"I piloti di rally non sono dei pazzi"

Pietro Ravasi, navigatore del neocastellano Grégoire Hotz, parla dopo la tragedia di Carlazzo: "Sembra sia stato un impatto violentissimo"
Red. Online
01.09.2015 05:00

LUGANO - Il giorno dopo la tragedia di Carlazzo (vedi Suggeriti) è un alternarsi di pensieri. Tra il dolore per chi se n'è andato e la compassione per chi è rimasto si cerca di capire il «perché tecnico», di visualizzare e ripercorrere, attimo per attimo, la dinamica del dramma. Ci ha provato, aspettando i risultati dell'inchiesta della Procura di Como, anche Pietro Ravasi, navigatore del pilota neocastellano Grégoire Hotz, assieme al quale è impegnato nel campionato svizzero di rally. «Ho parlato con il proprietario dell'auto guidata da Stefano e Robin. Da quello che abbiamo capito in base alle foto e alle prime ricostruzioni, la macchina è andata a sbattere con il fianco contro lo spigolo di un muro a lato della strada, vicino a una piazzola di sosta. Sembra sia stato un impatto violentissimo, tanto che dalla parte del navigatore la vettura rientrava di circa mezzo metro. Si è come chiusa attorno all'angolo della parete e la collisione, forse, potrebbe aver tagliato il serbatoio. Nelle macchine da corsa – prosegue il nostro interlocutore – questo pezzo è costruito per cercare di evitare incendi, infatti contiene un materiale morbido, una sorta di spugna, ma anche la sicurezza ha dei limiti e per generare una fiammata basta che una sola goccia di benzina finisca su una superficie arroventata, ad esempio quella del tubo di scarico. Credo sia stata una tragica fatalità – conclude Ravasi – E leggere certi commenti su Internet fa male: non si può parlare di sport più pericoloso di tanti altri e i piloti non sono dei pazzi».Il giorno dell'incidente a Carlazzo, Ravasi era in Vallese per un evento a favore dei bambini affetti da fibrosi cistica. I piloti hanno fatto salire i piccoli sulle macchine da rally per un giro a bassa velocità. Più alta per i genitori e per molti appassionati, che pagando hanno contribuito alla ricerca. «Erano tutti molto felici». Una luce in una giornata triste. «Conoscevo bene soprattutto Stefano – racconta Ravasi – Erano grandi persone, grandi lavoratori e avevano una grande passione».

«Non condannateci»Le vittime militavano nella scuderia Lugano Racing, la stessa di cui fanno parte Ravasi e Ivan Ballinari. «Ero amico di Stefano e Robin e mi dispiace moltissimo per le loro famiglie – racconta Ballinari –. Non erano persone che rischiavano per vincere». Per ora il nostro interlocutore preferisce non esprimersi sulla dinamica dell'incidente. «Non ci sono ancora prove, potremmo dire tante cose. Aspettiamo le perizie». Come Ravasi, invece, difende il rally. «Contro le fatalità non si può far nulla. Non bisogna calcare la mano contro il nostro sport, quelli pericolosi sono altri. Nel rally si fa attenzione alla sicurezza e si cerca di educare i giovani. È giusto parlarne, ma non condannarlo».