Processo

In quell'appartamento a Vezia ci fu un duplice tentato omicidio

Condannato a 4 anni e 6 mesi l’uomo che il 12 giugno dell’anno scorso appoggiò la lama alla gola della sua compagna e sferrò tre fendenti alla schiena dell’amico – La Corte: «Per puro caso il suo agire non ha avuto un esito letale» – Disposto un trattamento stazionario
©CdT/Chiara Zocchetti
Valentina Coda
15.05.2024 17:54

«È successo, l’ho accoltellato, ma non ricordo il motivo perché ero ubriaco. So, però, che non volevo fare del male a nessuno. Né a lui, tantomeno a lei». Non ha convinto la Corte delle assise criminali l’ultima versione – dopo le varie e discordanti cambiate in sede d’inchiesta – a cui si è aggrappato il 40.enne cittadino italiano condannato principalmente per duplice tentato omicidio per dolo eventuale a 4 anni e 6 mesi in relazione a quanto accaduto il 12 giugno dell’anno scorso in via San Gottardo a Vezia, quando appoggiò il coltello alla gola della sua compagna e successivamente sferrò tre fendenti alla schiena dell’amico. Per la Corte, presieduta dal giudice Amos Pagnamenta, la credibilità dell’imputato «è del tutto assente perché le sue dichiarazioni sono sprovviste di coerenza e logica». Inoltre, quel giorno, «ha agito con convinzione, mosso dalla gelosia, e solo grazie a un puro caso le coltellate non hanno avuto un esito letale». La pena è stata sospesa a favore di un trattamento stazionario in virtù della perizia psichiatrica, che ha rilevato una scemata imputabilità di grado lieve. L’uomo è stato anche espulso dalla Svizzera per 7 anni.

Non i soccorsi, ma la madre

È successo tutto nell’appartamento dell’imputato. L’uomo, ubriaco, ha una accesa discussione con la sua compagna. Lo muove la gelosia, è convinto che lei lo stia tradendo. Afferra un coltello e lo appoggia alla gola della donna per «spaventarla e farsi dire la verità», come ammesso in aula. «Ma non dalla parte della lama, dall’altra. Era l’ultima persona a cui volevo fare del male». Lei cerca di uscire ripetutamente dall’appartamento, lui glielo impedisce per due ore. In seguito, preso da un’esplosione di rabbia, inizia a spaccare tutto quello che gli capita a tiro. L’amico e vicino di casa, accorso per tentare di calmarlo e pensando di esserci riuscito, gli volta le spalle e viene colpito da tre coltellate alla schiena.

«Lo sa che può uccidere una persona se la colpisce con un coltello?», lo ha incalzato il giudice Amos Pagnamenta. «Non lo so perché non l’avevo mai fatto prima». L’imputato scappa dall’appartamento e lascia l’amico sanguinante. Non chiama i soccorsi, «ero in panico», ma telefona alla madre per raccontargli l’accaduto. «Era ubriaco, è vero, ma non così tanto da impedirgli di dire alla madre quello che aveva appena fatto», ha detto la procuratrice pubblica Valentina Tuoni durante la requisitoria. «Ha ferito il suo amico in una zona vitale, ha agito alla cieca senza preoccuparsi delle sue condizioni e ha omesso di chiamare i soccorsi. Più sfumato, invece, il gesto di appoggiare il coltello alla gola della donna, ma il fatto di impedirle di uscire di casa si accavalla con una costrizione continua e un uso della forza al fine di farsi dire quello che voleva». Al netto di tutto, l’imputato «ha minato l’integrità di due persone sull’arco di poche ore con una carica di violenza scaturita da futili motivi». Per questi motivi, la pp aveva chiesto una pena detentiva di 4 anni e 9 mesi e l’espulsione dalla Svizzera per 10 anni.

«Si sono assunti il rischio»

Dal canto suo, il difensore dell’imputato, Fabio Creazzo, ha fatto leva sullo stato mentale del suo assistito – che ha agito in uno stato di «grave angustia» –, sul suo passato difficile contraddistinto da «pane e botte» e sull’inattendibilità della donna e dell’amico (con cui, tra l’altro, si era ubriacato insieme quel giorno). La perizia psichiatrica, infatti, aveva concluso che l’uomo soffre di disturbi psichici, una scemata imputabilità di grado lieve, un alto rischio di recidiva e un lieve ritardo mentale. «In quel momento il mio assistito era ubriaco, instabile e ingestibile. Chi l’ha immobilizzato si è assunto la responsabilità di determinati rischi di reazione, ma nonostante le coltellate non è mai stato in pericolo di morte. Anche la donna ha scelto deliberatamente di andare a casa dell’imputato nonostante fosse a conoscenza del suo stato». In ogni caso, la capacità di volere dell’imputato «era lievemente scemata a causa dell’alcol associata al ritardo mentale di cui soffre e alla sospensione della cura farmacologica». Creazzo si era battuto per il proscioglimento dall’accusa principale di tentato omicidio («al massimo per lesioni gravi»), 3 anni di detenzione, la predisposizione di un percorso terapeutico in una struttura specializzata (in via subordinata un trattamento ambulatoriale) e il riconoscimento del caso di rigore per l’espulsione.

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