La storia

«Io, uno degli ultimi pescatori del Lago Maggiore»

Walter Branca si racconta: i sacrifici e le bizze della natura, ma anche la gioia di un mestiere che, se tornasse indietro, sceglierebbe ancora
© CdT/Chiara Zocchetti
Prisca Dindo
23.01.2024 06:00

Saliamo sulla barca e la colonnina di mercurio segna -3 gradi. Fa un gran freddo. Il lago è liscio come l’olio e il sole è ancora nascosto dietro le montagne sopra Vira Gambarogno. L’aria è gelida perché il tempo sta per volgere al bello. «Quando sono uscito stanotte non era così freddo perché il cielo era ancora coperto dalle nuvole», ci racconta Walter Branca mentre fa il rabbocco di benzina. È uno degli ultimi pescatori professionisti del Verbano. «Sono come un dinosauro, una specie in via di estinzione», si presenta a chi scrive e alla fotografa del CdT con un tono tra lo scherzoso ed il malinconico. Oltre a Walter, che possiede la patente cantonale dal 1969, c’è soltanto un altro ticinese che vive di pesca sul lago Maggiore. «Poi ci sono i pescatori della domenica, che non hanno una pescheria come me e il mio collega», puntualizza il nostro interlocutore, puntando l’imbarcazione tra la Bolla Rossa e la foce della Verzasca. È lì che dobbiamo recuperare le quattro reti da fondo che ha inabissato il giorno prima.

Quell’alga che disturba

Durante il percorso, Walter Branca ci racconta che la sua uscita tra la mezzanotte e le due non è stata tanto fortunata: le sue reti volanti calate a notte fonda hanno catturato soltanto quattro coregoni. «Quattro pesci in due ore… Una vera delusione», commenta senza mezzi termini il pescatore, girando la manovella del salpareti. Ma questa è la legge della natura: a volte è generosa, a volte no. Lui ci ha fatto il callo, volente o nolente.

Nel lago ci sono tutti i pesci d’acqua dolce: il lucioperca, il luccio, il coregone, l’agone, la tinca, la carpa ed il pesce persico. L’ecosistema lacustre è fatto di equilibri delicati, dove convivono le «new entry», come ad esempio il pesce siluro, solo per citare il più noto, e le «vecchie glorie», come la trota. Secondo Branca la pesca quest’anno non è abbondante perché nel lago c’è un’alga che si è formata a causa dalle temperature particolarmente miti di questo inverno. «L’alga dà fastidio al pesce e di conseguenza la rete non lavora bene», ci spiega entrando nei dettagli.

«Siamo come i fungiatt»

Questa mattina Walter spera di aver più fortuna. Del resto oggi è il suo compleanno e rientrare per i suoi 64 anni con il pieno di pesci sarebbe un gran bel regalo. In generale il pescato è ricco quando si gettano le reti nel punto esatto in cui si concentrano i banchi di plancton e fitoplancton di cui si nutrono gli esemplari più piccoli che a loro volta attirano quelli più grandi. «E noi conosciamo i posti giusti, come i fungiatt con i funghi», scherza il nostro interlocutore, ritirando pian piano la seconda rete.

All’improvviso dal nero del lago spunta una macchia argentea. Più la rete si avvicina alla barca, più la macchia diventa grande. Impigliato nelle maglie, c’è un grosso luccio: un magnifico esemplare da otto chili. Il sole, che ora domina la montagna, infiamma la livrea dell’animale. Il dorso è bruno-verdastro con variegature argentee. Il ventre è candido come la neve. Walter Branca è soddisfatto: con la vendita del bel esemplare porterà a casa tra i centoventi e i centocinquanta franchi. Tra i clienti della sua pescheria a Vira figurano molti ristoratori, ma pure privati: i pesci d’acqua dolce sono molto ricercati nelle cucine ticinesi.

Il weekend non esiste

I costi che si deve sobbarcare un pescatore professionista non sono pochi: la benzina, il posteggio nel porto, la barca, le assicurazioni, frigo e congelatori. E poi c’è il costo del tempo da dedicare alla pesca, che in questo caso non è un hobby, come detto. «Noi dipendiamo dalla natura: usciamo quando la meteorologia ce lo consente. Se sabato e domenica splende il sole non possiamo permetterci di girarci dall’altra parte facendo finta di niente, ma dobbiamo uscire con la barca, altrimenti è la fine». Il suo è un mestiere di sacrificio e di passione in cui le vacanze si effettuano soltanto quando la meteo rende pericolosa (o inutile) la pesca. Walter ricorda come una volta, quando era giovane, usciva con qualsiasi tempo. Vento, tempesta, neve. «Ora non più; ad esempio so che dopo una giornata o una nottata ventosa non si prende mai niente, quindi è inutile uscire; piano piano l’esperienza mi ha insegnato a non ripetere gli errori di una volta».

Un’attività destinata a cessare

Walter ha iniziato a pescare grazie a suo zio, che aveva la passione per il lago. La sua prima rete l’ha calata a 7 anni. «Ricordo che pochi anni dopo, a furia di insistere, il mio povero zio mi lasciò lanciare nel lago il sasso che serviva da zavorra alla rete. Io lo gettai felice, ma era talmente pesante che finii in acqua pure io. Per fortuna la riva non era tanto distante e mio zio mi recuperò tutto inzuppato».

Oggi Walter è ad un passo dalla pensione eppure non si ferma. E in futuro? I due figli del pescatore hanno imboccato strade diverse e della pesca non ne vogliono proprio sentire parlare. «Anzi, io dico sempre che ho due figli maschi; uno che cosparge di benzina la barca e l’altro che le dà fuoco», racconta scherzando. «Altri pretendenti non ne troviamo - ci dice terminando la chiacchierata -, oramai è un lavoro troppo duro e con poche certezze… Se mi dispiace? Certo che mi dispiace, perché io in questa attività ho buttato dentro una vita; ma se dovessi tornare indietro rifarei la stessa scelta, perché il mio è un mestiere bellissimo».