Giustizia militare

La cassa nera dei doganieri

Iniziato il processo a carico dell’ex comandante delle Guardie di confine Mauro Antonini e dell’ex capo dello Stato maggiore - Sono accusati di aver creato e alimentato per circa settemila franchi sull’arco di un decennio un fondo a disposizione del comando all’insaputa di Berna
© CdT/Chiara Zocchetti
Federico Storni
27.01.2022 19:31

Era l’agosto del 2018 quando la Regione IV delle Guardie di confine - quella ticinese - veniva scossa da una serie di scandali in rapida successione. Due ufficiali erano finiti sotto inchiesta amministrativa in quanto sospettati di presunte irregolarità finanziarie, e l’allora comandante Mauro Antonini era stato trasferito a Berna per permettere di svolgere l’inchiesta. Poco dopo (ma nel 2020 è stato scagionato) un ufficiale era stato accusato di molestie da parte di due colleghe. Inoltre diversi impiegati si erano lamentati a Berna, tramite una missiva, del clima di lavoro. I fili di questa vicenda li si stanno tirando in questi giorni, di fronte al Tribunale Militare 3 presieduto dal giudice Mario Bazzi: alla sbarra vi sono l’ex comandante Antonini e un 61.enne ex capo dello Stato maggiore. Sono accusati di aver creato, alimentato e gestito una cosiddetta «cassa nera» tramite la quale hanno pagato delle spese di rappresentanza e delle necessità di servizio. I due riconoscono questi fatti ma si professano innocenti rispetto alle accuse di reiterata gestione infedele, reiterata falsità in documenti e appropriazione indebita mosse nei loro confronti dal promotore dell’accusa, l’uditore Martino Righetti. Oggi c’è stato il tempo solo per interrogare i due imputati (la mattinata è stata spesa a liquidare questioni pregiudiziali), mentre domani sono attese requisitoria e arringhe e, forse, anche la sentenza.

Poche migliaia di franchi

Ai due si imputa, in sostanza, di aver fatto un uso improprio di alcuni premi di prestazione e in natura che sarebbero dovuti essere erogati al personale. Cifre che si possono tutto sommato definire contenute, tanto che forse più che di cassa nera si dovrebbe parlare di «cassina». Vi sono confluiti in tre occasioni circa 7.000 franchi in tutto, poi spesi in quasi 10 anni, fra il 2009 e il 2018. Ma, si legge sull’atto d’accusa, «se il servizio competente presso l’Amministrazione federale delle dogane avesse saputo che i premi, o parte di essi, sarebbero stati utilizzati per la creazione di una cassa nera, con ogni probabilità, non li avrebbe concessi».

Inoltre la cassa nera è stata in parte alimentata con 1.500 franchi residui dallo scioglimento di un Circolo culturale delle guardie di confine. Soldi che dovevano però essere destinati all’Associazione sportiva delle GdC. La tesi accusatoria è che Antonini abbia deciso di immetterli nella cassa nera perché l’Associazione «non necessitava di denaro».

«Difficile dirgli di no»

Fermo restando il riconoscimento dell’esistenza e dell’uso della cassa nera gli imputati, in inchiesta e durante il dibattimento oggi, hanno dato versioni discordanti fra loro sui fatti, scaricandosi vicendevolmente la responsabilità. L’ex capo dello stato maggiore, difeso dall’avvocato Daniele Meier, ha in sostanza affermato che la creazione della cassa sia stata un’idea di Antonini: «Il comandante ci teneva a trovare momenti conviviali, ma poi avevamo superato il budget per questi eventi. Gliel’ho fatto presente e mi ha chiesto se non si poteva trovare il sistema di creare una piccola somma da gestire internamente. Io gli ho detto che non era possibile ufficialmente, ma è difficile dirgli di no, perché si contraria subito e fa il broncio. Quindi ho accettato. Non dovevo farlo ma non me la sono sentita di dir di no». La soluzione trovata per alimentare la cassa, ha poi spiegato, è stata quella di farsi versare settemila franchi a mo’ di premio di prestazione e poi di ritornarne cinquemila in contanti.

Diversa la versione di Antonini, difeso dall’avvocato Elio Brunetti: «Quell’anno avevo dato ordine di non dare premi agli ufficiali, ma il mio coimputato aveva fatto prestazioni degne di essere premiate. Gli avevo così dato settemila franchi. Poi però ho pensato che l’importo era sproporzionato rispetto agli altri, a cui non avevo dato niente, e quindi al rientro dalle vacanze gli ho chiesto di restituire cinquemila franchi. Sono sorpreso che abbia accettato. E con questi soldi è stato deciso di costituire il fondo - non mi piace parlare di cassa nera - a disposizione del comando».

La cassa nera era poi stata alimentata in altre due occasioni: con i soldi del Circolo culturale e con dei premi sotto forma di buoni Coop. Antonini ha sostenuto di essere all’oscuro di queste due operazioni, mentre l’ex capo dello stato maggiore ha affermato che si è trattato di questioni discusse in sede di comando e per la quale l’ultima parola spettava ad Antonini. Per l’accusa, i due hanno agito in correità.

Il significato di un licenziamento

Parte dell’interrogatorio oggi è stato speso a raccogliere le versioni dei due imputati sulle circostanze che hanno portato al licenziamento da parte di Antonini dell’ex capo dello stato maggiore. Più che giustificato secondo l’ex comandante (che da qualche mese non è più impiegato presso le dogane), pretestuoso secondo il diretto interessato. Un tema che comunque ha scaldato gli animi sia fra imputati che fra avvocati. E non è ancora chiaro che rilevanza possa avere in questo procedimento, al di là del testimoniare i rapporti tesi fra i due quando sono emerse le magagne - o presunte tali - in seno al Corpo. Le ombre verranno verosimilmente schiarite domani fra requisitoria e arringhe.