Lo studio

«Il Ticino ha molte carte da giocare»

Gabriele Corte (Banca del Ceresio) e Carmine Garzia (SUPSI) analizzano il presente e le prospettive dell’economia - I cambiamenti nell’industria e i molti vantaggi dell’apertura, il ruolo della formazione e il meccanismo degli stimoli
Per Gabriele Corte (a sinistra) e Carmine Garzia Il Ticino può valorizzare ancora meglio la sua collocazione sull'asse Nord-Sud, tra Zurigo e Milano.
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
15.03.2019 06:00

LUGANO - Gabriele Corte, direttore generale della Banca del Ceresio, e Carmine Garzia, professore di Strategia e Imprenditorialità alla SUPSI, sono impegnati nell’analisi della situazione e delle prospettive dell’economia ticinese. Li abbiamo intervistati su alcuni temi centrali per l'economia cantonale.

Quali sono gli attuali dati caratterizzanti del Canton Ticino dal punto di vista economico?

Corte – «Le condizioni macro del Canton Ticino non si presentano sempre come favorevoli ad uno sviluppo economico classico: si pensi banalmente alla disponibilità di aree pianeggianti necessarie allo sviluppo di aziende di produzione. Altre invece non solo sono interessanti ma anche uniche ed attualmente di particolare rilevanza. Anzitutto l’essere posizionato tra due delle regioni economicamente più dinamiche d’Europa ovvero la Lombardia e la Svizzera tedesca, quindi parte di una macro area unica in termini di capacità di ricerca e di sviluppo economico. In secondo luogo l’essere la parte centrale del corridoio ferroviario Zurigo - Milano, nella speranza che la parte a sud sia prima o poi integralmente realizzata. Infine, la disponibilità di manodopera oltre confine che permette sia di generare un valore aggiunto ben superiore al potenziale del cantone (si pensi ai dati sul prodotto pro capite), sia di offrire la flessibilità necessaria a gestire i cicli economici. I vantaggi espressi vanno vissuti in quanto tali, ovvero anche come continuo stimolo ad incrementare il valore aggiunto per il tramite della ricerca, senza cercare vie di sviluppo più rapide ma meno sostenibili per competere. Anche in questo caso le condizioni di partenza sono stimolanti, basti pensare alla presenza di centri di ricerca d’eccellenza internazionali, quali ad esempio l’Istituto Dalle Molle sull’intelligenza artificiale o l’Istituto di Ricerche Biomediche, ma anche il Centro di Calcolo Federale o il mondo universitario di SUPSI, USI e Accademia di Architettura. Mettere a regime tali vantaggi ci permetterebbe di essere parte del motore e non spettatore della macro area descritta».

Come si articola oggi l’economia cantonale, soprattutto per quel che riguarda industria e finanza?

Garzia – «Il Ticino ha un’economia industriale prevalentemente orientata al B2B (fornitura di prodotti e componenti per altre imprese) e su produzioni a medio ed alto valore aggiunto, con una forte propensione all’export. Il sistema industriale locale non ha un’organizzazione distrettuale anche se vi sono alcuni agglomerati d’imprese dello stesso settore, i cosiddetti cluster. Un distretto è diverso da un cluster e si caratterizza per la presenza d’imprese specializzate in diverse attività afferenti allo stesso settore, che hanno rapporti di fornitura reciproca e la cui competitività è fortemente interdipendente. In Ticino c’è di fatto un solo distretto, che è quello del banking, che include banche, società di gestione del risparmio, family office, avvocati, fiduciari, advisor, che formano una rete unica potenzialmente in grado di fornire servizi di altissimo livello ai clienti. Tuttavia ora questo distretto è interessato da un processo di riposizionamento e deve trovare la sua strada».

Il fatto di non avere veri e propri distretti industriali, nella definizione che lei ha dato, rappresenta un ostacolo?

Garzia – «Non penso che il fatto di non avere distretti industriali sia di per sé un problema. Vuol dire che abbiamo un’economia diversificata che ha maggiori possibilità di performare bene anche in presenza di cicli economici negativi. Vi sono tanti territori in Svizzera e nelle economie confinanti (Germania ed Italia in particolare) caratterizzati dalla presenza di aziende di medie dimensioni di grande successo che sono nate senza far riferimento ad alcun distretto. Questi territori si sono sviluppati grazie alla presenza di imprenditori capaci, che hanno contribuito a sviluppare uno spirito imprenditoriale diffuso, questo processo è stato alla base anche dello sviluppo industriale del nostro cantone, ma sicuramente ha bisogno di un’iniezione di nuova linfa, sia interna, sia dall’esterno».

