L'intervista

«Il tram-treno è una grande sfida, mi sento come un bambino a Natale»

A tu per tu con Alberto Del Col, l'ingegnere che ha in mano le chiavi del futuro tram – Direttore della RTTL, viene da un'importante esperienza nel progetto AlpTransit: ha diretto la realizzazione del tunnel di base del Ceneri
Giuliano Gasperi
01.10.2024 06:00

A tu per tu con Alberto Del Col, l’ingegnere che ha in mano le chiavi del futuro tram. È direttore della RTTL, la società creata per portare a compimento l’opera che ieri ha fatto un punto della situazione. Del Col viene da un’importante esperienza nel progetto AlpTransit: ha diretto la realizzazione del tunnel di base del Ceneri. Ci ha raccontato chi è, e cosa lo attende.

Ingegnere, quali saranno, tecnicamente, i passaggi più impegnativi del progetto?
«Partirei dalla galleria di Breganzona, che è l’opera principale a livello di impegno e di tempi. Oltre allo scavo in sé, che presenta sempre delle incognite, c’è il fatto che fra il tunnel e la superfice ci sono per lunghi tratti poche decine di metri di roccia; quindi, vanno presi diversi accorgimenti per ridurre le vibrazioni del suolo e l’impatto fonico dei lavori. Un’altra grossa sfida tecnica è il portale di uscita a Lugano, che sarà, in pieno centro. Sul tratto Bioggio-Manno, invece, il tram scorrerà a fianco della cantonale; perciò, dovremo coordinarci con il Dipartimento del Territorio per creare il minor disturbo possibile al traffico stradale. Sarà importante anche la collaborazione con la FLP per integrare l’opera nella rete attuale e garantire l’esercizio durante i cantieri».

La complessità è anche finanziaria: dovrete gestire centinaia di milioni e monitorare i costi. 
«Sì, anche questa è una grossa sfida, e per me era fondamentale trovare la persona giusta con cui affrontarla. Se ne occuperà Simon Gatti, un collega ticinese che, dopo gli studi, è andato a lavorare in Svizzera interna e ha ricoperto lo stesso ruolo per il progetto AlpTransit. La mia preoccupazione era: riuscirò a convincerlo a tornare in Ticino? Così è stato, per fortuna. Si parla sempre di fuga di cervelli: questo è un ritorno. Con lui abbiamo messo a punto un sistema per gestire e monitorare i finanziamenti partendo dalle direttive federali in materia (si veda l’articolo a lato, ndr) anche perché ogni sei mesi dobbiamo inviare un rendiconto a Berna. In più, con uno specialista informatico, stiamo lavorando per automatizzare il più possibile queste operazioni,  riducendo il rischio di errori».

L'esperienza con AlpTransit? Quasi tutto quello che ho fatto prima mi sta tornando utile

AlpTransit è un ottimo punto di partenza: che insegnamenti porta con sé da quell’esperienza?
«Quasi tutto quello che ho fatto prima, mi sta tornando utile. È come avere un binocolo che ci permette di guardare avanti di qualche mese. Questo non vuol dire avere la ricetta per tutti i problemi, perché la professione non è mai ripetitiva, però aiuta».

Quello di AlpTransit è stato anche un cantiere controverso, in particolare per gli appalti a società finite sotto la lente della giustizia in Italia e per condizioni di lavoro che sono state portate all’attenzione della Procura ticinese. Come evitare che si ripetano queste situazioni?
«Sono temi conosciuti. Ciò che può fare un committente, è strutturare gli appalti per minimizzare i rischi e far sì che siano rispettate la Legge sul lavoro, la parità tra uomo e donna e altre regole di base. Va detto che la relazione fra le imprese e le loro maestranze è fuori dal nostro ambito d’azione. A tale scopo esiste infatti una relazione a ‘triangolo’ fra datore di lavoro, collaboratori e sindacati».

Al di là di questo, il committente non potrebbe fare più controlli?
«Cerchiamo di farli, dove possibile. Non abbiamo, ad esempio, il diritto di chiedere alle imprese i contratti dei loro impiegati. Sono dati riservati. Senza dimenticare che esistono enti competenti, come l’Ufficio dell’ispettorato del lavoro. Più di tanto il committente non può fare, ma ci teniamo che non sorgano problemi di questo tipo: è anche una questione d’immagine». 

Mi sento come un bambino che, la mattina di Natale, corre verso l’albero

Lei è un tecnico. La spaventa l’aspetto politico che accompagna il progetto?
«Per come sono di carattere, non mi piace usare il termine ‘spaventarsi’. Sono una persona che cerca le sfide, le cose complesse, perché quelle facili mi annoiano in fretta. È normale che nei grandi progetti il mondo politico e quello tecnico siano in contatto. Non possiamo esimerci da questo, anche se la responsabilità di portare a compimento l’opera è nostra».

Quando ha annunciato il suo ingaggio, Zali l’ha paragonata a Ronaldo (Luis Nazario da Lima, «il fenomeno»). Una bella responsabilità…
«(Ride, ndr). Certo. Gliel’ho detto subito, quando mi ha fatto questa sorpresa. La considero come una sfida che mi coinvolge e mi entusiasma. Ne parlavo con gli amici: mi sento come un bambino che, la mattina di Natale, corre verso l’albero. Per me è importante anche aver potuto portare nella RTTL persone con cui avevo già lavorato per AlpTransit. Siamo quattro: io, l’ingegnere che già allora era il mio vice, il controllore dei costi e la segretaria. Ci siamo ritrovati e possiamo metterci di nuovo in gioco assieme, per una storia ancora tutta da scrivere, forti delle conoscenze che abbiamo dentro».

«Omnia mea mecum porto», come dicevano i latini. Ho con me tutto quello che serve. E quanto appoggia la matita e finisce di lavorare, vede l’ingegneria in tutte le cose, o preferisce staccare del tutto e riposare la mente?
«Se ho in testa pensieri che alla lunga possono diventare nocivi, meglio creare una distanza fra lavoro e sfera privata. In generale, comunque, l’ingegneria impregna la mia vita. Forse perché ho scelto un percorso per cui ero predisposto. In ogni caso, non si finisce mai di pensare. Mi piace andare in bici, soprattutto in montagna, ed è il momento migliore per riordinare i pensieri. Quando salgo ho spesso e volentieri dei ‘flash’, che poi porto in ufficio».

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