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Il giornalismo tra diritti e doveri

Interessante dibattito all’USI sulle regole della professione giornalistica in Svizzera – Un mestiere che sta cambiando e che è sottoposto a nuove pressioni e a nuove sfide – È stato presentato il volume di Enrico Morresi dedicato alla storica dichiarazione del 1972
© CdT/Chiara Zocchetti
Giona Carcano
Sergio RoiceGiona Carcano
14.10.2022 23:09

Il giornalismo, uno dei pilastri della modernità e, innanzitutto, della modernità nelle società democratiche, ha bisogno di regole dettate dallo Stato (e quindi dalla politica) oppure fra i suoi doveri vi è anche quello di autoregolamentarsi ponendo un limite chiaro e condiviso alla diffusione delle notizie e al modo di diffonderle? Il tema dell’interessante dibattito di questa sera all’Università della Svizzera italiana di Lugano è stato proprio questo e, per dare ulteriore forza alla discussione, la serata è stata pure l’occasione della presentazione del libro del noto giornalista Enrico Morresi L’autodisciplina della professione giornalistica in Svizzera (1972-2022) (Corriere del Ticino editore), scritto e pubblicato nel cinquantesimo dell’importante dichiarazione del 1972 con cui vennero poste le regole basilari della disciplina in Svizzera.

Tutti i temi del presente

Il giornalista della RSI Ruben Rossello ha salutato gli attenti e selezionati presenti introducendo i suoi ospiti, Bertil Cottier e Luca Allidi, entrambi esperti del mondo dei media, il primo nella veste di professore universitario, il secondo come avvocato. È stato pure proiettato un videomessaggio di Martina Fehr, a capo di Impressum, l’associazione che ha ereditato il Consiglio della stampa svizzera. Numerosi e tutti interessanti i temi toccati durante il dibattito: il peso specifico del Consiglio della stampa stesso, la sua autorevolezza crescente, la sua importanza nel risolvere le delicate questioni della privacy; la nuova violenza a danno dei giornalisti presente ahinoi anche in Svizzera, innanzitutto nel cupo periodo della pandemia; la libertà dei giornalisti e dell’informazione in generale di fronte ad associazioni, privati e organizzazioni dall’indubbio potere in grado di fermare le inchieste rivolgendosi alla giustizia; la credibilità dei media di fronte alla popolazione (ai lettori) e il ruolo dei nuovi media (internet, blogosfera e citizen journalism) in tutto questo. È rallegrante, in ogni modo, la constatazione, espressa al termine del dibattito, che gli editori svizzeri praticamente senza eccezioni abbiano accettato e caldeggiato il ruolo sempre crescente del Consiglio della stampa permettendo ai giudizi di quest’ultimo in caso di litigio di ergersi ad autorevoli pareri per mezzo di cui il mondo dei media riesce, spesso e volentieri, ad autoregolamentarsi trovando un’efficace via mediana tra l’importanza di dare la notizia e l’altrettanto importante necessità di proteggere le eventuali “vittime” di questa notizia che rischiano, colpevoli o meno, di essere esposte al pubblico ludibrio.

L’autodisciplina

Nella seconda parte della serata la parola è andata all’autore del prezioso e informato volume L’autodisciplina della professione giornalistica in Svizzera (1972-2022), Enrico Morresi, che ha dapprima ripercorso la sua carriera giornalistica, in buona parte legata all’editore del volume, il Corriere del Ticino, con cui iniziò la sua avventura nei media all’incredibile età di 14 anni proseguendo un completo percorso giornalistico fino alla carica di caporedattore del giornale fra gli anni 1969 e 1981 sotto la direzione di Guido Locarnini. Il senso di questo libro, ha dichiarato Morresi, è liberatorio, e l’esperienza che ne sta alla base è quella della spasmodica e continua ricerca dell’obiettività, fattore giornalistico che al giorno d’oggi, nell’epoca delle post-verità, è gravemente messo in dubbio. Gli editori svizzeri, comunque, hanno scelto di stare dalla parte della qualità, difendendo la deontologia alla base di un giornalismo che continua a ricercare la verità dei fatti. L’avvocato Fabio Soldati, presidente del Consiglio di Fondazione per il Corriere del Ticino, ha ringraziato l’autore citando Ugo Ojetti, «il giornalista è il solo scrittore che, quando prende la penna, non spera nell’immortalità», ma aggiungendo che Morresi invece vi si è avvicinato alquanto; cosa che non può che essere sottoscritta dato che il Nostro è davvero colui che sia per l’importanza sia per il numero delle opere ha fornito il quadro più completo dell’attività mediatica a Sud delle Alpi svizzere.

Il grande archivio di Guido Locarnini, una memoria viva

Un archivio non deve essere un monumento, bensì qualcosa di vivo, capace di lasciare una traccia ben riconoscibile di chi l’ha costruito. È con questo spirito che il Corriere del Ticino - grazie a un accordo con la famiglia e alla preziosa collaborazione di Coscienza Svizzera -, ha deciso di ritirare la grande libreria personale di Guido Locarnini, storico direttore del giornale dalla fine degli anni Sessanta agli inizi degli anni Ottanta. Un direttore che ha saputo cogliere le sfumature dell’epoca, regalando altresì alla testata un’impostazione aperta sul mondo, una finestra costantemente equilibrata e moderata. Priva, cioè, di eccessi, di estremi. Un’eredità preziosa, dunque, e che trova corpo nei quasi 5.000 documenti raccolti nell’archivio. Libri, volumi, ritagli di giornale, bozze di articoli, note personali, scambi epistolari con numerose personalità svizzere e ticinesi dell’epoca. Un sentiero fatto di carta, sottolineature, appunti, che rispecchia la via maestra indicata con sapienza e maestria da Locarnini, anche grazie al puntuale lavoro di catalogazione svolto da Coscienza Svizzera (e da Luigi Corfù in particolare), il gruppo di riflessione apartitico di cui Locarnini fu presidente per poco meno di un ventennio. L’idea, ora, è di rendere visibile e accessibile la grande biblioteca di Locarnini a Muzzano, in modo che possa diventare uno spunto di crescita per studenti o per giovani giornalisti che si affacciano alla professione. Perpetuando così le fondamenta del pensiero dello storico direttore del Corriere del Ticino, che per tutta la vita è stato un instancabile formatore di nuove generazioni di giornalisti ticinesi.