Processo

«In quella casa anziani nessun maltrattamento»

Prosciolto un assistente di cura del Luganese accusato di aver premuto un cuscino sul viso di un paziente per venti secondi precludendogli la respirazione – L’inchiesta era partita su segnalazione di una collega – Per il giudice Marco Villa «lineare lui, poco attendibile lei»
© CdT / Chiara Zocchetti
Valentina Coda
20.06.2022 19:50

Esposizione a pericolo della vita altrui. Tradotto: presunti maltrattamenti su anziani. Quando l’imputato ha varcato la soglia dell’aula di tribunale delle Assise criminali questa mattina non doveva solamente rispondere dei fatti imputatigli dalla procuratrice pubblica Valentina Tuoni. Doveva e soprattutto voleva anche mettere la parola fine a una storia che si trascinava ormai da quattro anni e che «sorprendentemente», come rilevato dal suo avvocato, non sarebbe dovuta approdare davanti a una Corte penale. L’uomo, un 50.enne del Luganese e attivo all’epoca dei fatti come assistente di cura in una casa per anziani della città, si è sempre proclamato innocente. Innocente perché, a suo dire, quel marzo del 2018 non ha premuto un cuscino per almeno venti secondi sul volto di un anziano precludendogli la respirazione e facendolo diventare rosso paonazzo, come ritiene l’accusa. Bensì ha messo il cuscino tra la sua mano e la bocca dell’ospite come «gesto istintivo di difesa per paura di essere morso». Quello che l’imputato ha descritto come «una storia di ingiustizia», è stata giudicata tale anche dal presidente della Corte Marco Villa, che l’ha prosciolto dall’accusa in nome del principio in dubio pro reo.

Accusa grave, motivo futile

I fatti risalgono alla fine di marzo del 2018 e si inseriscono nella classica procedura di messa a letto di un paziente. In questo caso il trasferimento del paziente dalla sedia a rotelle verso il letto. Ed è proprio questo aspetto il perno attorno al quale la procuratrice pubblica ha costruito tutto l’impianto accusatorio. L’inchiesta ha preso avvio dalla segnalazione di un’altra assistente di cura dopo aver visto l’uomo commettere il fatto con «modalità violente e repentine». «L’imputato dice di aver agito in questo modo per difendersi da eventuali morsi dell’ospite – ha rilevato Tuoni durante la requisitoria –, le sue sono dichiarazioni inconsistenti e divergono completamente da quelle attendibili dell’altra assistente che ha tempestivamente denunciato il fatto ai suoi superiori. Anche le motivazioni sono futili se si considera il pericolo creato, oltre a negare le sue responsabilità e minimizzare le azioni. Stiamo parlando di un’accusa molto grave, soprattutto per il denotato disprezzo della vita altrui di chi dovrebbe prendersi cura dei più fragili». Un’accusa talmente grave che la procuratrice pubblica ha chiesto una pena di 36 mesi, di cui 6 da espiare e 30 sospesi con la condizionale. Durante l’interrogatorio da parte del giudice, l’imputato aveva rilevato che l’anziano, a volte, aveva un’attitudine «poco gestibile».

Un comportamento per il quale non era mai stato formato tramite un corso adeguato. «Non ho mai svolto un corso di gestione di pazienti problematici e non mi sono mai state sottoposte le linee guida della struttura. Ho appreso dell’esistenza dal mio avvocato il giorno prima del processo. L’unica cosa che mi rimprovero è aver dato un ‘buffetto’ all’ospite. Nonostante fosse poco gestibile, spesso gli tenevo compagnia. Mi piaceva il mio lavoro». Dal canto suo, la rappresentante dell’accusatore privato ha sottolineato che «l’imputato non ha preso le dovute precauzioni essendo l’ospite solito a essere poco collaborativo. Stiamo parlando di maltrattamenti su anziani, un abuso di forza su una persona fragile e indifesa».

Carenza di prove

Tre spunti di riflessione sono stati forniti dal difensore dell’imputato Nadir Guglielmoni durante l’arringa. Quello più eclatante è il fatto che «dagli atti emergono incongruenze sulle dichiarazioni dell’assistente di cura che ha denunciato i fatti, nonché sulle tempistiche di pressione del cuscino». La spiegazione a queste incongruenze? «L’assistente di cura è stata colta in flagrante mentre stava dando dei ceffoni all’ospite. E il viso paonazzo dell’anziano è dovuto proprio a questi schiaffi». Come detto, l’imputato alla fine è stato prosciolto anche perché la Corte ha constatato «l’assenza degli estremi del reato». Per Villa c’è stato un problema oggettivo dal punto di vista medico-legale non di poco conto. «Non c’è un referto medico che attesti il rosso paonazzo del viso e il gonfiore delle vene della fronte. Venti secondi sono un’infinità e sull’atto d’accusa ci sarebbe stato scritto un altro capo d’imputazione. Se i fatti fossero andati come descritti dall’accusa, tutti si sarebbero aspettati il pronto intervento di qualcuno, mentre qui abbiamo una chiara omissione di soccorso».

Sempre in merito a quest’ultimo aspetto, per il giudice la persona che ha denunciato i fatti «è scappata via incurante delle condizioni dell’anziano e ha aspettato due giorni prima di parlare dell’accaduto». Una condotta, questa, che rende le sue dichiarazioni «poco attendibili», mentre quella dell’imputato è «sempre stata la stessa, lineare e logica nel tentativo di difendersi». Infine, la Corte ha avuto anche un problema pratico. «Ci siamo trovati davanti a un reato gravissimo, con un accusa di tre anni, senza neanche delle prove documentate».

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