«Indagavamo sugli abusi nella Chiesa, ma ci scontravamo con tanta omertà»

Prima la pubblicazione del rapporto dell'Università di Zurigo sugli abusi sessuali all'interno della Chiesa svizzera. Quindi, la presa di posizione della diocesi di Lugano, citata nello studio, anche in relazione alla distruzione di documenti dell'archivio. Come leggere un momento tanto delicato? Lo abbiamo chiesto a Paolo Bernasconi, avvocato ed ex magistrato, procuratore pubblico dal 1969 al 1985. Condusse la campagna legislativa contro la pedofilia, quale presidente della cosiddetta Marche Blanche. «Dopo rapporti analoghi pubblicati sugli abusi sistematici in Francia, Germania, Irlanda e altri Paesi, non si spiegava l’assenza da parte della Svizzera».
Da
magistrato ha mai avuto a che fare con casi di abuso in ambito ecclesiastico?
«In
quasi vent’anni di attività come responsabile del Ministero pubblico ho
condotto diverse inchieste riguardanti casi di abuso da parte di sacerdoti,
all’interno di istituti oppure fuori».
Ha
incontrato difficoltà durante queste indagini? E quali, nel caso?
«Per
i reati finanziari e quelli commessi da professionisti, di solito, seguivo e
seguivamo molte piste per scoprire gli autori di un reato. Anche in mancanza di
denunce da parte delle vittime. Riguardo agli abusi commessi da sacerdoti,
questa tecnica non funzionava a causa della totale omertà. Ma anche perché le
famiglie delle vittime non disponevano di alcun consulente, né di persone
disposte ad aiutarle».
La
Chiesa stessa non si è mai fatta avanti?
«Ovviamente
mai abbiamo ricevuto segnalazioni da parte della gerarchia ecclesiastica. Anzi,
ho il preciso ricordo di sacerdoti condannati per pedofilia che, in seguito,
vennero allontanati nelle diocesi del terzo mondo. Così che non fossero
svantaggiati da stigmate negative. Gli organi statali, ovvero Confederazione,
Cantoni e Comuni, hanno l’obbligo di denunciare i reati commessi dai loro
dipendenti. Le banche e gli altri operatori finanziari hanno l’obbligo di
denunciare ogni sospetto di riciclaggio da parte della clientela. Anche gli
ospedali e le case di cura hanno l’obbligo di denunciare reati contro
l’integrità personale di cui vengono a conoscenza. In questi ultimi anni, anche
in Svizzera, addirittura mediante revisioni costituzionali, la popolazione e lo
Stato hanno capito la necessità di dotarsi di strumenti adeguati a combattere
la pedofilia. In considerazione della diffusione della pedofilia nella Chiesa,
messa in evidenza dal recente rapporto nazionale, si aprono perlomeno due
strade: un codice di condotta interno alla gerarchia che obblighi alla
trasparenza interna e alla denuncia alle autorità penali di tutti i casi.
Alternativamente, dovrà provvedere il legislatore federale».
Molti
dei casi descritti nel rapporto dell’Università di Zurigo sono caduti in
prescrizione. Che cosa si può fare, in merito?
«Il
periodo di prescrizione per la repressione della pedofilia è stato elevato
rispetto a quello previsto per altri reati. Sarebbe necessario fare altrettanto
per il reato di soppressione di documenti, proprio per impedire che mediante
questi reati, all’interno della gerarchia ecclesiale, si renda impossibile non
soltanto l’identificazione dei colpevoli di pedofilia ma addirittura
l’allontanamento di questi ultimi dal contatto con minorenni».
«Distruggere
documenti è un delitto», ha dichiarato al CdT Fabrizio Panzera, già collaboratore scientifico dell’Archivio di Stato del Cantone. Come inquadrare il vuoto documentale
venutosi a creare alla diocesi di Lugano, quindi?
«Riguardo alla soppressione dei documenti relativi
alla pedofilia all’interno della gerarchia ecclesiale, incombe al ministero
pubblico avviare le relative indagini: d’ufficio, senza aspettare le denunce
che non arriveranno mai, basterebbero le notizie pubblicate recentemente. Per
il reato di soppressione di documenti, rispettivamente per il reato di
favoreggiamento consistente nel sottrarre a un procedimento penale l’autore di
un reato, le relative indagini giudiziarie penali dovranno verificare quando
furono commessi i fatti. E questo perché l’azione penale, per questi reati, si
prescrive in quindici anni. Più in generale, andrebbe rivisto il privilegio del
segreto a favore degli ecclesiastici per restringerlo esclusivamente a quanto
appreso nell’esercizio della confessione».