Indipendenti e autorità, la convivenza è possibile
Lo scricchiolio del legno è il sottofondo sonoro della conferenza di sabato a La Straordinaria. Nelle diverse presentazioni, così come nel dibattito finale, si è parlato di spazi, di finanziamenti, di esempi che succedono altrove e del ruolo istituzionale nella promozione della cultura. È il 79.esimo giorno di permanenza della struttura e l’evento di oggi è anche un’occasione per tirare le somme: circa 30 mila visitatori prima dell’ultima settimana.
E dopo questo?
È stata una delle domande centrali del lungo pomeriggio di conferenze e la principale questione che si pongono le persone vicine alla cultura indipendente. Quest’ultimo termine, ci spiega Olmo Cerri, membro di IDRA, associazione curatrice de La Straordinaria, «è un po’ vago. Più corretto sarebbe parlare di realtà indipendenti che vogliono proporre la propria offerta culturale». L’esempio di Morel, il concessionario in disuso dietro al LAC, - come ha detto il principale responsabile Noah Sartori, durante la sua presentazione - ha esposto la difficoltà di affermarsi come spazio culturale riconosciuto, che nonostante il grande potenziale dell’edificio e l’affluenza viva di cittadini che visitavano il luogo, non è riuscita né a collaborare con la città né a continuare a offrire le proprie proposte per questioni legali e burocratiche. L’esperienza de La Straordinaria, invece, ha dimostrato che le istituzioni e le realtà indipendenti possono coesistere con successo, come ha affermato anche Luigi Di Corato, direttore della Divisione cultura della città di Lugano, durante il dibattito finale. Adesso, soprattutto per i promotori del fronte alternativo, c’è voglia di continuare con questa coesistenza.
Laissez-faire per la cultura
Come ci racconta Olmo Cerri, i curatori dell’installazione sono «abbastanza soddisfatti del ruolo della città durante questi tre mesi. Lugano non ha posto troppi vincoli e si è limitato a mettere a disposizione lo spazio e alcuni finanziamenti assieme ad altri partner». In gran parte, La Straordinaria si è autofinanziata: gli stipendi delle persone che lavoravano «dietro le quinte» si sono potuti versare grazie alla grande affluenza di pubblico. È un tema ricorrente, nel settore della cultura, quello degli stipendi ai collaboratori: «solitamente si trovano i soldi per gli artisti, per il materiale e per lo spazio, ma poi capita che i collaboratori debbano lavorare a gratis», l’accostamento del lavoro retribuito in contrapposizione al volontariato è stato affrontato da Hélène Mateev del teatro dell’Usine di Ginevra, dove la realtà dei finanziamenti istituzionali per le attività autogestite è ormai consolidata. «Senza la città e i suoi finanziamenti, l’Usine non esisterebbe. Il finanziamento pubblico è fondamentale», ha spiegato in francese la co-responsabile della programmazione del teatro ginevrino.
Un paragone complicato
Mentre a Berna e Ginevra esistono delle realtà di autogestione consolidate e sovvenzionate, a Lugano si discute ancora se l’autogestione sia una cosa giusta oppure no. Le presentazioni di sabato sulla Reitschule di Berna e sull’Usine di Ginevra hanno portato due esempi in cui grazie alla riappropriazione, da parte dei cittadini, di spazi in disuso, sono nate iniziative che danno un valore aggiunto alla città. Si tratta di due realtà accettate e affermate, «che fanno parte della città», hanno spiegato i rappresentanti. Giulia Meyer, del Servizio culturale della città di Berna, ha più volte rimarcato che «Come città, è nostro compito promuovere le iniziative che provengono dalla società civile. Il nostro approccio è reattivo, nel senso che reagisce alle iniziative della popolazione», continua la funzionaria, «Fare cultura spetta alla società civile e la nostra strategia si limita a offrire spazi e finanziamenti, non organizziamo eventi». Sia i rappresentanti dell’Usine di Ginevra, sia quelli della Reitschule di Berna, hanno affermato di avere rapporti piuttosto buoni con le istituzioni, soprattutto con i rispettivi dipartimenti della cultura delle due città.
Il paradosso
Nel dibattito finale, dov’era presente il direttore Di Corato assieme a rappresentanti delle diverse discipline artistiche, si aveva l’impressione che il delegato della città si trovasse nella «tana del lupo», ma in una dinamica in cui non era chiaro chi fosse il predatore e chi le prede. La critica mossa alla città di Lugano è quella di voler farsi principale promotore di tutti gli eventi, togliendo spazio alle varie associazioni indipendenti. LAC, Masi, eventi longlake, buskers festival, studio foce: con una programmazione gestita dalla città, a differenza della strategia di Berna, quella di Lugano è «molto istituzionale», come ha ammesso anche Di Corato, riferendo che l’esperienza de La Straordinaria è stata molto positiva e ha permesso di valutare questo primo approccio di questo tipo. Rimarcando l’argomento dei finanziamenti alla cultura, il direttore ha anche accennato la imminente votazione in Consiglio comunale per l’acquisto degli studi radio della RSI a Besso, per dare vita alla «Città della Musica». A tal proposito, senza criticare tale investimento, Aline D’Auria di Spazio Lampo a Chiasso ha espresso la sua preoccupazione riguardo alla destinazione dei fondi; portando l’esempio del Festival del Cinema di Locarno, che beneficia di un grosso sostegno, mentre le piccole associazioni ricevono poco.