Il caso

Il castello del mistero e Giulio Cesare

Giornico: c’è chi sostiene che il Castellaccio dall’insolita forma triangolare, di cui rimangono soltanto le rovine, sia stato un «regalo» del generale romano - Molto più probabile, invece, che l’edificazione del maniero risalga al Medioevo
Le rovine del maniero e, in alto, la cartina datata 1681. © Infografia CdT
Alan Del Don
13.07.2023 06:00

In una cartina della Leventina datata 1681 lo si intravede in basso a sinistra. La scritta recita «Castellazzo trofeo di Giulio Cesare imperatore romano». La forma è triangolare. Insolita, non c’è dubbio. Le rovine di questa misteriosa fortezza - il Castellaccio, o Caslasc - si trovano 250 metri sopra il paese di Giornico, salendo verso Catto, sul fianco destro della valle. Che allora, pur essendo un baliaggio, godeva di una certa autonomia da parte del cantone sovrano di Uri. Il dominio del balivo sfociò però l’8 maggio 1755 nella famosa rivolta che portò al sequestro di quest’ultimo, sì, ma anche meno di un mese dopo alla morte dei tre presunti responsabili dell’insurrezione (Giovan Antonio Forni, Lorenzo Orsi e Giuseppe Sartore), i quali vennero giustiziati in piazza a Faido. Seguì un periodo di profonda instabilità politica ed economica.

Le considerazioni del prete

Il riferimento al maniero ed al contesto storico non è estemporaneo. I granconsiglieri PVL e Giovani Verdi Liberali Sara Beretta Piccoli e Massimo Mobiglia hanno inoltrato un’interrogazione al Governo attraverso la quale chiedono lumi sul complesso e sulla sua importanza quale sito archeologico. «La storia di Giornico risale a tempi antichi. L’area ha una ricca eredità culturale che risale all’epoca romana. Durante il periodo medievale Giornico divenne un importante centro commerciale grazie alla sua posizione strategica lungo la via del San Gottardo, una delle principali rotte commerciali tra l’Italia settentrionale e l’Europa centrale», rilevano i deputati. I quali descrivono il Castellaccio come «uno dei luoghi più misteriosi della Svizzera italiana. Si tratta di una costruzione ciclopica a forma triangolare (un incredibile triangolo equilatero di circa 50 metri per lato), con muri che superano gli 8 metri di altezza e con una profondità di almeno 5 (esclusi i contrafforti)».

Il primo a parlarne (anzi, a scriverne) fu a fine Ottocento il prete Giovanni Rigolo di Anzonico, che sulla base delle rovine fece risalire il castello nientemeno che al generale, triunviro e dittatore Giulio Cesare. Anche se c’è chi ritiene che ciò possa essere frutto, più che altro, della tradizione orale chiaramente molto in voga a quei tempi. Di scritto, infatti, figura ben poco (per non dire quasi nulla). Da notare che, a forma di triangolo, sono peraltro disposti lo stesso Caslasc, la Torre di Atto (o d’Attone, come viene anche chiamata: antecedente al Mille, la sua esistenza è accertata grazie ad una pergamena di fine 1311) e la chiesa di Santa Maria del Castello (che, con ogni probabilità, era parte integrante di un fortilizio distrutto dagli Urani nel 1518).

Le domande al Governo

Un mistero nel mistero, insomma. Se poi ci aggiungiamo - come annotano Sara Beretta Piccoli e Massimo Mobiglia - una mappa del tesoro opera proprio di Giovanni Rigolo e relativa all’intera Leventina allora capite che andare a fondo oltre che un atto di curiosità è pure dovuto. «Al momento quello che rimane del Castellazzo è un cumulo di enormi massi che occupano centinaia di metri quadri in una posizione sconcertante proprio a picco sulla valle (...). Secondo le indicazioni reperite sul sito del Comune di Giornico, l’istituto dei monumenti storici del Politecnico federale di Zurigo fece eseguire nel 1999 un dettagliato rilevamento archeologico-topografico del complesso che concluse che per la tipologia della costruzione e la sua posizione strategica dovesse essere una fortificazione alpina longobarda dell’alto Medioevo, ma senza comprenderne bene la vera essenza». Grazie alla sua posizione, infatti, l’ente locale bassoleventinese è stato contraddistinto da un costante via vai trovandosi lungo la strada del San Gottardo.

I granconsiglieri domandano al Governo se i «beni storici o un qualche ufficio del Cantone si è mai occupato di analizzare o comprendere l’origine o il significato di questa imponente costruzione» e quali conoscenze ha il Cantone riguardo al Castellaccio. I deputati desiderano inoltre sapere che origini ha il complesso e per quali motivi è stato realizzato nonché come mai «non vi sono indicazioni di sorta per raggiungere l’importante luogo archeologico. Sarebbe possibile almeno indicarne l’esistenza sui cartelli dei sentieri in loco?». Sara Beretta Piccoli e Massimo Mobiglia chiedono infine di assicurare la conservazione del sito pulendolo e tagliando le piante che stanno «distruggendo quello che ancora» rimane.