Intese fiscali e segreto bancario: "Troppi errori"

Intervista ad Antonio Foglia - Secondo il banchiere ed economista la campagna USA non si giustifica
Antonio Foglia.
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
10.11.2015 06:00

Le voluntary disclosure, o autodenunce fiscali per i capitali non dichiarati, riguardano gli Stati Uniti e molti Paesi europei, tra cui l'Italia. Queste operazioni hanno prese piede parallelamente all'abolizione del segreto bancario per i non residenti da parte della Svizzera e di altre piazze finanziarie. Abbiamo posto ad Antonio Foglia, banchiere ed economista, alcune domande sulle autodenunce fiscali attuate o in corso e sulla cancellazione di una parte consistente del segreto bancario.

Qual è stato l'esito della voluntary disclosure USA, quali sono le cifre in ballo?

«La voluntary disclosure americana non ha una scadenza, ma si può ipotizzare che, dopo le pressioni degli ultimi anni, il programma abbia ormai dato i suoi frutti. Un articolo apparso qualche giorno fa sul Wall Street Journal tirava le prime somme: sono oltre 54.000 i cittadini che hanno avvicinato il Fisco USA per regolarizzare la loro posizione, ed hanno pagato circa 8 miliardi di dollari in tasse e multe. Da queste cifre si può estrapolare che i patrimoni non dichiarati fossero dell'ordine di grandezza di 40 miliardi di dollari. Tutto sommato cifre straordinariamente modeste se rapportate all'economia americana: il Fisco ha racimolato solo circa lo 0,1% delle tasse che raccoglie in un solo anno ed i patrimoni emersi sono solo lo 0.05% della ricchezza netta delle famiglie americane. La violentissima campagna liberticida americana che ha in pratica distrutto il segreto bancario in Svizzera e nel mondo era quindi sostanzialmente ingiustificata ed i suoi danni, sopratutto per i Paesi meno fortunati, sono straordinariamente più alti dei modesti vantaggi conseguiti dal Fisco americano».

Quale valutazione si può dare dell'abolizione del segreto bancario a livello mondiale?

«Purtroppo non tutto il mondo ha la stabilità politica ed economica degli Stati Uniti o della Svizzera. Come si è visto, nei Paesi che meritano la fiducia dei cittadini ed hanno tassi di imposizione ragionevoli, l'infedeltà fiscale è un vizio di modesta portata. Ma in Paesi meno fortunati è una forma di legittima difesa ed è cruciale per la sopravvivenza ed il progresso stesso di quei Paesi. Lo si era visto bene in Italia, dove gli imprenditori hanno potuto resistere localmente a condizioni difficili qualche decennio fa anche grazie a quanto accumulato come riserva di emergenza dalle nostre parti. Vi sono ancora molti Paesi in condizioni politiche o economiche difficili, dove la borghesia sta nascendo ora e deve essere difesa. E pensi poi a chi vorrebbe sostenere l'opposizione ai regimi autoritari che stanno emergendo anche in Europa centrale: con lo scambio automatico di informazioni si diventa prigionieri economici e politici del Governo in carica. Tenga presente che i cittadini dovrebbero essere liberi, come le aziende, di investire ovunque nel mondo pagando le tasse solo nei Paesi in cui investono e di cui quindi utilizzano le risorse. Ciò avviene attraverso le ritenute alla fonte pagate anche da chi è protetto dal segreto bancario. Con lo scambio automatico di informazioni si uccide in pratica questa libertà per i cittadini, mentre le aziende continuano a goderne. Almeno fino a quando gli Stati non troveranno uno scellerato accordo per eliminare la concorrenza fiscale anche per le imprese».

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