Il Circo Knie torna ad Agno: «Cercheremo di portarvi un po' di magia»
Ivan Knie, figlio di Géraldine nonché degno erede della dinastia, sorride. Per due weekend consecutivi, fra il 29 novembre e l’8 dicembre, il Circo Knie farà tappa ad Agno, in Ticino. «Cercheremo di portarvi un po’ di magia» confida il nostro interlocutore. È l’inizio di una lunga chiacchierata.
Innanzitutto, quali sensazioni prova
la famiglia Knie in vista di questo ritorno in Ticino, oramai imminente?
«Partirei dai ricordi, bellissimi, dei due
weekend vissuti nel 2023 ad Agno. Era la prima volta per noi nel Malcantone. E
le cose sono andate ben oltre le nostre aspettative. Siamo stati accolti
benissimo e, durante gli spettacoli, la gente si è divertita. Missione
compiuta, insomma, se ripenso all’anno scorso. La speranza è di poterci
ripetere».
La prevendita, in questo senso, che
cosa vi suggerisce? Che c’è ancora voglia di Circo Knie in Ticino?
«Penso che il clima si riscalderà,
davvero, una volta che saremo fisicamente in Ticino. Quando, cioè, anche i
media ticinesi parleranno di noi. La prevendita, sin qui, è stata buona. Ma
contiamo di attirare ancora più persone durante la nostra permanenza ad Agno.
Molto, in questo senso, farà il primo spettacolo. Attraverso il passaparola farà
confluire chi non si era già assicurato i biglietti».
Dopo una vita e oltre sullo sterrato
a Cornaredo, complice la costruzione del nuovo stadio il Circo Knie si è dovuto
trasferire. Agno, in fondo, era un’incognita per voi. Ma l’esame è stato
superato, no?
«Agno si è rivelata una buonissima
soluzione. Se le cose, in termini di pubblico, dovessero andare come l’anno
scorso potremmo ritenerci soddisfatti. Nel 2023, devo dire, è stato incredibile
vedere l’emozione negli occhi degli spettatori. Sì, i loro occhi luccicavano
come stelle ed è qualcosa che ci ha toccato nel profondo. Quando ci rendiamo
conto di aver fatto un ottimo lavoro, di aver saputo conquistare un affetto del
genere, tutto il resto non conta più».
Da Agno, considerando che il terreno
su cui viene montato il tendone non è di proprietà del Comune, avete già
ricevuto rassicurazioni che vadano oltre l’edizione attuale e quella del 2025?
«No, non ancora. Ma credo sia presto per
parlarne. Il nostro focus, d’altronde, è sullo spettacolo. E poi c’è tempo,
avendo blindato questa e la prossima edizione».
Le tappe nel resto della Svizzera,
sin qui, che cosa vi hanno suggerito? Com’è stato giudicato lo spettacolo?
«Finora è stata una stagione incredibile
e, proprio per questo, siamo fiduciosi in vista dei nostri impegni in Ticino.
Abbiamo avuto riscontri eccezionali anche in Romandia, dove eravamo appena
stati. E in alcune città abbiamo registrato veri e propri record in termini di
pubblico. Tutti, devo dire, hanno adorato lo show».
Sembrerebbe che stiate ancora beneficiando,
a livello di spinta, del post-Covid. E della voglia di liberare la mente dopo
un lungo periodo di privazioni.
«Quello del Covid non è stato un periodo
facile. Per nessuno, pubblico compreso ovviamente. Eppure, in mezzo a quelle
difficoltà, siamo riusciti a costruire. E, quindi, a collezionare ricordi
positivi. Nonostante tutto. E nonostante, ad esempio, una tournée di poche
settimane prima che le autorità richiudessero tutto un’altra volta».
Economicamente, quindi, ora come
state?
«Beh, siamo ancora qua. Significa che
abbiamo superato le difficoltà citate. Imparando, appunto, tanto, anzi
tantissimo. Abbiamo saputo riorganizzarci, ottimizzare le stagioni, cambiare
sul fronte della logistica, essere, direi, più spontanei. Una cosa, però, non è
cambiata: lo spettacolo è rimasto al centro. Guai a risparmiare sullo show e
sull’estetica. Detto in altri termini: mai far pesare al pubblico determinati
problemi».
Come fate a essere, al tempo stesso,
famiglia e azienda? Che cosa vi muove e tiene tutto assieme, la passione per
questo mestiere?
«La famiglia Knie è sempre presente.
All’interno dello spettacolo e dietro le quinte. Ed è una presenza importante, una
sorta di garanzia. La famiglia, in fondo, contribuisce al legame con il
pubblico. La gente, quando viene a vederci, ha l’impressione che questo sia
anche il loro circo. Ed è un aspetto, trovo, meraviglioso. Il segreto è proprio
questo. Esserci, da un lato. E, dall’altro, saper ascoltare chi ci guarda. Io e
gli altri membri della famiglia rispondiamo sempre in prima persona a un’e-mail
o a un messaggio».
