«Il pensiero critico è fondamentale in un mondo sempre più complesso»

Quali sono le competenze che devono avere gli economisti formati da una università? E quali sono i bisogni della nostra società in ambito di gestione dell’economia? Abbiamo parlato di questi temi con Giovanni Pica, decano della Facoltà di scienze economiche dell’Università della Svizzera italiana.
Lei è decano
della Facoltà di scienze economiche dell’USI. Quali sono gli obiettivi
dell’insegnamento nella vostra facoltà? Cercate di sviluppare anche uno spirito
critico negli studenti?
«Certo, perché le
sfide che attendono le nuove generazioni sono enormi: cambiamento climatico,
crisi alimentari, idriche e migratorie, invecchiamento della popolazione, per
citarne solo alcune. La Facoltà di scienze economiche dell’USI fornisce alle
nuove generazioni gli strumenti per comprendere e gestire la crescente
complessità del mondo contemporaneo, con l’auspicio che possano contribuire a
costruire una società sostenibile sotto il profilo ambientale, sociale e
finanziario. In questo percorso, è essenziale che studentesse e studenti
sviluppino un pensiero critico e analitico, indispensabile per interpretare
dati e fenomeni economici complessi e affrontare con consapevolezza le sfide
del futuro».
Una università
non dovrebbe chiudersi in una classica torre d’avorio, ma dovrebbe essere in
relazione con il territorio e la società, fornendo un contributo di conoscenza
e di analisi su fenomeni complessi come per esempio il mercato del lavoro. A
suo modo di vedere il mondo accademico è abbastanza presente in questa
funzione?
«È fondamentale
che l’università sia in relazione con il territorio e la società che la
circonda. Abbiamo un’unità che ha il compito di osservare l'andamento
dell'economia regionale, compreso il mercato del lavoro: l’Istituto di ricerche
economiche (IRE) svolge queste attività di ricerca applicata su mandato del
Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE). La Facoltà di scienze
economiche è più in generale in costante dialogo con il contesto locale,
attenta a coglierne le esigenze e i mutamenti. In questa prospettiva, abbiamo
recentemente introdotto un percorso in inglese all’interno del Bachelor in
Economia, che ha ottenuto un ampio consenso. Abbiamo inoltre promosso la
creazione e lo sviluppo della Casa della Sostenibilità dell’USI ad Airolo, un
centro che diffonde la cultura della sostenibilità attraverso iniziative aperte
sia agli studenti sia alla cittadinanza. Siamo quindi presenti in questa
funzione, sebbene consapevoli che le sfide sono complesse e che la nostra
attenzione verso il territorio che ci sostiene deve essere costante».
Quale invece
l’apporto per trovare soluzioni ai grandi problemi economici?
«Domanda molto
ampia. La Facoltà di scienze economiche contribuisce alla ricerca di soluzioni
ai problemi economici attraverso diversi canali. Il primo è la ricerca, che
fornisce dati e modelli per comprendere le dinamiche in continua evoluzione del
mondo economico. Il secondo è la collaborazione con governi e istituzioni,
offrendo soluzioni basate sull’evidenza empirica su temi come politiche
fiscali, regolazione dei mercati e sviluppo sostenibile».
Può farci un
esempio concreto?
«Certo. Un
esempio concreto è il rapporto dell’IRE per le autorità cantonali sul salario
minimo, recentemente introdotto in Ticino. Un ulteriore contributo è dato
dall’insegnamento, che prepara la futura classe dirigente chiamata ad
affrontare le sfide economiche nelle aziende, nelle organizzazioni
internazionali e nelle istituzioni pubbliche. Infine, la Facoltà svolge un
ruolo chiave nella divulgazione, contribuendo alla formazione della pubblica
opinione attraverso la diffusione dei risultati della ricerca e la
partecipazione al dibattito economico sui media locali, nazionali e
internazionali».