Tra gli esperti si parla spesso della necessità di creare maggior valore aggiunto. Concretamente, qual è il punto?

Corte – «Esistono varie forme di misurazione del valore aggiunto prodotto in una data regione e quella che più spesso trova spazio sulle pagine dei giornali è la capacità di generare brevetti, ovvero la quantificazione della necessità di proteggere il valore intellettuale prodotto. Le classifiche internazionali danno la Svizzera solitamente nella parte alta della classifica ma un’analisi dei dati cantonali offerti dall’Ufficio federale di statistica dà un quadro decisamente a macchia di leopardo. La parte maggiore la fanno sicuramente i cantoni sede dei politecnici federali e delle grandi industrie dedite alla ricerca: il Canton Ticino non rientra sicuramente tra queste aree e non brilla quindi per la capacità di produrre sapere brevettabile».

Garzia – «Il valore aggiunto è dato dalla differenza tra i ricavi ed il costo dei fattori produttivi esterni. Si può aggiungere valore grazie alle risorse umane, alle tecnologie, al marketing e al marchio. In ogni caso il valore aggiunto dipende molto dal know-how. Non dobbiamo cadere nell’errore di considerare innovazione solo quello che possiamo brevettare. Vi sono numerose innovazioni sia di prodotto sia di processo che non vengono brevettate e che sono alla base di strategie di successo. Questo avviene in molti settori, si pensi al food e alla cosmetica di lusso dove le formulazioni sono rigorosamente segrete e non brevettate, o al settore pneumatici dove le mescole e i processi produttivi sono coperti dal più stretto riserbo e costituiscono il know-how strategico per competere. Il settore farmaceutico locale è orientato al manufacturing piuttosto che allo sviluppo di principi attivi originali come avviene nei grandi gruppi che troviamo a Basilea. Tuttavia nel piccolo Ticino vi sono realtà pharma con una leadership mondiale in alcuni processi produttivi, che si basano su un know-how unico, anche se non necessariamente oggetto di brevetti. Anche la moda è un esempio di attività ad alto valore aggiunto con una forte carica di innovazione, anche se si tratta di innovazione creativa. Parliamo di aziende del lusso e della moda che hanno il centro creativo in Ticino, dove vengono sviluppati prodotti e si fanno le strategie di marketing, mentre le attività industriali sono localizzate nei distretti specializzati in Europa o nei Paesi emergenti».

Guardando avanti, dunque, quali sono le carte principali su cui puntare nel cantone?

Garzia – «Le politiche di sviluppo economico richiedono interventi mirati e differenziati. Non esiste una ricetta sola per tutti i problemi. Specializzare per attività un territorio così piccolo, definendo a priori su quali settori puntare, potrebbe essere difficile, oltre che un esercizio puramente teorico. Dobbiamo capire anzitutto che tipo di imprese e imprenditori vogliamo e cosa non vogliamo. Penso che dobbiamo accogliere imprenditori ed imprese che vogliono insediare in Ticino i propri centri decisionali, dove definiscono le strategie aziendali per creare valore, indipendentemente dal settore di appartenenza. E dobbiamo rifiutare proposte che vengono da chi vede nel cantone un sistema favorevole per produrre a costi inferiori o per utilizzare solo i vantaggi fiscali. Dobbiamo altresì sostenere chi fa già impresa qui e lo fa creando valore aggiunto. Dobbiamo nutrire queste imprese, sia quelle esistenti sia quelle che attiriamo, con i talenti – le risorse umane – che formiamo sul territorio in modo che possano rimanere e prosperare nel cantone. Dobbiamo posizionarci sfruttando la nostra location strategica sull’asse nord-sud, valorizzando ad esempio i legami tra la Great Zurich Area e il fatto che siamo a 40 minuti di auto da quello che diventerà uno dei principali poli di ricerca nelle scienze della vita, ovvero lo Human Technopole nell’area ex Expo di Milano».

In tutto questo, quale deve essere il ruolo della formazione universitaria?

