Processo

Il (forse) principe ci riprova: grande truffa o complotto?

È tornato in aula l’uomo che dice di essere discendente dell’ultimo imperatore d’Etiopia: si è opposto alla pena di 6 anni inflittagli in settembre e chiede il proscioglimento – «Non ho mai detto bugie, anzi forse qualcuna, ma non mille»
© CdT/Gabriele Putzu
Lidia Travaini
13.06.2023 16:49

Ha sempre la risposta pronta, ma spesso cambia discorso, divaga parlando di dettagli, ad esempio di sceicchi, ministri o nobili. Il sedicente principe etiope 67.enne condannato in primo grado a sei anni di carcere (e 10 di espulsione dalla Svizzera) per truffa per mestiere e falsità in documenti, ripetute, è tornato in aula oggi di fronte alla Corte d’appello e revisione penale presieduta da Giovanna Roggero-Will. «Resti concreto» gli ha chiesto più volte la giudice ascoltando le sue risposte. Il 67.enne ha inoltrato ricorso contro la sentenza della Corte delle Assise criminali di fine settembre e in aula oggi ha invocato il proscioglimento (il suo avvocato Andrea Minesso parlerà domani). Perché malgrado non neghi di essersi fatto consegnare quasi 13 milioni di franchi da un noto imprenditore ticinese, da un ex fiduciario di Chiasso e da un ex direttore di banca, in cambio della metaforica fetta più grande di una torta che avrebbe ricevuto dopo aver incassato 178 miliardi di euro grazie alla riscossione di bond tedeschi, per lui non c’è stato niente di illecito. Una transazione, quella dei bond, mai conclusa perché quelle raccontate per più di 20 anni dall’italiano «sono sempre state tutte solo bugie» ha tagliato corto l’avvocato Luigi Mattei, difensore dell’ex fiduciario costituitosi accusatore privato.

Un ruolo nella rinascita di un Paese

Ma andiamo con ordine perché «oggi siamo qui a riavvolgere un film lunghissimo, iniziato nel 1995», ha esordito la procuratrice pubblica Chiara Borelli che si è occupata dell’articolata inchiesta. Grazie a una spiccata capacità oratoria, ma anche grazie ad circa 200 documenti falsi confezionati appositamente, l’imputato è riuscito a «far cadere nella sua trappola», professionisti esperti ai quali non veniva solo offerta la fetta della torta rappresentata dalla riscossione dei bond emessi a cavallo delle due guerre mondiali, bensì «un ruolo nel processo di ricostruzione di un Paese». Ciò a cui il 67.enne diceva di ambire era infatti la rinascita di quell’Etiopia di cui rappresentava la famiglia reale: sedicente nipote del re dei re Hailé Selassié. «Non era solo questione di riscattare i bond, bensì di partecipare a una rinascita», ha chiosato Borelli, che ha parlato delle persone coinvolte come di ingranaggi di un meccanismo costruito sull’arco di anni: «Le nuove pedine venivano sempre introdotte grazie a un intermediario di fiducia, questo è il fil rouge della storia». Professionisti con anni di esperienza alle spalle sono così diventati «pedine», che hanno faticato ad accettare l’inganno anche quando brutalmente messi di fronte ai macro elementi emersi nel corso dell’inchiesta. In sostanza, è stato riassunto, il 67.enne non lavorava dal 1990 e da quell’anno in poi si è sempre solo occupato della transazione legata ai titoli tedeschi. Ma c’era sempre qualche problema o imprevisto che bloccava tutto e che rendeva necessaria l’iniezione di liquidi. Soldi che venivano forniti dai truffati, ma che il 67.enne spesso e volentieri utilizzava «per vivere sostanzialmente nel lusso e nei vizi», così sempre la procuratrice pubblica. Quando le bugie non bastavano «per adattare la narrazione all’evolvere della circostanze, si faceva ricorso alla confidenzialità e alla segretezza», ha aggiunto Mattei, parlando anche di un complotto di cui il 67.enne si diceva vittima. «La sua colpa è molto grave, sia per la durata della truffa, sia per l’entità abnorme del maltolto», ha concluso Borelli chiedendo la conferma della condanna di primo grado. «Non ho mai detto bugie per avere soldi - aveva spiegato durante l’interrogatorio l’imputato prima di smentirsi parzialmente -, anzi forse qualcuna l’ho detta, ma non mille, ad esempio chiedere soldi per una cosa e usarli poi per un’altra».

«Un mondo parallelo»

Una richiesta, la conferma della prima condanna, a cui si sono accodati anche i difensori degli accusatori privati. «Mai prima di questa vicenda avevo visto un inganno così, che era diventato una specie di mondo parallelo», ha detto Mattei, ricordando come il suo cliente con gli anni fosse diventato amico, confidente, e addirittura «ras» del sedicente principe, vale a dire una sorta di fratello. «Dal momento in cui i due si conoscono il 67.enne diventa parte preponderante della sua vita. Per il mio cliente si spalanca un mondo, una prospettiva umana: essere coattore della rinascita di un Paese. Questo è il nocciolo della questione, ma è anche la grande carognata, perché il mio assistito è stato tradito su un pezzo della sia vita». «Quello di truffatore era diventato un mestiere ultradecennale per l’imputato. Il dovere di segretezza imposto evitava il rischio che il castello di menzogne costruito venisse scoperto», ha sottolineato da parte sua Sascha Schlub, avvocato del noto imprenditore ticinese. «L’elemento fondamentale della vicenda non è sapere se è principe o no, ma il fatto che ha sfruttato abilmente le debolezze dei truffati - ha invece spiegato Pascal Delprete, patrocinatore dell’ex direttore di banca -, nel caso del mio assistito ha sfruttato la sua profonda fede religiosa».

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