Ritratto

Il bambino che suonava le ringhiere

Francesco Piemontesi si racconta: dalla passione per il pianoforte al rapporto (non sempre facile) con la fama – La storia di un giovane pianista di fama internazionale diventato anche direttore delle Settimane musicali di Ascona
Il giovane pianista tiene una novantina di concerti ogni anno in tutto il mondo. (foto Roberto Barra)
Barbara Gianetti Lorenzetti
Barbara Gianetti Lorenzetti
14.09.2019 06:00

Se, ogni volta che uscite a fare una passeggiata, vostro figlio raccoglie un sasso e lo usa per far suonare qualsiasi cosa gli capiti a tiro (ringhiere comprese), alzate le antenne: potreste avere di fronte un pianista di fama internazionale in miniatura. Se, poi, la previsione si avvera e il successo arriva, state attenti a non metterlo su un piedistallo, perché dentro di sé, in fondo, quel bambino non sarà cambiato molto. Parola di Francesco Piemontesi, locarnese, 36 anni, che un pianista di fama internazionale lo è diventato per davvero. Un’ascesa che ha finito per avvolgerlo in una sorta di aura, tanto che ora molti, fuori dal suo mondo, sono convinti viva su un altro pianeta, fatto di grandi orchestre, festival siderali e rinomatissime sale da concerto. Ma lui – assicura – ha i piedi ben piantati per terra, lavora duro, fatica studiando, viaggia per suonare e, quando le luci si spengono e il coperchio scende sulla tastiera del pianoforte, Francesco è sempre Francesco. Quel bambino curioso che a ogni passeggiata raccoglieva un sasso per far suonare qualsiasi cosa gli capitasse a tiro.

L’amore dell’infanzia è però stato un «pianino». Lo chiama così il direttore delle Settimane musicali di Ascona, oggi berlinese d’adozione: «Una tastierina per bimbi, sulla quale, mi raccontano, passavo delle ore». Un interesse che attira l’attenzione di papà Giancarlo e mamma Michela, ai quali sembra però uno strumento troppo solitario. «Così si pensò di avviarmi al violino, ma mi pareva troppo avere i suoni tanto vicino all’orecchio. Così, al termine delle lezioni, finivo sempre per chiedere alla maestra di potermi mettere al pianoforte». Al cuor, insomma, non si comanda. Un’inclinazione cui vien naturale dare seguito, prima («quando avevo, penso, attorno ai 4, 5 anni») in seno all’Accademia Vivaldi di Minusio e poi presso un docente di piano a Como. Nel frattempo Francesco trascorre un’infanzia felice, «per la quale non ringrazierò mai abbastanza i miei genitori. Ricordo i giochi con i coetanei, le scuole elementari a Tenero, a pochi passi da casa. L’interesse per l’architettura e la geografia. I_prospetti che papà, allora direttore del locale ente turistico, ci portava. Guardavo le fotografie affascinato e chiedevo di esser portato qua o là. E spesso – aggiunge sorridendo – la spuntavo».

Poi arriva l’adolescenza. «Un periodo difficile, che ricordo quasi con dolore. Alle medie non mi integrai mai veramente, poco capito soprattutto da alcuni docenti, perché ero molto curioso e volevo sapere tutto». C’è anche chi guarda con diffidenza alla sua passione per il piano e per la classica. «Addirittura – ricorda ancora – qualcuno tentò di farmi smettere o di ‘deviarmi’ verso generi e strumenti ritenuti più ‘leggeri’». Un primo scontro, insomma, con i pregiudizi che ancora oggi avvolgono spesso la musica cosiddetta «seria». «Che invece – chiosa Piemontesi – è una realtà tutt’altro che statica:_in continua evoluzione, cammina esattamente al nostro passo». È a quell’epoca che fa capolino il Francesco deciso e combattivo, pronto ad affrontare ogni sfida. «Alla fine – e per questo quasi ringrazio – quei tentativi di farmi cambiar strada mi rafforzarono sulla mia, tanto che già alle medie (allora si poteva) iniziai a frequentare il conservatorio. Fu un periodo molto intenso (e pesante per mia madre): allo studio a casa si aggiungevano infatti le trasferte a Lugano nei pomeriggi del mercoledì e del venerdì, oltre che il sabato tutto il giorno».

