La carta resta un vettore chiave anche in un mondo che cambia

L’industria grafica in Svizzera ha una lunga tradizione ed è un settore di grande importanza per l’economia del Paese, anche se ha affrontato diverse sfide negli ultimi anni, come la digitalizzazione e il processo di globalizzazione. Questa industria include la stampa tradizionale, la stampa digitale, il packaging, l’editoria classica (stampa di quotidiani e riviste) e la produzione di materiali pubblicitari e di comunicazione visiva.
L’industria grafica in Svizzera contribuisce significativamente all’economia nazionale pur essendo un settore quasi di nicchia. È composta da un paio di migliaia di aziende, molte delle quali sono piccole e medie imprese (PMI), con una forza lavoro stimata intorno ai 25 mila addetti. Il fatturato complessivo di questo settore supera i 2,5 miliardi di franchi, anche se la sua dimensione esatta può variare a seconda del sotto-settore considerato.
Nella Svizzera italiana sono 53 le imprese del settore rappresentate dall’associazione di categoria viscom che a sua volta fa parte di dpsuisse, l’associazione mantello del settore che rappresenta altre associazioni simili, con il Centro Stampa Ticino SA che per dimensione e capacità di stampa (50 milioni di copie l’anno, tra quotidiani, settimanali e mensili in carta da giornale) fa da capofila a un settore molto segmentato. Tra le altre testate, stampa, i quotidiani Corriere del Ticino e laRegione. Ed è proprio presso quest’azienda di Muzzano che l’AITI, l’Associazione industrie ticinesi, ha tenuto ieri una delle visite regolari presso le imprese associate. L’invito è stato allargato ai rappresentanti di alcune delle tipografie storiche del Ticino, ai consiglieri di Stato Marina Carobbio (DECS) e Christian Vitta (DFE) e alle deputate e ai deputati del Parlamento cantonale.
Un mondo per sensibilizzare le autorità politiche dell’importanza di un settore che in Ticino rappresenta ancora 53 aziende per un totale di circa 1.500 addetti, tra produzione vera e propria, grafici e operatori delle società di comunicazione. Il presidente della sezione ticinese di viscom Stefano Soldati ha introdotto la mattinata ricordando la sostenibilità della carta stampata (85% da materie prime riciclate) e soprattutto l’efficacia della materialità della pagina scritta come mezzo di comunicazione. I messaggi, in buona sostanza, passano e si sedimentano meglio se sono su un supporto cartaceo senza con questo demonizzare il processo di digitalizzazione. Le tariffe crescenti della Posta per consegnare riviste e giornali non aiutano e spingono verso il digitale, pur essendo il prodotto cartaceo apprezzato dai lettori.
La formazione è fondamentale
Il dibattito che è seguito si è concentrato sulle strategie comunicative del settore pubblico. Recentemente, per esempio, la stampa dei cataloghi dei Corsi per adulti è stata ridimensionata a favore del canale digitale. Una scelta discutibile, l’ha definita Giacomo Salvioni, presidente di Stampa Svizzera, l’associazione degli editori. Per Salvioni l’efficacia della carta è maggiore nel caso di campagne di comunicazione istituzionale. Da questo punto di vista la consigliera di Stato Marina Carobbio ha ricordato l’esigenza di risparmiare sulla spesa pubblica. Per quanto riguarda il dipartimento che dirige, il DECS, si sta impegnando nelle scuole a sensibilizzare gli allievi ad approcciare in modo critico la comunicazione via social media e incentivare, per quanto possibile, la lettura dei giornali.
Christian Vitta, dal canto suo, ha ricordato come il fenomeno della «deprivazione informativa» (persone che non si informano) sia crescente.
Un altro tema affrontato è stato quello della formazione professione e dell’importanza dell’insegnamento delle lingue nazionali nelle scuole per apprendisti. Il tedesco, è stato ricordato da più imprenditori, è fondamentale per il settore delle arti grafiche se si vogliono affrontare i mercati di oltre San Gottardo come pure i mandati della Confederazione sempre più difficili dal Ticino. Sul tema lingue Marina Carobbio si è detta disponibile, ma molto dipende anche dalle associazioni aziendali per la formazione degli apprendisti. Non in tutte le professioni, ha precisato Carobbio, è previsto l’insegnamento di una seconda lingua e spesso se c’è si opta per l’inglese.