L'intervista

«Il pensiero critico è fondamentale in un mondo sempre più complesso»

A tu per tu con Giovanni Pica, decano della Facoltà di scienze economiche dell'USI
© CdT/Gabriele Putzu
Roberto Giannetti
15.03.2025 00:01

Quali sono le competenze che devono avere gli economisti formati da una università? E quali sono i bisogni della nostra società in ambito di gestione dell’economia? Abbiamo parlato di questi temi con Giovanni Pica, decano della Facoltà di scienze economiche dell’Università della Svizzera italiana.

Lei è decano della Facoltà di scienze economiche dell’USI. Quali sono gli obiettivi dell’insegnamento nella vostra facoltà? Cercate di sviluppare anche uno spirito critico negli studenti?
«Certo, perché le sfide che attendono le nuove generazioni sono enormi: cambiamento climatico, crisi alimentari, idriche e migratorie, invecchiamento della popolazione, per citarne solo alcune. La Facoltà di scienze economiche dell’USI fornisce alle nuove generazioni gli strumenti per comprendere e gestire la crescente complessità del mondo contemporaneo, con l’auspicio che possano contribuire a costruire una società sostenibile sotto il profilo ambientale, sociale e finanziario. In questo percorso, è essenziale che studentesse e studenti sviluppino un pensiero critico e analitico, indispensabile per interpretare dati e fenomeni economici complessi e affrontare con consapevolezza le sfide del futuro».

Una università non dovrebbe chiudersi in una classica torre d’avorio, ma dovrebbe essere in relazione con il territorio e la società, fornendo un contributo di conoscenza e di analisi su fenomeni complessi come per esempio il mercato del lavoro. A suo modo di vedere il mondo accademico è abbastanza presente in questa funzione?
«È fondamentale che l’università sia in relazione con il territorio e la società che la circonda. Abbiamo un’unità che ha il compito di osservare l'andamento dell'economia regionale, compreso il mercato del lavoro: l’Istituto di ricerche economiche (IRE) svolge queste attività di ricerca applicata su mandato del Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE). La Facoltà di scienze economiche è più in generale in costante dialogo con il contesto locale, attenta a coglierne le esigenze e i mutamenti. In questa prospettiva, abbiamo recentemente introdotto un percorso in inglese all’interno del Bachelor in Economia, che ha ottenuto un ampio consenso. Abbiamo inoltre promosso la creazione e lo sviluppo della Casa della Sostenibilità dell’USI ad Airolo, un centro che diffonde la cultura della sostenibilità attraverso iniziative aperte sia agli studenti sia alla cittadinanza. Siamo quindi presenti in questa funzione, sebbene consapevoli che le sfide sono complesse e che la nostra attenzione verso il territorio che ci sostiene deve essere costante».

Quale invece l’apporto per trovare soluzioni ai grandi problemi economici?
«Domanda molto ampia. La Facoltà di scienze economiche contribuisce alla ricerca di soluzioni ai problemi economici attraverso diversi canali. Il primo è la ricerca, che fornisce dati e modelli per comprendere le dinamiche in continua evoluzione del mondo economico. Il secondo è la collaborazione con governi e istituzioni, offrendo soluzioni basate sull’evidenza empirica su temi come politiche fiscali, regolazione dei mercati e sviluppo sostenibile».

Può farci un esempio concreto?
«Certo. Un esempio concreto è il rapporto dell’IRE per le autorità cantonali sul salario minimo, recentemente introdotto in Ticino. Un ulteriore contributo è dato dall’insegnamento, che prepara la futura classe dirigente chiamata ad affrontare le sfide economiche nelle aziende, nelle organizzazioni internazionali e nelle istituzioni pubbliche. Infine, la Facoltà svolge un ruolo chiave nella divulgazione, contribuendo alla formazione della pubblica opinione attraverso la diffusione dei risultati della ricerca e la partecipazione al dibattito economico sui media locali, nazionali e internazionali».

La chiave per contrastare la precarietà risiede nell’istruzione e nella capacità di apprendere continuamente lungo l’arco della vita lavorativa

Lei si occupa di mondo del lavoro. A suo modo di vedere il mercato del lavoro svizzero sta funzionando in modo corretto? E in Ticino?
«Nel 2024, il tasso di disoccupazione in Svizzera - lievemente in aumento - ha raggiunto il 4,3% (secondo la definizione dell'ILO), risultando più elevato tra le donne (4,6%) rispetto agli uomini (4,1%) e tra le persone di nazionalità straniera (7,5%) rispetto agli svizzeri (3,1%). In Ticino, il tasso di disoccupazione è stato leggermente superiore al 6%. Dalla fine della crisi della COVID-19, il mercato del lavoro svizzero ha mostrato un’elevata dinamicità e un tasso di disoccupazione contenuto rispetto ai valori storici. Sul fronte salariale, si osserva una crescita sia in Svizzera che in Ticino, sebbene permanga un divario significativo nei livelli retributivi tra il Ticino e il resto del Paese. Tuttavia, questa crescita è trainata principalmente dall’aumento dei salari più elevati, ovvero quelli superiori al valore mediano. Un altro aspetto rilevante è la persistente disparità salariale di genere, che si attesta intorno al 16%. La buona notizia è che il divario si sta progressivamente riducendo, anche se a un ritmo ancora lento».

