
«Entrambe le cose. È stato un segnale di fiducia nelle istituzioni, ma anche una liberazione, visto l’impegno richiesto. Dopo circa 70 emendamenti, portare a termine il lavoro è stato un successo necessario per il Cantone».

Perché le indubbie qualità singole di molti parlamentari non riescono a generare una sintesi istituzionale virtuosa o magari anche brillante?
«Talvolta manca disciplina di partito e una visione comune. Ma il punto più dolente è che talvolta si tende a lasciare che ognuno porti avanti il proprio, mentre le istituzioni funzionano solo quando le individualità si mettono al servizio del bene comune. Questa è la sfida più grande della politica moderna».

Per avere silenzio c'è chi usava la campanella, io il microfono: chi disturba finisce a verbale

Il 2024 avrebbe dovuto essere l’anno delle prime realizzazioni politiche cantonali. Ci troviamo invece con un pugno di mosche. È così?
«Il contesto attuale è diverso rispetto al passato. Nel 2015, dopo diversi anni di buona collaborazione in Commissione gestione io mi sono trovato presidente della medesima e Christian Vitta direttore del DFE. Grazie a quella congiunzione astrale e ad un’intesa tra Governo e Parlamento, riuscimmo a far partire il risanamento delle finanze cantonali con il Preventivo 2016 (poi attuato con un apposito pacchetto di misure) che raggiunse gli obiettivi in tre anni. Oggi, spesso, manca quella “concordanza verticale e orizzontale” che permette di trasformare le idee in risultati concreti. Dobbiamo lavorare per recuperare questa capacità di costruzione condivisa. In tal caso basterebbe poco a risolvere diversi problemi».

Maggio 2024, il giorno della sua nomina in un contesto hollywoodiano con l’invito a sorpresa del celebre attore italiano Giancarlo Giannini, suo amico. Ha voluto fare il botto, il classico coup de théâtre?
«Giannini è il più grande attore italofono al mondo, unica stella italofona sulla walk of fame di Hollywood dopo Rodolfo Valentino (invece, per il cinema muto). Il Ticino, unico Cantone totalmente italofono della Svizzera, meritava un omaggio alla sua identità culturale proprio nel giorno in cui rinnovava la sua carica di primo cittadino (per la 233esima volta, secondo gli storici, dal 1803 ad oggi: in passato la nomina non era annuale)».

Come ha fatto ad entrare in relazione tanto stretta con lui? C’è poi chi si è chiesto quanto sia costato ai ticinesi questo suo «sfizio». Come risponde?
«Amici in comune. Cicerone nel De Amicitia ci ricorda quanto importante sia l’amicizia: ed io qui ne ho avuto una dimostrazione. Al Cantone, quindi alle ticinesi ed ai ticinesi la cosa è costata zero franchi. Alle mie tasche poca cosa (se non alcune spese di trasporto). Ed al Comune la festa/cena post-cerimonia con la popolazione (con i discorsi delle autorità) è pure costata meno di quanto preventivato».

Nel suo primo intervento ha voluto fare alzare le tapparelle della sala del Gran Consiglio, per fare entrare la luce. Quale il senso?
«Un augurio: un rito di buon auspicio, il chiamare la luce. Dal 2011 vedevo le nostre riunioni svolgersi chiusi come in una tomba con tutte le tapparelle abbassate. La luce del sole rappresenta il principio positivo, la verità, la saggezza, ma anche un po’ di normalità fra telecamere e microfoni. È stato da una parte l’auspicio di lasciarla entrare sempre nella nostra aula, dall’altra un invito a guardare sempre - anche - fuori, verso i cittadini, verso il mondo reale. Dobbiamo aprirci alla realtà e superare le oscurità delle divisioni ideologiche».

In Parlamento dal 2011 (aveva 25 anni), è ormai un veterano. Terminata questa legislatura vorrebbe tentare altre avventure, magari Berna o il Consiglio di Stato?
 «Mi considero un lavoratore di squadra, un “mediano” che si dedica con serietà al proprio compito. Non ho mai cercato protagonismo, ma se ci saranno opportunità per servire il Cantone in altri ruoli, le valuterò con attenzione. Finora, dal 2011, non ho mai avuto la possibilità di andare in lista per il Consiglio di Stato. Mi sono state chieste candidature di servizio per le elezioni federali e sempre ho cercato di dare il massimo per la squadra».

