«Il tram-treno è una grande sfida, mi sento come un bambino a Natale»
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A tu per tu con Alberto Del Col, l’ingegnere che ha in mano le chiavi del futuro tram. È direttore della RTTL, la società creata per portare a compimento l’opera che ieri ha fatto un punto della situazione. Del Col viene da un’importante esperienza nel progetto AlpTransit: ha diretto la realizzazione del tunnel di base del Ceneri. Ci ha raccontato chi è, e cosa lo attende.
Ingegnere, quali
saranno, tecnicamente, i passaggi più impegnativi del progetto?
«Partirei dalla galleria
di Breganzona, che è l’opera principale a livello di impegno e di tempi. Oltre
allo scavo in sé, che presenta sempre delle incognite, c’è il fatto che fra il
tunnel e la superfice ci sono per lunghi tratti poche decine di metri di
roccia; quindi, vanno presi diversi accorgimenti per ridurre le vibrazioni del
suolo e l’impatto fonico dei lavori. Un’altra grossa sfida tecnica è il portale
di uscita a Lugano, che sarà, in pieno centro. Sul tratto Bioggio-Manno,
invece, il tram scorrerà a fianco della cantonale; perciò, dovremo coordinarci
con il Dipartimento del Territorio per creare il minor disturbo possibile al
traffico stradale. Sarà importante anche la collaborazione con la FLP per
integrare l’opera nella rete attuale e garantire l’esercizio durante i
cantieri».
La complessità è anche
finanziaria: dovrete gestire centinaia di milioni e monitorare i costi.
«Sì, anche questa è una
grossa sfida, e per me era fondamentale trovare la persona giusta con cui
affrontarla. Se ne occuperà Simon Gatti, un collega ticinese che, dopo gli
studi, è andato a lavorare in Svizzera interna e ha ricoperto lo stesso ruolo
per il progetto AlpTransit. La mia preoccupazione era: riuscirò a convincerlo a
tornare in Ticino? Così è stato, per fortuna. Si parla sempre di fuga di
cervelli: questo è un ritorno. Con lui abbiamo messo a punto un sistema per
gestire e monitorare i finanziamenti partendo dalle direttive federali in
materia (si veda l’articolo a lato, ndr) anche perché ogni sei mesi dobbiamo
inviare un rendiconto a Berna. In più, con uno specialista informatico, stiamo
lavorando per automatizzare il più possibile queste operazioni, riducendo il rischio di errori».
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AlpTransit è un ottimo
punto di partenza: che insegnamenti porta con sé da quell’esperienza?
«Quasi tutto quello che
ho fatto prima, mi sta tornando utile. È come avere un binocolo che ci permette
di guardare avanti di qualche mese. Questo non vuol dire avere la ricetta per
tutti i problemi, perché la professione non è mai ripetitiva, però aiuta».
Quello di AlpTransit è
stato anche un cantiere controverso, in particolare per gli appalti a società
finite sotto la lente della giustizia in Italia e per condizioni di lavoro che
sono state portate all’attenzione della Procura ticinese. Come evitare che si
ripetano queste situazioni?
«Sono temi conosciuti.
Ciò che può fare un committente, è strutturare gli appalti per minimizzare i
rischi e far sì che siano rispettate la Legge sul lavoro, la parità tra uomo e
donna e altre regole di base. Va detto che la relazione fra le imprese e le
loro maestranze è fuori dal nostro ambito d’azione. A tale scopo esiste infatti
una relazione a ‘triangolo’ fra datore di lavoro, collaboratori e sindacati».
Al di là di questo, il
committente non potrebbe fare più controlli?
«Cerchiamo di farli,
dove possibile. Non abbiamo, ad esempio, il diritto di chiedere alle imprese i
contratti dei loro impiegati. Sono dati riservati. Senza dimenticare che
esistono enti competenti, come l’Ufficio dell’ispettorato del lavoro. Più di
tanto il committente non può fare, ma ci teniamo che non sorgano problemi di
questo tipo: è anche una questione d’immagine».
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Lei è un tecnico. La
spaventa l’aspetto politico che accompagna il progetto?
«Per come sono di
carattere, non mi piace usare il termine ‘spaventarsi’. Sono una persona che
cerca le sfide, le cose complesse, perché quelle facili mi annoiano in fretta.
È normale che nei grandi progetti il mondo politico e quello tecnico siano in
contatto. Non possiamo esimerci da questo, anche se la responsabilità di
portare a compimento l’opera è nostra».
Quando ha annunciato il
suo ingaggio, Zali l’ha paragonata a Ronaldo (Luis Nazario da Lima, «il
fenomeno»). Una bella responsabilità…
«(Ride, ndr). Certo.
Gliel’ho detto subito, quando mi ha fatto questa sorpresa. La considero come
una sfida che mi coinvolge e mi entusiasma. Ne parlavo con gli amici: mi sento
come un bambino che, la mattina di Natale, corre verso l’albero. Per me è importante
anche aver potuto portare nella RTTL persone con cui avevo già lavorato per
AlpTransit. Siamo quattro: io, l’ingegnere che già allora era il mio vice, il
controllore dei costi e la segretaria. Ci siamo ritrovati e possiamo metterci
di nuovo in gioco assieme, per una storia ancora tutta da scrivere, forti delle
conoscenze che abbiamo dentro».
«Omnia mea mecum porto»,
come dicevano i latini. Ho con me tutto quello che serve. E quanto appoggia la
matita e finisce di lavorare, vede l’ingegneria in tutte le cose, o preferisce
staccare del tutto e riposare la mente?
«Se ho in testa pensieri che alla lunga possono diventare nocivi, meglio
creare una distanza fra lavoro e sfera privata. In generale, comunque,
l’ingegneria impregna la mia vita. Forse perché ho scelto un percorso per cui
ero predisposto. In ogni caso, non si finisce mai di pensare. Mi piace andare
in bici, soprattutto in montagna, ed è il momento migliore per riordinare i
pensieri. Quando salgo ho spesso e volentieri dei ‘flash’, che poi porto in
ufficio».