Indagini

Il luganese sospettato di legami con la mafia dovrà restare in carcere

L’uomo, sospettato di aver collaborato con il clan Anello-Fruci, dovrà restare dietro le sbarre in attesa che si decida in merito alla sua estradizione in Italia
© CdT/Chiara Zocchetti
Red. Lugano
21.07.2021 12:00

Si torna a parlare del caso dell’uomo, impiegato comunale in una località della cintura urbana di Lugano, sospettato di associazione a delinquere di stampo mafioso. La vicenda, lo ricordiamo, era venuta alla luce un anno fa a seguito di una maxi inchiesta italo-svizzera. Il giudice per le indagini preliminari (GIP) del Tribunale di Catanzaro aveva emesso nei suoi confronti un’ordinanza cautelare e poi, il 2 gennaio 2021, una richiesta di arresto internazionale. Richiesta che la Svizzera ha messo in pratica in giugno. Il Ministero pubblico del Canton Ticino ha infatti fermato l’uomo – in un arresto ai fini di estradizione – ordinato dall’Ufficio federale di Giustizia.

L’impiegato comunale, lo ricordiamo, è sospettato di aver partecipato (con il fratello, residente in Svizzera interna) all’attività di approvvigionamento di armi in favore della cosca e alla cura degli interessi del clan nel nostro Paese, «apparendo – si può leggere negli atti – quale intestatario fittizio di beni e attività riconducibili all’organizzazione». Nei suoi confronti è aperto anche un procedimento penale nella Confederazione.

L’uomo – difeso dagli avvocati Maricia Dazzi e Stefano Pizzola – si dichiara estraneo ai fatti e ha presentato al Tribunale penale federale un ricorso in cui contesta l’arresto e l’estradizione. Sostiene per esempio che non esista alcun pericolo di fuga, e questo per una lunga serie di motivi: ha problemi di salute, ha legami familiari in Svizzera (dove vive dal 1978 e in cui è assolutamente integrato) e fino ad ora non si è mai sottratto ad alcun genere di arresto. Sostiene poi che, se avesse voluto, avrebbe avuto tutto il tempo e le possibilità di prendere contatto con gli altri soggetti coinvolti nel procedimento penale per inquinare l’inchiesta, ma non l’ha fatto.

Tesi che però non ha convinto i giudici del Tribunale penale federale. «Non si può scongiurare il pericolo di fuga, soprattutto alla luce dei gravi reati che gli vengono contestati in Italia, i quali, se dovessero essere confermati, potrebbero sfociare in una pena importante. Non è dunque da escludere che, di fronte alla possibilità di un’estradizione all’Italia e alla possibilità di scontare una lunga condanna, l’estradando tenti di rifugiarsi in altri Paesi che non concedono l’estradizione qualora fosse messo in libertà».

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