Il luogo che custodisce le storie dei mendrisiensi

Mendrisio ha un archivio storico che sembra essere più conosciuto in Sudamerica che dai mendrisiensi. Il nostro non è uno scherzo. Nel capoluogo momò in pochi sanno che un intero piano del centro culturale La Filanda ospita l’archivio comunale che accoglie decine di migliaia di volumi e documenti raccolti nel corso dei secoli.
L’esistenza di questo luogo non è però sfuggita a diverse persone residenti addirittura in un altro continente, soprattutto in Brasile e in Argentina, ci spiega suscitando subito la nostra curiosità Brenno Leoni, responsabile dell’archivio storico della Città di Mendrisio: «Riceviamo regolarmente, in media due o tre volte al mese, richieste dall’America latina di persone che vogliono ricostruire la storia della loro famiglia e che sono alla ricerca di informazioni su loro parenti vissuti a Mendrisio». Mendrisio, e non solo, si sa ha un passato migratorio importante. Sono molti i momò che nei secoli scorsi hanno attraversato l’oceano in cerca di fortuna e di una nuova vita in Sudamerica. C’è chi poi è tornato. E chi invece è restato laggiù. Sono i discendenti di queste persone che oggi vogliono informazioni sulla storia dei loro avi: «In quei casi facciamo noi una ricerca per loro e poi trasmettiamo le informazioni che troviamo» spiega Leoni.
Un lavoro che è tutt’altro che semplice. Per trovare informazioni utili bisogna sfogliare documenti come registri della popolazione – a Mendrisio abbiamo visto ad esempio un vecchio registro di Ligornetto, dove c’è una pagina dedicata alla famiglia Vela, una pagina all’interno del quale spicca il nome di Vincenzo Vela –, documenti amministrativi, testamenti, atti notarili eccetera.

Pezzi di Storia
L’archivio storico custodisce i documenti più diversi: ci sono documenti iconografici (come fotografie, incisioni, stoffe stampate), trattati, documenti riguardanti progetti pubblici e privati, atti politici, registri dell’ospedale (con i nomi dei degenti, il motivo del ricovero e gli interventi eseguiti), documenti amministrativi, atti di fondazione, fondi privati alcuni dei quali lasciati in dono al Comune, mappe eccetera. «Documenti che insieme ricostruiscono la storia della Città». Una ricchezza formata da tanti piccoli pezzi, in continua evoluzione e ampliamento.
Un fascicolo dopo l’altro
L’archivio è stato da poco riordinato (e centralizzato a La Filanda) – «anche se il lavoro non è concluso, perché in fondo è continuo» –: i vari archivi presenti un tempo nei quartieri sono stati tutti portati nel borgo. È stato un processo lungo: «Abbiamo iniziato nel gennaio del 2018, con un team di 5 persone, e abbiamo riordinato tutti gli archivi degli ex Comuni. È stato un lavoro certosino perché alcuni erano già stati riordinati, altri no, e abbiamo quindi dovuto avanzare fascicolo per fascicolo, foglio per foglio. Un compito lungo e complicato che però ci ha aiutato a capire quello che l’archivio possiede e quello che invece non possiede, o non possiede più» aggiunge Leoni.
L’archivio oggi è diviso in sezioni, ognuna delle quali custodisce i documenti di un quartiere. Raccoglie soprattutto documenti dal 1803 in poi, «da quando è nato il Comune moderno, ma ci sono anche documenti più antichi, riguardanti ad esempio le Vicinanze (gruppi in cui si organizzavano le persone che condividevano un territorio, ndr)». Tornando al recente riordino, dal 2018 ad oggi «le unità archivistiche processate, descritte e inventariate sono state 35.100 (ogni unità corrisponde a un fascicolo, un registro o una mappa), equivalenti a 1,5 chilometri di documentazione e a un totale di 12 nuovi fondi archivistici che si aggiungono ai 16 già esistenti nell’archivio storico» conclude il nostro interlocutore. L’archivio non è liberamente accessibile, ma aperto su appuntamento.
Il più antico e i più curiosi
Il documento più antico è datato 1457, è un atto notarile in pergamena in cui tale Giovanni Pioda di Morbio Inferiore dichiara di essere debitore nei confronti di Francesco Turconi di 196 lire per una pezza di drappo rosso.
Tra le curiosità custodite ci sono anche un trattato sul taglio della pietra pubblicato a Parigi nel 1728, usato probabilmente per capire come tagliare il marmo estratto ad Arzo e una ventina di stampe su stoffa raffiguranti soggetti giapponesi «che non è ben chiaro perché fossero nel quartiere».