Quindi approda al liceo di Locarno. «Anni bellissimi – prosegue – durante i quali ho incontrato persone straordinarie. Fin da subito ho provato una forte affinità con molti dei miei compagni. Ognuno, a suo modo, aveva un interesse, una passione che lo assorbiva. Eppure – e trovo che questo sia un aspetto fondamentale – si riusciva comunque ad essere spensierati. Importante, insomma, prendere sul serio ciò che si fa, ma mai prendere troppo sul serio se stessi». Oggi diversi di quegli studenti hanno seguito strade particolari, «che – aggiunge il direttore delle Settimane – li hanno anche portati all’estero. Mi capita così, durante le tournée, di incontrarli in giro per il mondo. E ogni volta, anche se magari erano anni che non ci si vedeva, sembra sempre di essersi lasciati il giorno precedente». Ad accomunarli, appunto, il fuoco delle passioni. «Sono estremamente grato di aver avuto in dono quella per la musica. Che rinasce ogni giorno, che mi accompagna in ogni minuto della vita e le dà un senso diverso, profondo». Ci sono però anche i momenti in cui si sente l’esigenza di lasciare per un po’ l’universo dei suoni. «Raramente sì, ma capita – spiega Piemontesi –, soprattutto quando ho lavorato molto e intensamente. Allora l’unica cosa che ascolto volentieri è un bel silenzio». Per il resto l’interesse del musicista va anche al jazz. «Lo suono pure, a volte, ma per divertimento. Poi ci sono colleghi che apprezzo particolarmente. Ricordo una volta a Parigi, il 14 luglio, la straordinaria improvvisazione sulla ‘Marsigliese’ di Martial Solal. È riuscito ad andare avanti per un’ora buona».

Riprendiamo però il filo biografico e scopriamo che dopo il liceo Piemontesi frequenta per un anno musicologia all’università di Zurigo, continuando anche a studiare a Lugano. «In attesa di potermi trasferire in Germania, ad Hannover, nel cui conservatorio insegnava il docente che è stato il mio mentore». Là è rimasto una decina d’anni. «Un periodo bellissimo, in una splendida città, che non ti aspetteresti. Vi si respira un’atmosfera estremamente vivace, anche solo per la forte presenza studentesca: noi eravamo 1.400 e molti altri frequentavano l’università». Nella località tedesca (e nella classe di Piemontesi) si concentrano molti dei migliori talenti pianistici dell’epoca (oggi quasi tutti quotatissimi a livello internazionale). «Lo scherzoso, continuo confronto fra noi ci ha permesso di migliorare costantemente, quasi senza accorgercene». Così gli ultimi anni diventano anche il trampolino di lancio verso il «mondo reale». «Al quale – racconta ancora il nostro interlocutore – proprio per quella formazione estremamente curata, ci siamo affacciati preparatissimi». Le richieste per concerti, che già fioccavano durante gli studi, aumentano esponenzialmente e ai giovani studenti rimane solo l’invidiabile imbarazzo della scelta. Un’evoluzione in costante crescita, tanto che oggi sul tavolo di Piemontesi arrivano fra le 300 e le 400 proposte all’anno. «Ma – spiega – per me l’ideale è al massimo una novantina di esibizioni. Andare oltre comporta il rischio di esaurirsi, sia fisicamente sia psicologicamente. Perdendo quello stato emozionale che è fondamentale per riuscire a coinvolgere chi ti ascolta. E poi bisogna anche staccare e riposarsi: io lo faccio leggendo, giocando a scacchi, andando in bicicletta, facendo jogging o nuoto e viaggiando».

Poi ci sono le Settimane musicali, che proseguiranno lunedì con il concerto di Marc-André Hamelin e dove mercoledì lo stesso Piemontesi sarà protagonista. Il suo rapporto con la rassegna il direttore lo ha spiegato nell’intervista apparsa sul Corriere lo scorso 3 settembre, esplicitando la freschezza che la sua mano ha regalato alla programmazione, sia per quanto riguarda gli autori e le opere sia per gli esecutori (spesso piacevoli scoperte). E alle Settimane, a volte, se si è fortunati, lo si incontra. Un’occasione per scoprire che l’immagine del piedistallo di cui parlavamo all’inizio è ben lontana dalla sua realtà. «Perché, nonostante la fama e il fatto che – a volte – la gente stenti a crederci, in realtà sono sempre lo stesso. Ho solo avuto la grande fortuna di ricevere in dono una passione straordinaria».