L’epidemia

Il servizio ambulanza ticinese e le misure anti-coronavirus

Potenziate le misure di protezione dei soccorritori - Alessandro Motti: «Siamo pronti»
Un soccorritore mentre disinfetta l’attrezzatura. ©CDT/Pool
Giona Carcano
06.03.2020 06:00

Eventi eccezionali richiedono risposte, misure, eccezionali. Il Ticino da una decina di giorni ha imparato a fare i conti con un’epidemia che si pensava lontana ma che invece è arrivata. E nel giro di pochissimo tempo ha messo sotto pressione l’intero sistema sanitario nazionale. Una delle strutture che - in anticipo rispetto ad altre realtà - ha dovuto cambiare abitudini lavorative è stato il servizio ambulanza di tutto il cantone. Soccorritori professionisti e volontari che arrivano sul posto per primi, e che per primi entrano in contatto con il paziente. Logico, dunque, disporre di misure precauzionali potenziate. In tanti se ne saranno accorti in questi giorni: gli operatori delle ambulanze, quasi sempre, ora indossano guanti, mascherine, tute verdi. Per capire in che misura il coronavirus ha colpito il modo di operare di questo vitale settore sanitario, abbiamo coinvolto Alessandro Motti, direttore sanitario della Croce Verde Lugano e coordinatore del gruppo di direttori sanitari dei servizi ambulanza della Federazione cantonale ticinese servizi autoambulanze (FCTSA).

Cosa cambia

«Faccio una premessa», spiega Motti. «Di base, gli operatori del primo soccorso indossano sempre delle protezioni come mascherine chirurgiche e guanti. Questo per evitare i cosiddetti contagi da goccioline o dovuto a contatto con liquidi biologici e sangue: è una prevenzione per il curante e per il paziente. Con una distinzione: nel periodo dell’influenza stagionale il personale delle ambulanze vaccinato era esentato dall’indossare le mascherine. Per contro, chi non lo era aveva l’obbligo di indossarla: sono direttive che valgono per tutto il sistema sanitario cantonale». Con il coronavirus, tuttavia, è cambiato tutto. «Ci siamo adeguati alle norme stabilite dagli infettivologi già durante le riunioni di gennaio, con l’epidemia ancora lontana», dice il direttore sanitario. «La dotazione degli operatori delle ambulanze per interventi di medicina è stato quindi adattato alle nuove esigenze: mascherine chirurgiche, guanti, occhiali protettivi e un camice. Nei casi di intervento su un paziente affetto dalla malattia COVID-19, servono camici idrorepellenti e mascherine avanzate FFP2». La centrale del 144, infatti, informa l’ambulanza sui sintomi della persona da soccorrere in modo da non correre rischi di contagio. Ancora Motti: «L’obiettivo è quello di proteggere il paziente e noi stessi, in modo da non propagare al nostro interno e, soprattutto, nelle strutture ospedaliere l’infezione. Molto sensibili vista la particolarità del coronavirus (la mortalità in soggetti oltre i 65 anni di età è molto marcata, ndr) sono le case per anziani: nei nostri frequenti interventi in quel tipo di strutture, dobbiamo prestare la massima attenzione».

L’assenza del sorriso

Con mascherine e occhiali, il volto degli operatori è quasi del tutto coperto. E può provocare nei pazienti, spesso già in uno stato di agitazione, un senso di lontananza, di distacco. «Non è così», risponde il dottore. «Gli operatori spiegano immediatamente il perché delle protezioni alla persona soccorsa, instaurando un contatto. La tranquillizzano, anche quando sono costretti a farle indossare a sua volta una mascherina (se necessario collegata a dell’ossigeno, ndr) protettiva. E spiegano passo passo ogni procedura medica».

I tempi si allungano

Il coronavirus toglie energie e tempo e tutto il settore sanitario. Un’ambulanza, dopo aver trasportato un paziente sospetto o conclamato, deve essere completamente disinfettata. «Una procedura uniformata a livello cantonale che porta via circa mezzora» racconta Motti. «Sembrerà poco, ma lasciare ferma una unità può comportare dei problemi, specie per le sedi più piccole». La disinfezione avviene per mezzo di appositi nebulizzatori e tutto il personale è stato debitamente istruito nelle scorse settimane.

I piani di emergenza

Ieri, tre operatori del settore ospedaliero ticinese sono stati contagiati dal virus. Nemmeno il servizio ambulanza, dunque, può ritenersi immune. «Le misure di protezione potenziate che utilizziamo aiutano moltissimo a evitare un contagio con il paziente», tranquillizza Motti. «Ma abbiamo preso comunque altre misure a livello ticinese. Abbiamo interrotto per tutto il mese di marzo le formazioni, così come il rilevamento della qualità dei dati. Così facendo recuperiamo del personale professionistico. Per contro, abbiamo rinunciato ai volontari. Questo per non mettere a rischio questa categoria e non esporre personale attivo nel tessuto sociale a eventuali rischi che ne comprometterebbero l’attività professionale. Alcuni, secondo la loro disponibilità, potrebbero essere impiegati come autisti in una seconda fase dell’epidemia, previe importanti misure di protezione. Attualmente possono uscire per gli interventi solamente due soccorritori professionali per ambulanza. Il piano di emergenza prevede, in caso di contagio interno, riserve di personale di picchetto, oltre alla, speriamo remotissima, possibile variazione provvisoria di vacanze o congedi prevista dalle disposizioni cantonali in linea con le decisioni in merito adottate dall'EOC e dalle cliniche private. Questo è il momento di dimostrare chi siamo».