Lugano

Istituto Vanoni: dall’occupazione alla ricostruzione

La sede in disuso di via Simen sarà demolita e riedificata per accogliere il nuovo centro educativo - «L’irruzione degli anarchici ha turbato i ragazzi»
Lo stabile di via Simen 11 occupato (per poche ore) il 29 maggio scorso.  © CdT/Gabriele Putzu
Giuliano Gasperi
16.07.2021 06:00

L’occupazione della sede della Fondazione Vanoni in via Simen durante il corteo per il Molino ha riportato sotto i riflettori delle cronache un edificio, o meglio un isolato, che era destinato a cambiare faccia. Lo è ancora, ma in modo diverso da quanto immaginato una decina di anni fa. Era il marzo del 2012 quando la Fondazione, allora presieduta da Mimi Lepori Bonetti, illustrava il suo progetto per il comparto: ristrutturare lo stabile principale che accoglieva il centro educativo per giovani dai 3 ai 20 anni in situazioni di vulnerabilità (trasferito nel 2016 in via Brentani, dove l’ente paga l’affitto), demolire le vecchie costruzioni usate dalla Caritas (che nel frattempo ha traslocato a Pregassona) e realizzare tre nuovi edifici che avrebbero accolto un foyer del centro educativo, appartamenti per famiglie e anziani, uffici e commerci, per un investimento di circa 65 milioni. Che ne è stato di quella visione?

Ci tengono
L’avvocato Stefano Camponovo, attuale presidente, assicura che l’idea è ancora viva, ma ci sono stati dei cambiamenti. Per prima cosa, la Fondazione oggi non offre più la scuola elementare, passata nel 2018 sotto la competenza del Cantone: uno spazio in meno da prevedere nell’«isolato sociale». «Poi è entrata in vigore una nuova giurisprudenza in materia di commesse pubbliche che ci ha convinto a portare avanti separatamente, tramite concorso pubblico, la ricostruzione della sede principale, per la quale il Consiglio di Stato chiede al Parlamento di stanziare un contributo di 5 milioni. Siamo felici di questo e anche la Confederazione ci aiuterà», con 3,4 milioni. L’investimento totale ne richiede 10,2. Quanto ai terreni circostanti, nulla è ancora stato definito. «Per il progetto originario avevamo ottenuto la licenza - spiega sempre Camponovo - ma non vuol dire che costruiremo tutto e subito, mentre sui contenuti faremo delle valutazioni. In dieci anni sono cambiati anche gli intendimenti pedagogici. Stiamo pensando, tra le varie cose, a degli appartamenti ‘assistiti’ per i nostri bambini e giovani: una tappa intermedia fra la permanenza in famiglia e l’inserimento in istituto. La materia evolve e non vogliamo un progetto vecchio». La priorità comunque è lo stabile principale, ormai fatiscente, che sarà demolito e ricostruito. Stabile a cui i ragazzi della Fondazione, comunque, sono legati. «L’occupazione li ha turbati, perché quell’edificio, anche se il nostro obiettivo è farli tornare in famiglia il prima possibile, è come una casa per loro». Soprattutto per chi è internato e fra quelle mura, fino a pochi anni fa, ci ha vissuto. Prima di occupare la proprietà, il 29 maggio, gli anarchici avevano denunciato il carattere di quella e altre strutture simili, descrivendole come «prigioni» per i ragazzi in difficoltà. «Si tengano pure la loro opinione - taglia corto il presidente - Noi non siamo in guerra con nessuno, dobbiamo solo proteggere i giovani e le loro famiglie. Loro vengono prima di tutto».

Cambia l’approccio
Il nuovo centro educativo segnerà comunque un cambiamento nel modo di seguire i ragazzi. Lo spiega il Consiglio di Stato nel suo messaggio: «Dal ‘modello istituto’, per molti versi superato, si passerà ad una strutturazione in gruppi-famiglia, con soluzioni in funzione dell’età degli ospiti e spazi per il lavoro con le famiglie. In tal senso, laddove possibile, sarà favorito il rientro in famiglia o l’inserimento abitativo dei più grandi in un percorso di progressiva autonomia».