Il Centro al Suu sta per chiudere
L’Associazione vivere insieme (AVI) deve gettare la spugna e, entro fine giugno, smetterà di gestire il Centro al Suu a Bombinasco (frazione di Curio, nel medio Malcantone). Questo significa che 17 persone perderanno il lavoro (le lettere di licenziamento sono già state consegnate) e che una decina di residenti storici - il «nucleo fisso»: così viene definito sul sito dell’AVI - dovrà cercare una nuova casa. Si tratta di adulti fra i trenta e settant’anni con disagi psichici o mentali leggeri che beneficiano di una rendita d’invalidità.
La storia
L’Associazione vivere insieme è nata nel 1990 per volontà della fondatrice Elisabetta Steiger, che ha voluto creare «un centro dedicato al sostegno di persone in diverse situazioni esistenziali, all’interno di una casa che vuole essere luogo d’incontro e di conoscenza e non un istituto sociale». Il Centro al Suu è operativo dal 1994 in spazi di proprietà della Fraternità dell’opera serafica di carità di Soletta, una società di vita apostolica femminile di diritto pontificio. Al decesso nel 2016 di Steiger l’AVI è entrata nell’orbita della Fondazione Francesco di fra Martino: era previsto un passaggio graduale di gestione da un ente all’altro che avrebbe garantito continuità ma anche un ampliamento dell’accoglienza. Ma il trapasso non si è verificato.
Il Centro, per precisa volontà della fondatrice, non beneficia di aiuti statali: «Il principio guida che l’animava - si legge sempre sul sito dell’AVI - era la creazione di un’impresa sociale nel settore alberghiero». Impresa che comprende anche la vendita diretta di prodotti a chilometro zero a «Ul Buteghin».
Il disimpegno
Il motivo dell’estrema difficoltà in cui si è trovata AVI sarebbe da ricercare proprio nel disimpegno della Fondazione Francesco: «Lo scorso settembre, per la sorpresa di noi altri membri di comitato - ci dice Daniele Ryser - La Fondazione ci ha comunicato che non ce la faceva e che rinunciava. Stava lavorando a uno studio di fattibilità per mettere a posto la struttura. Da parte nostra abbiamo cercat odi aumentare gli ospiti per riequilibrare finanziariamente la gestione, ma è una cosa che richiede tempo. Alla fine abbiamo purtroppo dovuto decidere di terminare l’attività».
Nessuna risposta
Ieri abbiamo provato a contattare fra Martino, direttore della Fondazione Francesco, nonché membri del suo Consiglio d’amministrazione, purtroppo senza successo, per capire i motivi per cui la Fondazione ha deciso di fare un - immaginiamo doloroso - passo indietro. La Fondazione è stata istituita nel 2016 proprio per (citiamo da loro sito) «promuovere tre diversi spazi di accoglienza collettiva, rivolti principalmente alle fasce più fragili della popolazione locale a Bombinasco, Locarno e Lugano; oltre a sostenere finanziariamente e a livello alimentare le persone in difficoltà». L’impressione, ma il condizionale è d’obbligo in mancanza di conferme ufficiali, è che l’impegnativa ristrutturazione della masseria di Trevano stia occupando la Fondazione forse più di quanto preventivato.
Ricollocamenti difficili
Nei prossimi mesi i vertici dell’AVI cercheranno di dare una mano alle persone toccate dalla chiusura. «Ma non sarà facile - spiega Ryser. - Diversi ospiti sono in età AVS e in Ticino a quest’età non vi sono più istituti: si va in casa per anziani. Anche a livello di personale, alcune delle persone che collaboravano con noi erano arrivate dopo essere state licenziate altrove perché giudicate troppo in là con gli anni. Inoltre impiegavamo anche tre persone nell’ambito di un programma di attività occupazionale».
La speranza
In Ryser c’è ancora la speranza che qualcuno possa intervenire a salvare la situazione, anche se «realisticamente è difficile»: «Mi piacerebbe che ci si sedesse tutti attorno a un tavolo a discutere i possibili scenari, perché l’interesse per la struttura c’è». Con «tutti» Ryser pensa ai Comuni della regione o alla Fondazione Giovanni e Giuseppina Rossi che gestisce la casa per anziani di Castelrotto (e gestirà quella in costruzione a Caslano): «Sarebbe valorizzare gli edifici come centro diurno o come luogo di soggiorno temporaneo per anziani non autosufficienti quando i familiari curanti vanno in vacanza».
C’è infine un punto di domanda sul futuro degli edifici. L’intenzione delle suore dell’Opera serafica è vendere i tre ettari di terreno con la villa e l’altro edificio. Se possibile - e a un prezzo favorevole - a una realtà che ne mantenga la vocazione sociale. Ma se tale realtà non si dovesse palesare, il terreno potrebbe finire in mani private.
Il Centro al Suu «era una struttura polivalente, aperta e familiare - chiosa Ryser, - apprezzata dagli ospiti fissi e da quelli temporanei, nonché da diversi Istituti che portavano i loro ospiti in vacanza da noi. Si era creato un bello spirito comunitario». Che, salvo sorprese, ha purtroppo le ore contate.