Mendrisiotto

Il pioniere del Merlot festeggia 90 anni

Cesare Valsangiacomo spegne novanta candeline: ogni giorno si reca in ufficio per lavorare qualche ora
Tarcisio Bullo
Tarcisio Bullo
10.04.2019 07:36

Cesare Valsangiacomo, autentica espressione del territorio mo-mo, uno dei pionieri del nuovo corso del Merlot ticinese, oggi festeggia 90 anni. In splendide condizioni di forma, attorniato dai suoi cari (la moglie Nerina, i figli Delia, Silvia, Giovanni e Uberto) e forte di una lucidità che gli permette di non lasciar mancare la sua presenza quasi quotidiana nell’azienda di famiglia.
Le rughe che solcano il suo viso raccontano più di una storia, non necessariamente legate al mondo del vino, dato che Cesare nel corso della sua lunga esistenza ha saputo tessere un rapporto profondo e proficuo con la vita, succhiandone avidamente il nettare, del quale ha privilegiato la qualità piuttosto che la quantità.
Oggi è un giorno di festa, ma Cesare smorza subito gli entusiasmi: «A 90 anni non c’è molto da festeggiare: non mi sembra uno dei momenti più belli della vita di un uomo, perché a questa età si è costretti a vivere di ricordi, non c’è più spazio per fare nuovi progetti, la maggior parte dei miei amici non c’è più. È un momento in cui ci si confronta col mondo e con sé stessi, e francamente sono un po’ preoccupato per le generazioni future: se mi guardo attorno, capto un po’ dappertutto segnali che mi ricordano i tempi che hanno preceduto la Seconda guerra mondiale».
Un velo di malinconia affiora sul volto del nostro interlocutore, ma è il caso di scacciarla via subito, per raccontare un po’ di storia di quest’uomo - imprenditore, enologo, politico e libero pensatore - a cui la viticoltura ticinese deve moltissimo. Con lui siamo alla sesta generazione di una famiglia che col commercio del vino ha cominciato nel 1831, un’attività che Cesare ha pilotato verso nuove frontiere, prima di cedere il timone al figlio Uberto.
Di sicuro non rischiamo di sbagliare se affermiamo che Valsangiacomo è l’enologo più anziano della Svizzera. Lui annuisce e racconta: «Mi sono diplomato nel 1950, ma in realtà non ero intenzionato a intraprendere questa carriera. Dopo la maturità commerciale a Bellinzona, avrei voluto studiare economia a San Gallo, ma mio padre, evidentemente pensando al futuro dell’azienda di famiglia, decise di mandarmi a Losanna, dove era appena stata aperta una scuola superiore di viticoltura ed enologia. Non mi sono mai pentito di avergli dato retta: ho esercitato una professione capace di esaltare la bellezza e la raffinatezza. Bisogna praticarla per capire quale fascino possiede. È un mondo creativo, che per me si avvicina a quello dell’arte: ogni volta che c’è una vendemmia si crea qualcosa di nuovo, ogni vino è differente rispetto alle annate che l’hanno preceduto».
Dopo il diploma, Cesare Valsangiacomo comincia a dedicarsi completamente al mondo dei vini e non è un caso se l’evoluzione del Merlot del Ticino decolla nella seconda metà degli anni Cinquanta. Fra coloro che hanno influenzato questa evoluzione in positivo, sicuramente c’è anche il nostro.
«Sì, mi reputo, con altri colleghi, uno dei fautori di un’evoluzione importante dei nostri vini e ancora oggi se posso cerco di influenzare i giovani e spingerli verso una ricerca costante del miglioramento».

Com’è stato possibile che i vini ticinesi abbiano guadagnato così tanta considerazione a livello mondiale?
«Volendo semplificare, direi che una volta, con la vite, nei filari si coltivava di tutto, dal mais alle patate e persino il tabacco. Io ho bandito queste pratiche e nel 1957 ho creato il primo vigneto intensivo del Ticino, il Roncobello che è poi stato anche il primo «cru» del cantone. Quindi si è intervenuti anche sulla produzione in vigna, limitandola in maniera persino dolorosa. È un processo difficile da accettare per chi lavora il vigneto, ma necessario».
Nel 1985 Valsangiacomo decide di far maturare il vino in barrique: «fui tra i primi a ricorrere a questo metodo in Ticino» ricorda. Tra le maggiori soddisfazioni raccolte nella sua carriera, Cesare non dimentica le sei medaglie d’oro vinte da altrettanti suoi vini presentati all’Esposizione nazionale del 1964 e lo sbarco negli Stati Uniti del suo Roncobello, che finì addirittura sulla lista dei vini di un banchetto ufficiale della Casa Bianca.
Poi c’è un’altra bella storia che vede protagonista il nostro arzillo novantenne ed è legata al mondo delle bollicine. Un mondo che dal punto di vista della produzione era sconosciuto al Ticino. Si può ben immaginare la grandezza della sfida: far nascere dal Merlot un vino che avesse la pretesa di assomigliare un po’ allo Champagne. Per tentare l’impresa e imparare il mestiere, Cesare va alla scoperta dei produttori di Reims con un amico.
«L’idea era di imitare quelli bravi. Ancora oggi quando si parla di bollicine lo si fa con rispetto e io avevo un po’ l’impressione che per una cantina fosse una questione di prestigio produrre questo vino. Una cosa è certa, durante il soggiorno a Reims, di Champagne ne ho degustato parecchio, tanto che al momento di lasciare l’albergo io e il mio amico ci siamo sentiti dire che avevamo approfittato alla grande del nostro soggiorno... Quando, nel 1983, ho prodotto la prima bottiglia del Ronco Grande, sull’etichetta dello spumante ho fatto scrivere «primo, unico e solo spumante ticinese». Qualche tentativo iniziale non fu soddisfacente, ma poi trovai la «ricetta» giusta: la produzione era piccola, 4-5 mila bottiglie, e il vino fu accolto molto bene. Oggi la spumantizzazione di un vino viene quasi sempre delegata a terzi, mentre io allora l’avevo fatta tutta in casa, secondo il metodo classico».
La vita di un imprenditore è fatta di alti e bassi e Cesare racconta che il momento difficile per lui arrivò nel 1992, quando la Svizzera aderì al Mercato comune europeo. «Furono eliminati i contingenti per l’importazioni dei vini esteri, che facevano la nostra fortuna perché in pratica eravamo dei grossisti che rifornivano i dettaglianti. Dalla sera alla mattina tutti poterono acquistare vini esteri e noi perdemmo la nostra clientela. La maggior parte delle aziende simili alla nostra scomparve, mentre noi siamo andati avanti puntando ancora di più su una viticoltura di qualità, grazie anche al senso di responsabilità e alla bravura dei collaboratori, ai quali devo grande riconoscenza».
Quanto alla politica, il nostro è rimasto per ben 24 anni in Gran Consiglio tra le file del PLRT, aiutato nel riscuotere consensi dal suo carattere estroverso e dal suo amore per il buon vivere: «Troppo tempo: oggi per fortuna i partiti limitano la durata delle cariche, perché è vero che dopo un po’ si perde energia ed entusiasmo ed è giusto favorire il ricambio».