Come valuta nella società attuale il fenomeno della flessibilità lavorativa? Da una parte è una opportunità richiesta dai lavoratori, ma a volte si può trasformare in una forma di precarietà.
«Il mercato del lavoro svizzero è piuttosto flessibile, con una flessibilità temperata dalla presenza di sussidi di disoccupazione che proteggono, per un certo periodo di tempo, il reddito di chi perde il posto lavoro. Se il mercato del lavoro è sufficientemente dinamico, come quello svizzero, e riassorbe in tempi rapidi le persone disoccupate, è un modello che funziona. La chiave per contrastare la precarietà risiede nell’istruzione e nella capacità di apprendere continuamente lungo l’arco della vita lavorativa. In questo senso, l’istruzione universitaria gioca un ruolo cruciale: non solo per la sua componente applicata, ma anche per la sua impostazione generalista e teorica. Fornendo strumenti che favoriscono l’apprendimento continuo, l’università prepara le persone ad affrontare la rapida evoluzione tecnologica e le trasformazioni del mercato del lavoro».

Quali sono i problemi maggiori del mercato del lavoro attuale?
«Come accennato, le principali criticità riguardano da un lato l’aumento delle disparità salariali, che stanno accentuando le disuguaglianze e rischiano di compromettere la coesione sociale e, dall’altro, la persistente mancanza di parità retributiva tra uomini e donne. Per colmare questo divario, è fondamentale adottare misure concrete a sostegno della partecipazione femminile al mercato del lavoro, come un potenziamento dell’offerta di asili nido. Tuttavia, il vero cambiamento deve avvenire a livello culturale: è necessaria un’evoluzione della società che interiorizzi il principio dell’intercambiabilità dei ruoli tra uomini e donne, superando stereotipi e barriere ancora radicati».

È plausibile che dazi sui prodotti svizzeri provochino, nel breve periodo, una fase recessiva

In questo momento si parla molto di dazi, paventati e a volte introdotti dagli Stati Uniti. A suo modo di vedere questo avrà effetto sul mercato del lavoro svizzero?
«È plausibile che dazi sui prodotti svizzeri provochino, nel breve periodo, una fase recessiva, determinata dal calo delle esportazioni, che a sua volta ridurrà la domanda di lavoro da parte delle imprese, con ripercussioni negative su occupazione e salari. Nel lungo periodo molto dipenderà dalla reazione della Svizzera e degli altri Paesi colpiti dai dazi statunitensi».

Quali sono gli effetti dell’intelligenza artificiale sul mercato del lavoro? E in Svizzera?
«Fare previsioni con certezza è complesso, ma è altamente probabile che l’intelligenza artificiale eserciti un impatto significativo sul mercato del lavoro. Secondo alcune stime, oltre un terzo delle occupazioni potrebbe essere influenzato dall’IA, con effetti potenzialmente molto diversi rispetto a quelli generati da precedenti innovazioni tecnologiche. Ad esempio, l’introduzione dei robot ha prevalentemente sostituito la manodopera meno qualificata, automatizzando compiti ripetitivi e manuali. L’intelligenza artificiale, invece, si distingue perché è in grado di svolgere attività tipicamente riservate a personale altamente qualificato, come l’analisi di dati, la diagnosi medica o la redazione di testi complessi. Questo potrebbe portare non solo alla trasformazione di numerose professioni, ma anche a un ripensamento delle competenze richieste nel mercato del lavoro del futuro».

Su quali direttrici si sta indirizzando la ricerca nel campo del mercato del lavoro portata avanti dall’USI?
«All'USI, la ricerca sul mercato del lavoro si concentra su alcuni temi chiave. Tra gli altri: l'evoluzione delle competenze richieste dalle imprese, la discriminazione di genere analizzandone sia le cause che le misure per contrastarla la regolamentazione del mercato del lavoro, l'impatto dell'immigrazione sul mercato del lavoro con un focus specifico sul fenomeno dei lavoratori frontalieri e il ruolo dell’invecchiamento della popolazione nel determinare produttività e partecipazione al mercato del lavoro».