Il Trittico interessa Roma: «Approfondimenti in corso»

Non si dissipa l’alone di mistero che avvolge il Trittico di Loenforte: l’opera che è stata battuta all’asta martedì negli spazi del Punto franco di Balerna. Sono infatti ancora molti gli interrogativi che ruotano attorno al lavoro. C’è davvero la mano del Beato Angelico (e della sua bottega) nel quadro? Perché dall’Italia – con particolare riferimento alla Sicilia – si rivendica così insistentemente l’opera? E, proprio per questo motivo, cosa stanno facendo le autorità italiane? La vicenda appare essere assai complicata. A partire, proprio, dalla mano che ha dipinto il Trittico, una copia – non un falso – dell’opera dello stesso Beato Angelico (realizzata attorno al 1450) che è custodita alla Gemäldegalerie di Berlino.
Cinquecento? Ottocento?
All’asta andata in scena martedì, lo ricordiamo, il quadro è stato venduto per circa 702.000 franchi. Se guardassimo soltanto alla cifra, al valore monetario, verrebbe da dire che la copia – come dichiarato dal professore e storico dell’arte Bellini nella relazione che accompagnava la documentazione dell’asta – è frutto delle pennellate del Beato Angelico e delle persone attive all’epoca nella sua bottega.
Gli studi effettuati da Gerardo de Simone (storico dell’arte specialista di pittura italiana del Rinascimento) – che richiamano l’idea di Andrea De Marchi – attribuiscono invece l’opera al pittore Scipione Pulzone. In questo caso, però, la copia di pregevolissima fattura sarebbe dunque tardo cinquecentesca. Infine, un’ultima versione. Il dipinto sarebbe molto più recente e risalirebbe all’Ottocento. A questo sarebbero giunte qualche anno fa le autorità italiane. Perché diciamo questo? Perché – come riportato da diversi media italiani, l’ultimo in ordine di tempo è stato Il Sole 24 ore – nel 2016 il «Trittico» (nel frattempo divenuto di proprietà del defunto uomo che l’ha depositato al Punto franco di Balerna) ha ricevuto il nullaosta per lasciare l’Italia. Nel 1975, infatti, la soprintendenza di Palermo ha tolto il «vincolo» all’opera, derubricandola appunto a copia ottocentesca.
Le rivendicazioni italiane
L’annuncio che il quadro sarebbe stato battuto all’asta ha creato un certo fermento nella Penisola e anche in Sicilia. Leonforte – da qui il Trittico di Leonforte – è un Comune siciliano che, da tempo, «reclama» l’opera. A tal punto che, martedì, all’asta ha partecipato pure il sindaco Pietro Livolsi. Invano perché l’opera se l’è aggiudicata l’Arté Gallery di Balerna (un curiosità: l’indirizzo è il medesimo del Punto franco) con un’offerta comunicata per iscritto. Nessuno ha rilanciato, nemmeno Livolsi che, stando a quanto dichiarato ai media, aveva con sé circa 20 mila euro. L’asta, come detto, ha avuto notevole eco mediatica in Italia. Lo stesso ministro della cultura avrebbe inviato una nota «urgentissima» nel tentativo di bloccare la vendita. Stando a nostre informazioni, però, la nota non sarebbe stata inviata all’organo preposto, ovvero la Pretura di Mendrisio sud.
E gli approfondimenti in corso
Ciò non toglie che a Roma siano in corso degli approfondimenti. Da noi contattato, il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, ci ha risposto che non era possibile soddisfare le nostre «esigenze giornalistiche in quanto sussistono limitazioni imposte da accertamenti in corso». Cosa che sta avvenendo anche alle nostre latitudini. Senza poter entrare nei dettagli, la Camera di esecuzione e fallimenti del Tribunale di Appello ci conferma che è stato inoltrato un ricorso prima che si svolgesse l’asta. Non essendo stato concesso l’effetto sospensivo, la stessa si è però tenuta. Il Trittico di Leonforte, oggi, ha un nuovo proprietario. Ma non è detto che la vicenda sia chiusa.
Leonforte "reclama" l'opera
Perché Leonforte «rivendica» l’opera? Il Trittico – come ricostruito dallo studioso Francesco Lo Gioco – è attestato per la prima volta nel 1624, proprietà del nobile siciliano Fabrizio Branciforti (prima si crede appartenesse a papa Urbano VIII). Fu trasmessa poi a Nicolò Placido Branciforti, colui che fondò Leonforte. Nel 1628 venne donata al figlio Giuseppe Branciforti che la collocò nel Convento dei Padri Cappuccini, appunto, di Leonforte. Vi rimase fino al 1907 quando gli eredi del conte Giovan Calogero Li Destri (che nel 1852 aveva comprato dalla famiglia Branciforti tutti i beni esistenti a Leonforte), lo prelevarono dalla chiesa e se ne appropriarono.