Il turismo e quella dipendenza dal meteo
Se dovesse essere davvero una Pasqua bagnata, per il turismo ticinese sarebbe un problema. Gli addetti ai lavori lo avevano messo in conto: con la festività che quest’anno arriva piuttosto presto, il rischio di incappare nel brutto tempo c’è eccome. Il problema, semmai, è che non dovrebbe essere il meteo a determinare il successo del comparto turistico ticinese. Invece, a detta degli stessi albergatori, il nostro cantone continua a rimanere molto - troppo - meteo-dipendente. Niente di male, beninteso. È chiaro a tutti, infatti, che il turista è più contento se può ammirare le bellezze del cantone con il sole e il caldo. Eppure, c’è da chiedersi perché lo stesso discorso non valga per i nostri vicini di casa. Se infatti le prenotazioni qui stentano a decollare, complice appunto l’incertezza meteorologica, non è così per il Comasco.
Sul Lario, il tasso di occupazione delle strutture sfiora il 90%, e secondo gli albergatori è facile che si arrivi a toccare il tutto esaurito in concomitanza dei giorni di festa pasquali. Eppure, le nuvole non si fermano al confine. Il punto è che, ormai da anni, Como è una meta turistica per eccellenza. Una meta che vale la pena visitare tutto l’anno, e non solo in primavera e in estate, con il bel tempo. Il Ticino, invece, fatica ancora a imporsi. E questo, malgrado abbia tutte le carte in regola per poter diventare una destinazione ancora più ambita, non solo dai visitatori svizzero tedeschi. La parola chiave, diventata un tormentone negli ultimi anni, è destagionalizzare. Fare sì, insomma, che il territorio sia attrattivo tutto l’anno, indipendentemente dal meteo.
Per farlo, però, occorre crederci davvero. «Se abbiamo il contenitore ma non il contenuto, serve a poco», ci ha confidato un albergatore qualche giorno fa. È proprio così: se anche tutti gli hotel decidessero di tenere aperto tutto l’anno, ancora non basterebbe. Perché funzioni davvero serve poter offrire qualcosa a chi arriva qui: ristoranti aperti, certo, così come i negozi. Ma anche eventi e proposte culturali. Per fare il salto di qualità, le bellezze del territorio non bastano (più), soprattutto ora che la pandemia è definitivamente archiviata e i confini sono tornati ad aprirsi. Il settore dovrebbe quindi avviare una vera riflessione, facendo sedere attorno a un tavolo tutti gli attori del comparto per provare a pianificare con cura le prossime mosse. Essere proattivi e lavorare, magari di concerto con le autorità cittadine, per organizzare una serie di proposte accattivanti e spalmate sull’intero anno. Nessuno si illude che sia semplice, né che sia immediato. Ma bisogna anche essere consapevoli che il successo ottenuto durante il periodo COVID, senza scelte coraggiose e lungimiranti, è destinato a esaurirsi. Alle idee, poi, dovrebbe far seguito una giusta promozione. Lavorare sul marketing, per dirla diversamente. Una pubblicità ben costruita, negli anni, ha concorso a determinare il successo di Como: perché, quindi, non potrebbe funzionare anche per il Ticino?
E poi ci sono le alleanze. Perché non provare a immaginare di unire le forze con i comaschi? Ad esempio, si potrebbe “sfruttare” l’arrivo in massa di visitatori sul Lario per favorire anche le visite oltreconfine, magari con una rete di trasporti agevolati e pensata appositamente per i visitatori stranieri. O, ancora, ideare pacchetti e offerte culturali che permettano di creare maggiori sinergie tra i territori al di qua e al di là della frontiera. Un compito che, più che alla politica, dovrebbe essere affidato proprio a chi, meglio di ogni altro, conosce la materia: gli enti turistici. Iniziare dal basso, quindi, per puntare in alto. A obiettivi ambiziosi, sì, ma che pensiamo siano assolutamente alla portata del nostro cantone. Anche per smentire una volta per tutte le bordate che alcun anni fa il Blick lanciava in prima pagina: «A Pasqua non andate in Ticino, tanto piove».