Lei si occupa di
mondo del lavoro. A suo modo di vedere il mercato del lavoro svizzero sta
funzionando in modo corretto? E in Ticino?
«Nel 2024, il
tasso di disoccupazione in Svizzera - lievemente in aumento - ha raggiunto il
4,3% (secondo la definizione dell'ILO), risultando più elevato tra le donne
(4,6%) rispetto agli uomini (4,1%) e tra le persone di nazionalità straniera
(7,5%) rispetto agli svizzeri (3,1%). In Ticino, il tasso di disoccupazione è
stato leggermente superiore al 6%. Dalla fine della crisi della COVID-19, il
mercato del lavoro svizzero ha mostrato un’elevata dinamicità e un tasso di
disoccupazione contenuto rispetto ai valori storici. Sul fronte salariale, si
osserva una crescita sia in Svizzera che in Ticino, sebbene permanga un divario
significativo nei livelli retributivi tra il Ticino e il resto del Paese.
Tuttavia, questa crescita è trainata principalmente dall’aumento dei salari più
elevati, ovvero quelli superiori al valore mediano. Un altro aspetto rilevante
è la persistente disparità salariale di genere, che si attesta intorno al 16%.
La buona notizia è che il divario si sta progressivamente riducendo, anche se a
un ritmo ancora lento».
Come valuta nella
società attuale il fenomeno della flessibilità lavorativa? Da una parte è una
opportunità richiesta dai lavoratori, ma a volte si può trasformare in una
forma di precarietà.
«Il mercato del
lavoro svizzero è piuttosto flessibile, con una flessibilità temperata dalla
presenza di sussidi di disoccupazione che proteggono, per un certo periodo di
tempo, il reddito di chi perde il posto lavoro. Se il mercato del lavoro è
sufficientemente dinamico, come quello svizzero, e riassorbe in tempi rapidi le
persone disoccupate, è un modello che funziona. La chiave per contrastare la
precarietà risiede nell’istruzione e nella capacità di apprendere continuamente
lungo l’arco della vita lavorativa. In questo senso, l’istruzione universitaria
gioca un ruolo cruciale: non solo per la sua componente applicata, ma anche per
la sua impostazione generalista e teorica. Fornendo strumenti che favoriscono
l’apprendimento continuo, l’università prepara le persone ad affrontare la
rapida evoluzione tecnologica e le trasformazioni del mercato del lavoro».
Quali sono i
problemi maggiori del mercato del lavoro attuale?
«Come accennato,
le principali criticità riguardano da un lato l’aumento delle disparità
salariali, che stanno accentuando le disuguaglianze e rischiano di
compromettere la coesione sociale e, dall’altro, la persistente mancanza di
parità retributiva tra uomini e donne. Per colmare questo divario, è
fondamentale adottare misure concrete a sostegno della partecipazione femminile
al mercato del lavoro, come un potenziamento dell’offerta di asili nido.
Tuttavia, il vero cambiamento deve avvenire a livello culturale: è necessaria
un’evoluzione della società che interiorizzi il principio
dell’intercambiabilità dei ruoli tra uomini e donne, superando stereotipi e
barriere ancora radicati».


In questo momento
si parla molto di dazi, paventati e a volte introdotti dagli Stati Uniti. A suo
modo di vedere questo avrà effetto sul mercato del lavoro svizzero?
«È plausibile che
dazi sui prodotti svizzeri provochino, nel breve periodo, una fase recessiva,
determinata dal calo delle esportazioni, che a sua volta ridurrà la domanda di
lavoro da parte delle imprese, con ripercussioni negative su occupazione e salari.
Nel lungo periodo molto dipenderà dalla reazione della Svizzera e degli altri
Paesi colpiti dai dazi statunitensi».
Quali sono gli
effetti dell’intelligenza artificiale sul mercato del lavoro? E in Svizzera?
«Fare previsioni
con certezza è complesso, ma è altamente probabile che l’intelligenza
artificiale eserciti un impatto significativo sul mercato del lavoro. Secondo
alcune stime, oltre un terzo delle occupazioni potrebbe essere influenzato
dall’IA, con effetti potenzialmente molto diversi rispetto a quelli generati da
precedenti innovazioni tecnologiche. Ad esempio, l’introduzione dei robot ha
prevalentemente sostituito la manodopera meno qualificata, automatizzando
compiti ripetitivi e manuali. L’intelligenza artificiale, invece, si distingue
perché è in grado di svolgere attività tipicamente riservate a personale
altamente qualificato, come l’analisi di dati, la diagnosi medica o la
redazione di testi complessi. Questo potrebbe portare non solo alla trasformazione
di numerose professioni, ma anche a un ripensamento delle competenze richieste
nel mercato del lavoro del futuro».
Su quali
direttrici si sta indirizzando la ricerca nel campo del mercato del lavoro
portata avanti dall’USI?
«All'USI, la
ricerca sul mercato del lavoro si concentra su alcuni temi chiave. Tra gli
altri: l'evoluzione delle competenze richieste dalle imprese, la
discriminazione di genere analizzandone sia le cause che le misure per
contrastarla la regolamentazione del mercato del lavoro, l'impatto
dell'immigrazione sul mercato del lavoro con un focus specifico sul fenomeno
dei lavoratori frontalieri e il ruolo dell’invecchiamento della popolazione nel
determinare produttività e partecipazione al mercato del lavoro».