È questo legame, diciamo viscerale, a
spingervi di anno in anno ad alzare l’asticella? O, dietro alle novità
introdotte negli ultimi tempi, c’è la necessità di portare il Circo Knie verso
la modernità?
«Le due cose. C’è la passione,
indubbiamente. Siamo dei veri e propri fanatici. Come lo sono tutti coloro che
amano il proprio mestiere. Una passione che, poi, sfocia nell’esperienza e
nella disciplina. E poi c’è tutto quello che succede attorno a noi».
Il fatto di girare così tanto fa di
voi dei grandi conoscitori del Paese. Conferma?
«Probabilmente c’è chi gira più di noi, in
Svizzera e all’estero. Ma noi lo facciamo da oltre cento anni. Da più
generazioni. Eccola, l’esperienza di cui parlavo. Siamo una famiglia ma siamo
altresì una squadra, nella misura in cui gli scambi con mia mamma o mio nonno
sono continui».
Quali saranno gli highlight dello
spettacolo 2024?
«Avremo una band, i Pegasus, che proporrà
anche degli effetti visivi interessanti. Ci sarà un comico stand-up, Mike Casa,
che fra l’altro è ticinese. Poi acrobati e balletti mai visti prima, come
quello folkloristico georgiano, a mio avviso uno dei numeri più belli dello
show 2024. E ancora: dei calciatori freestyle fra i più bravi al mondo, i nostri
tradizionali numeri con i cavalli e tanto, tantissimo altro. Non ci sarà un
vero e proprio fil rouge, a ogni modo».
Il Circo Knie si sta allargando
sempre più verso nuovi orizzonti e nuove discipline. Significa che, nel
selezionare gli artisti per il vostro spettacolo, non cercare più solo
nell’universo circense.
«È vero, siamo molto aperti. Ma lo siamo
da parecchio tempo e non solo negli ultimi anni. La mia famiglia, per dire, ha spesso
portato comici televisivi all’interno del tendone. Per forza di cose ci
ispiriamo a ciò che funziona e, come si dice, va di moda. Abbiamo introdotto
anche molta tecnologia, ma sempre mantenendo gli artisti al centro. E sempre
mantenendo la nostra firma, che è importante. Dietro c’è sempre il marchio Knie».
A proposito di firma: quanto sudore
c’è dietro a uno spettacolo del genere? Quante ore di allenamento vi sono
servite, ad esempio?
«Non si possono contabilizzare. Il nostro
non è solo un lavoro, è uno stile di vita. È qualcosa che ti avvolge e ti
coinvolge sempre. In ogni momento. Passiamo un sacco di tempo a discutere,
pianificare, creare. Insieme. Non tutto, visto che siamo sempre in giro, ci
riesce. Ma nel caso del Circo Knie è necessario giocare molto d’anticipo. Come
finiamo una tournée, infatti, ci troviamo già a preparare i bagagli per quella
successiva».
Il tutto, dicevamo, tenendo a mente
quel luccichio negli occhi di chi vi guarda, giusto?
«Assolutamente. La priorità numero uno è
far sognare il nostro pubblico. Far sì che gli spettatori passino due ore e
mezza dimenticandosi del resto. Uno spettacolo è come un bambino che vedi
crescere passo dopo passo. E quando finalmente quel bambino diventa grande, provi
una sensazione bellissima. Una delle più belle al mondo».
Questa spensieratezza quanto è
importante, visto il contesto attuale fra guerre e difficoltà economiche?
«È molto importante, certo. Viviamo tempi
complicati, ma ho l’impressione che le cose non fossero migliori in passato.
Prima, a proposito di emozioni, parlavo della tecnologia e dell’impatto che sta
avendo sul nostro show. Io, però, preferisco mettere al centro le persone.
Quello che facciamo e proponiamo non verrà mai rimpiazzato dall’intelligenza
artificiale o dalla realtà virtuale. Detto questo, noi come detto abbracciamo
le novità. Cercando di lavorare di pari passo con gli sviluppi tecnologici. Uno
spettacolo vissuto dal vivo, in ogni caso, è un mondo a sé. E niente di
artificiale potrà mai avvicinarvisi».
Ma Ivan Knie ha mai chiesto a ChatGPT
di preparare uno spettacolo o un determinato numero?
«Può darsi (ride, ndr). L’ho detto,
bisogna rinnovarsi e bisogna lavorare di concerto con la tecnologia. Ma questa
tecnologia non deve mai, e dico mai, prendere il sopravvento rispetto agli
artisti. È il pacchetto, l’insieme che deve funzionare. Avere tanti elementi e
saperli giostrare, come un giocoliere, è la parte interessante ma al contempo
difficile del nostro lavoro».