Mendrisiotto

Il linfoma, poi il licenziamento: «Un pugno ancora più forte»

La diagnosi dei medici lo ha steso una prima volta; ma il colpo (quasi) da k.o. è arrivato dalla ditta nella quale lavorava da 15 anni: fine del rapporto di lavoro – Oggi combatte contro la malattia e l’incertezza che gli riserverà il futuro
Stefano Lippmann
14.04.2025 06:00

La diagnosi comunicata lo scorso anno a Lorenzo Nagero è di quelle che fanno mancare la terra sotto ai piedi: linfoma maligno a cellule B. Tumore al terzo stadio. A 57 anni, è un duro colpo da assorbire. Ma con i progressi della medicina odierna e una indispensabile forza di volontà intraprende il lungo cammino delle cure – prima un intervento chirurgico, poi svariati cicli di chemioterapia – che stanno dando risultati incoraggianti. Dopo averlo incontrato l’estate scorsa sui campi da calcio della regione, Lorenzo mi ricontatta alcune settimane fa: «Vorrei raccontarti una storia», mi dice. E no, non è quella legata alla sua malattia. O almeno non lo è direttamente. Seduti in un bar di Stabio Lorenzo mi mostra un articolo pubblicato nel novembre scorso da La Stampa di Torino. L’articolo si intitola «Giuseppe Cannavale, assunto dall’azienda per curarsi da un linfoma». È, in sintesi, la storia di un 25.enne che viene assunto dalla ditta per il quale lavora come interinale, pur non essendo obbligata a farlo. «A me è successo l’esatto contrario», mi racconta. Il 7 novembre del 2024, dopo essere stato avvisato telefonicamente qualche ora prima, Lorenzo è stato licenziato dalla ditta – attiva nel campo delle spedizioni – nella quale lavorava da quindici anni (una trentina quelli di esperienza lavorativa condivisi con il suo capo). Va fatta, a questo punto, una doverosa premessa: dopo 180 giorni di malattia un datore di lavoro può procedere con la disdetta del contratto di lavoro. La legge lo permette.

Preavviso di 90 giorni

Lorenzo, in sostanza, è in malattia dal 14 aprile 2024: dopo un intervento chirurgico avvenuto in febbraio, in primavera comincia i cicli di chemioterapia: «I primi cicli sono stati tosti, ho perso 15 chili». Il corpo, però, reagisce bene e a fine giugno Lorenzo pensa di rientrare al lavoro, in percentuale, e con alcune misure di protezione (ad esempio indossando la mascherina e lavorando in un locale separato): «Il capo mi dice di no, di pensare prima alla mia salute e di stare a casa tranquillo». Così avviene. Ad ottobre Lorenzo ci riprova: «Volevo chiedere ai medici se ci fosse la possibilità di rientrare al 50%. Con l’anno nuovo, perché no, anche in misura maggiore». Non ce ne sarà la possibilità perché, come detto, il 7 novembre arriva la disdetta del rapporto di lavoro: «Con la presente, inoltriamo regolare disdetta del contratto di lavoro in essere, con decorrenza al 30.11.2024 con un preavviso di 90 giorni». Nella lettera si legge altresì che «il pagamento del suo salario proseguirà mediante l’assicurazione malattia (X), come previsto dalle normative vigenti (periodo di copertura di 730 giorni dall’inizio della malattia)». I novanta giorni di preavviso portano al 28 febbraio 2025, tecnicamente l’ultimo giorno di lavoro.

La depressione

«Mi vedo come un pugile – mi racconta Lorenzo –. Steso dalla malattia, ho combattuto per rialzarmi. Vedevo la luce, ma ho preso un pugno ancora più forte». Oggi Lorenzo va avanti a percepire l’80% del salario, che viene versato dall’assicurazione: 730 giorni coperti, a partire dal 15 aprile 2024. Dunque fino al 2026. Lo attesta anche uno scritto dello studio fiduciario commercialista che cura gli interessi della ditta. «Perché licenziarmi così dopo 15 anni?» continua a chiedersi Lorenzo. Una disdetta del contratto di lavoro che non ha solamente lasciato una ferita aperta. Due distinte valutazioni mediche ne attestanto le ripercussioni, a tal punto da dover intraprendere un percorso di psicoterapia non solo in seguito alla diagnosi di linfoma ma anche per «il licenziamento e soprattutto – citiamo – a causa delle modalità attraverso le quali esso gli è stato comunicato».

«Ci pensiamo noi»

Oggi Lorenzo continua a combattere contro la malattia. E ringrazia anche gli amici di varie squadre di calcio che ha frequentato negli anni. Lo aiutano a distogliere i pensieri, mantenendo viva la sua passione. E il lavoro? «Percepisco le indennità, non è una questione di soldi. Ma a quasi 58 anni è dura rientrare nel mondo del lavoro, senza contare l’incertezza della malattia». C’è una frase, in particolare, che mi ha colpito: «Ho una figlia, va all’università. Mi ha chiesto se ce l’avremmo fatta a continuare a pagarle gli studi. Le ho risposto che è un problema di mamma e papà, ci pensiamo noi. Da padre – mi dice – ho provato una sensazione orrenda».

Le ragioni restano confidenziali

Una volta raccolta la storia di Lorenzo abbiamo incontrato anche la controparte, il titolare dell’azienda nella quale ha lavorato per molti anni. Ci ha accolti nei suoi uffici, una mattina di qualche giorno fa. Ci ha esposto le sue ragioni, la sua posizione. Abbiamo anche avuto modo di parlare con un paio di collaboratori. Tuttavia, al termine della chiacchierata, il titolare ha preferito non prendere posizione pubblicamente.

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