«Ingenuo lui, furbo l'altro»: crediti COVID ancora in aula
«Avevo sentito parlare di persone che facevano operazioni poco trasparenti con questi crediti COVID». Un’affermazione che può far sorridere, perché pronunciata in aula da uno degli imputati accusato, insieme al suo «vicino di banco», di truffa e falsità in documenti proprio nel quadro della concessione di fideiussioni durante la prima ondata pandemica. Una vicenda che si aggiunge alla già nota carrellata di abusi finita davanti alla giustizia ticinese e che la procuratrice pubblica Chiara Borelli ha dipinto oggi come «un’opportunità egoistica e affaristica». Davanti alla Corte delle assise criminali, presieduta dal giudice Amos Pagnamenta, un 69.enne e un 66.enne entrambi cittadini italiani, che secondo l’atto d’accusa avrebbero agito in correità ottenendo un credito COVID di mezzo milione di franchi, omettendo però di informare la banca sul fatto che la società, intitolata a uno degli imputati, sarebbe stata ceduta all’altro solo a credito ottenuto.
Di contenziosi e bonifici
Il quadro è quello della prima ondata pandemica, nel periodo tra giugno e luglio 2020. Il 69.enne, titolare di un’azienda, è prossimo alla pensione, ma ha un contenzioso aperto con un’altra società. Un affare andato storto, in buona sostanza. Entra così in gioco l’altro imputato, un 66.enne imprenditore navigato, a cui viene offerto «su un piatto d’argento una società con una buona cifra d’affari (oltre sei milioni di franchi) e un proprietario quasi in pensione». Per far cessare il contenzioso, il 66.enne propone al correo di rilevare la sua società alla condizione che chiedesse e ottenesse un credito COVID di mezzo milione di franchi prima di formalizzare la cessione dell’azienda. Compilando il relativo modulo di richiesta, però, avrebbero omesso, secondo l’accusa, di informare i funzionari della banca che la società era di fatto già stata ceduta. Inoltre, dopo l’ottenimento del credito, la somma sarebbe stata interamente consumata erogando bonifici destinati a un’altra azienda a cui faceva capo il 66.enne.
«Opportunismo affaristico»
Per la pubblica accusa il quadro è chiaro, come pure il ruolo distinto dei due. Il 69.enne è stato «uno strumento d’appoggio per gli interessi dell’altro», mentre il 66.enne «ha agito con opportunismo affaristico. Sapeva che la richiesta e la transizione del credito COVID erano operazioni facili e veloci (nei mesi precedenti aveva già ottenuto in modo legale un credito ponte di 90.000 franchi per la propria azienda, ndr), ma non voleva figurare da nessuna parte. Si è mosso sul sottile filo del lecito e dell’illecito e ha sempre fatto investimenti che ruotassero attorno al suo cosmo». Per i due sono stati chiesti 20 mesi e rispettivamente 29 mesi sospesi.
Fuoco incrociato sull’accusa
Di contro, a mente dell’avvocato Roy Bay, patrocinatore del 69.enne, Borelli ha pasticciato con l’atto d’accusa: «Si sostiene che il mio assistito avrebbe compiuto una truffa mentre era già in corso un altro procedimento penale nei suoi confronti (poi sfociato in un decreto d’abbandono, ndr). Ma chi farebbe una cosa simile? L’imputato voleva solo chiudere la vertenza che aveva in sospeso per poi andare in pensione. Questo identifica una persona corretta, che non scappa dai problemi, ma li affronta». Per l’avvocato, l’uomo non ha commesso alcun reato: «Non è un truffatore, è stato forse solo un po’ ingenuo». In aggiunta, «il mio assistito ha accettato la proposta perché aveva diritto al credito visto che la società navigava in acque economicamente agitate, ma sul modulo di richiesta non vi è l’obbligo di indicare chi fosse l’azionista o altro». L’avvocato del 66.enne, Luigi Mattei, durante l’arringa ha ribadito di essere stato anche lui «colpito dall’atto d’accusa, in cui non figura da nessuna parte l’uso illecito dei soldi, ma solo che l’azienda è stata rilevata solo dopo l’ottenimento del credito. La procuratrice pubblica ha fatto un esercizio ginnico non indifferente durante la stesura. Non vi è stata falsità nell’indicare la cifra d’affari, il mio assistito ha rilevato la società perché gli permetteva di completare il quadro societario». Per Mattei, le operazioni sono «sempre state ordinarie, documentate, con un uso corretto, adeguato e reale del credito. Non è una storia di spostamento di capitali e non si è mai voluto acquistare una società per poi spogliarla». Domani in tarda mattinata verrà letta la sentenza.