Giancarlo Giannini, un amico, e ai ticinesi non è costato un solo franco: le spese le ho pagate di tasca mia

«Se non collaboriamo tutti e novanta, non possiamo aiutare questo cantone a trovare soluzioni». Una sua frase. Frase fatta o ci crede?
«Certo che ci credo. Lo dicevo sopra: le istituzioni funzionano solo quando le individualità si mettono al servizio del bene comune. Ad esempio, alcuni ricevimenti li ho aperti (e continuerò ad aprirli) a chiunque fra i 90 e non solo - come si usava fare - ai membri dell’Ufficio presidenziale. E nel bene come nel male cerco di responsabilizzare tutti e 90. Per me ogni Deputato è Deputato ed ha pari dignità».

Essere presidente del Gran Consiglio significa anche essere presente ai momenti istituzionali importanti. Qual è stato il più arricchente del suo mandato fino ad oggi?
«Essere ricevuto a Montecitorio dal presidente della Camera dei Deputati. Parlare di Alptransit e ottenere il suo immediato sostegno con un comunicato stampa ufficiale della Presidenza della Camera in favore degli interessi ticinesi è stato un momento di grande rilevanza per il nostro Cantone e per i rapporti con il vicino di casa».

Non sempre i momenti sono gloriosi, ad esempio è stato anche in Vallemaggia, accolto da una parte di popolazione anche arrabbiata per le prospettive post-disastro. Che giornata era stata quella per lei?
«Sono stato accolto con grande dignità e fierezza. Ho ascoltato richieste giuste e pertinenti, che riflettono l’amore per la propria terra. Le valli hanno una capacità unica di rialzarsi, e questo mi ha toccato profondamente. Ad avermi toccato il cuore è stato l’incontro con un signore che ha lavorato per la ricostruzione del ponte di Visletto: alla sua inaugurazione è scoppiato a piangere».

La Lega, il suo partito, fa sempre discutere. Come vede la lunga stagione delle difficoltà che state attraversando da anni?
«La Lega ha vissuto anni difficili, perdendo molte delle figure fondamentali. Questo avrebbe messo in difficoltà qualsiasi movimento. Tuttavia, credo ancora nella forza della Lega come rappresentante della volontà popolare: come arnese snello della politica cantonale. Serve una leadership chiara che venga dalla gavetta nel Movimento e una visione unitaria per ritrovare solidità. I prossimi passi saranno cruciali: sbagliarli significa farsi male».

Ci tolga un dubbio. A quale Lega appartiene lei? A quella istituzionale o barricadera?
«La Lega è sempre stata “bicefala” cioè a due teste. Un equilibrio tra anime che alla fine si determinavano con disciplina su posizioni (il Nano garantiva disciplina). Le due e più anime permeavano ciascun leghista (io ad esempio entro nella Lega grazie al dottor Salvadè). Oggi invece si tende ad accentuare una piuttosto che l’altra in ciascuno di noi e questo crea divisioni. Oggi serve invece un ritorno alle origini, recuperando quella capacità di essere sia voce del popolo sia forza istituzionale. Tolkien diceva che le radici profonde non gelano. Le idee di base della Lega sono molto semplici: basta ricordarle».

Nella Lega sono un lavoratore, un mediano: dal 2011 non ho mai avuto la possibilità di correre per il Consiglio di Stato

Una curiosità: perché lei è sempre di nero vestito? Questo rispecchia il suo carattere, oppure sotto lo scuro c’è una persona brillante?
«Mi fa sorridere che mi abbiano ribattezzato l’“uomo nero”. Veramente è da sempre che mi vesto di nero (anche se spesso, va ammesso, è blu scurissimo). Lo scuro per me rappresenta serietà e umiltà. Ma se ci penso rappresenta anche ben altro. Lo spazio è scuro, il cielo stellato pure e se chiudiamo gli occhi, vediamo l’infinità dentro noi stessi, che è scura. L’infinito. E proprio dall’oscurità nasce la luce. È la dualità delle cose. Da bambino (ride, ndr), appena iniziate le scuole elementari, feci un disegno che mandò tutti i docenti nel panico. Un uomo vestito tutto di nero. Ecco, già allora le idee erano chiare. Comunque: è pure abitudine per i politici usare il blu scurissimo o il nero perché sono rispettosi del contesto formale».

Che augurio si sente di fare ai cittadini ticinesi per il 2025?
«Auguro al Ticino di trovare soluzioni concrete e di superare le divisioni. Concordanza e collaborazione sono fondamentali per il nostro futuro, soprattutto quando i problemi ci sono. L’anno scorso, in un’intervista a TeleTicino, alla medesima domanda avevo risposto con una citazione di Sallustio. La citazione fece molto discutere, fu pure ripresa in una trasmissione satirica della stessa emittente (e i motivi ben li vediamo oggi), ma mi sento di ripeterla all’infinito. “Nell’armonia anche le piccole cose crescono, nel contrasto anche le più grandi svaniscono».