Garzia – «Il Ticino ha un livello di investimento molto elevato nel sistema educativo universitario. Da questi investimenti dipende sia lo sviluppo di capitale umano sia la capacità di attrarre talenti sul territorio, per cui noi operatori universitari abbiamo una forte responsabilità nell’evoluzionee nella gestione di un’offerta formativa che abbia appeal e sia in grado di attrarre gli studenti con il maggior potenziale. Solo un’offerta formativa di standing adeguato impedisce che gli studenti prendano il treno o l’areo per andare altrove a formarsi, per rimanervi nella maggior parte dei casi. Occorre infine lavorare sui singoli aspetti della cultura d’impresa, mettere a confronto gli studenti con i potenziali finanziatori, con gli imprenditori di successo e con partner tecnologici e commerciali. In definitiva occorre esporre gli studenti al mondo reale».

Nel dibattito è spesso presente anche l’argomento degli stimoli economici, come vanno inquadrati questi ultimi?

Corte – «Il Ticino gode di una serie di condizioni favorevoli ma che non necessariamente vengono attivate per godere al massimo delle loro potenzialità. Sicuramente occorrerebbe ripensare gli stimoli economici, tipicamente fiscali, per favorire sia la nascita di nuove imprese, sia il processo di ricerca in generale. Ciò vale anche per le imprese già attive, che in Ticino sono sovente di piccola e media dimensione a capitale tipicamente famigliare, certamente non molto supportate fiscalmente. In seconda battuta occorre stimolare al massimo la cooperazione tra pubblico e privato, in particolare tra accademia ed aziende, seguendo gli esempi vincenti di Zurigo, ma anche di Basilea o Milano con i loro politecnici e università. Difficile pensare che Google o Disney potessero creare alcuni dei loro principali centri di ricerca sulla Limmat, con migliaia di dipendenti, in assenza di un Politecnico e di condizioni quadro cantonali favorevoli. Lo stesso discorso vale ad esempio per i massicci investimenti in centri di ricerca recentemente previsti da IBM a Milano. Infine bisogna migliorare le condizioni per attrarre talenti da fuori cantone, per rafforzare ulteriormente la nostra capacità di far ricerca, senza preclusioni sulla loro provenienza ma basandosi unicamente sulla loro competenza: il campanilismo eccessivo, in aree con un numero limitato di abitanti, rischia di marginalizzarle, in un contesto nazionale ed internazionale sempre più competitivo. In sostanza in Ticino non abbiamo bisogno di protezionismo, che alla lunga spegne la dinamica dello sviluppo, ma di condizioni appunto economicamente stimolanti».

In che modo cultura e paesaggio devono entrare nel capitolo delle attuali prospettive economiche?

Corte – «Non va dimenticato in effetti che l’attrattivitá di un cantone passa anche dalla sua offerta culturale e paesaggistica. Anche in questo caso bisognerebbe fare molto di più per ulteriormente migliorare la prima e proteggere meglio la seconda, evitando una visione speculativa di breve periodo, che di danni indelebili ne ha già causati a sufficienza. Sarebbe per esempio importante definire una strategia cantonale per attrarre grandi imprese culturali, tipo collezioni d’arte, così come attuato da Basilea, con un effetto anche economico, sotto gli occhi di tutti.Abbiamo già gli esempi positivi di LAC, MASI e Collezione Olgiati, che continuano ad attrarre un pubblico locale ed internazionale sempre più ampio e che contribuiscono a posizionare il Cantone come luogo culturalmente interessante: le ultime mostre di MASI e Spazio-1 hanno avuto oltre 50 mila visitatori, difficilmente tutti ticinesi».

Territorio e turismo sono due termini molto presenti alle nostre latitudini, come vanno affrontati a questo punto?

Garzia – Il tema della valorizzazione del territorio e delle sue produzioni dovrebbe essere affrontato cercando delle sinergie con il turismo. Oggi il turista vuole un’esperienza a 360 gradi che includa aspetti di tipo culturale e ricreativo. In questo caso una politica regionale forte è l’unico strumento con cui si può favorire la realizzazione di sinergie fra turismo, produzione enogastronomica e territorio. Ricordiamoci che i piccoli produttori sono un elemento di conservazione e valorizzazione del territorio e contribuiscono a dare quel tocco di autenticità che il consumatore vuole e per cui sceglie dove andare. È chiaro che queste cose non si realizzano se non c’è una cultura dell’accoglienza e della gestione del turista. Oggi c’è un gap importante da questo punto di vista, che potrà essere colmato da una nuova generazione di imprenditori, ancora da formare. Dobbiamo comunque identificare delle traiettorie di valorizzazione del territorio, perché queste rafforzano sicuramente l’attrattività del Cantone, rendendolo più vivibile».