Lugano

Il destino sospeso degli edifici, tra proteggere e demolire

Cosa comporta preservare e convertire uno stabile piuttosto che raderlo al suolo e costruirlo ex novo? Con la municipale Cristina Zanini Barzaghi abbiamo parlato del tema del riuso architettonico tra limiti e opportunità
Lugano è proprietaria di circa 420 edifici. ©CdT/Chiara Zocchetti
Valentina Coda
17.10.2022 06:00

Appurato che l’aspetto di una città si modella insieme agli usi e costumi della società che ci vive, è altrettanto vero che gli edifici esistenti, siano essi storici, dismessi o di vecchia fattura, rispecchiano quasi sempre le esigenze del presente. Il riuso architettonico è da anni una buona alternativa per evitare di radere al suolo stabili con un passato ingombrante, continuare a offrire la possibilità di leggerne la memoria e rivisitarli in chiave moderna. Di esempi, a Lugano, ce ne sono parecchi. Antiche limonaie convertite in spazi espositivi, masserie che ospitano spazi multiuso, mense sociali e bed & breakfast, parti di un vecchio mulino convertite in pub e ristorante, un vecchio torchio riattato. Poi ci sono quegli edifici con un destino ancora poco definito, sospesi nel tempo. Il dibattito sul convertire-demolire è ormai ciclico sulle rive del Ceresio: l’iter decisionale è spesso travagliato. Preservare e riconvertire oppure darci un taglio e costruire? In passato diverse ville storiche e antichi edifici sono finiti sotto il peso delle ruspe impoverendo il patrimonio architettonico del territorio. Con la capodicastero Immobili Cristina Zanini Barzaghi abbiamo fatto un giro di orizzonti di quegli edifici a cui si è preferita una seconda vita alla demolizione.

Un utilizzo accorto

Lugano è proprietaria di circa 420 edifici, di cui circa 160 sono amministrativi, scolastici, sportivi, sociali, culturali o residenziali. Dalla costituzione del dicastero Immobili nel 2016, la Città ha iniziato a guardare con un occhio di riguardo al destino dei propri edifici. «Privilegiamo la conservazione e il riuso, anche laddove non esiste una protezione come bene culturale – ci spiega la municipale –. Non si tratta solo di salvaguardare l’ambiente sprecando meno energia grigia, ma soprattutto di usare in modo accorto quanto esiste, trovando soluzioni creative di reimpiego degli spazi». Un esempio concreto sono le ex case comunali – dette anche «case SPIN» – distribuite sul territorio, che stanno man mano diventando centri a favore delle associazioni locali e dei cittadini. In entrata avevamo accennato al fatto che gli edifici rispecchiano quasi sempre le esigenze del presente. A mente della capodicastero, non è facile trovare i mezzi finanziari per ristrutturarli senza prima aver individuato dei contenuti concreti e che portino benefici alla popolazione. È bene sottolineare, però, che gli edifici completamente dismessi a Lugano sono percentualmente pochi. «Laddove è possibile, collaboriamo con altri enti. Un esempio potrebbe essere villa Rava a Viganello, dove troverà casa la sede di SCuDO».

Constato come professionista che per riuscire a rispettare le numerose leggi edili risulta più semplice progettare nuove costruzioni e demolire quelle vecchie

Deroghe ai vincoli pianificatori

Nella doppia veste di ingegnera civile e capodicastero Immobili, con Zanini Barzaghi abbiamo toccato anche una tematica che ciclicamente scalda gli animi a Lugano ed è spesso al centro di attriti e malumori: il dibattito sul convertire-demolire. Cosa comporta adattare un edificio alle esigenze attuali piuttosto che raderlo al suolo e costruirlo ex novo? «Constato come professionista che per riuscire a rispettare le numerose leggi edili risulta più semplice progettare nuove costruzioni e demolire quelle vecchie – osserva –. Eppure, una buona parte dei materiali è tutt’altro che deperita ed è un vero spreco mandare tutto in discarica. Molto spesso sarebbe più conveniente ristrutturare, ampliare, sopraelevare e rinforzare i vecchi edifici, anche dove non ci sono vincoli di conservazione. A volte, invece, manca solo fantasia. Non è complicato dare contenuti attraenti ai vecchi stabili». Per la municipale, i lavori sarebbero più veloci e economici, ma «bisogna essere pronti ad accettare che il risultato non è perfetto. A livello normativo, però, si dovrebbe introdurre in tempi brevi la possibilità di deroghe ai vincoli pianificatori».

Lenti passi avanti

Da alcuni anni il tema del riuso architettonico è diventato molto importante per la collettività, soprattutto Oltralpe. E gli esempi in Svizzera tedesca e francese si sprecano (esistono movimenti che interpretano le città come «miniere» in cui estrarre i materiali per costruire, contenendo così il volume dei rifiuti edili). Alle nostre latitudini si sta muovendo qualcosa, ma lentamente. «Mi sembra che investitori, imprese e privati stiano iniziando a essere più sensibili al riguardo – rileva Zanini Barzaghi –. Come ente pubblico, vogliamo praticare l’economia circolare con diversi oggetti di edilizia pubblica. Ad esempio, stiamo valutando di dare nuova vita alla copertura metallica della tribuna Monte Brè, che verrà tolta per lasciare spazio al nuovo stadio. Vorremmo anche dare una nuova destinazione alla tettoia di legno di via Lambertenghi. Abbiamo sempre diversi dossier sui quali vogliamo lavorare per creare nuovi spazi di aggregazione in edifici esistenti, ad esempio nei comparti dell’ex Macello, l’ex PTT di Viganello, l’ex Spohr di Pregassona e l’ex masseria Reali di Cadro». Chissà, se la riqualificazione degli stabili dismessi potrà, in futuro, essere un fattore attrattivo anche per Lugano, e non solo per le altre città della Svizzera. Potrebbe, a detta della municipale, perché «la bellezza delle città è fatta dall’equilibrio fra i suoi spazi ed edifici: nuovo e vecchio, vuoto e pieno, verde e costruito devono essere calibrati in modo armonioso. Le vecchie mura non contengono solo materiali preziosi, ma anche ricordi».