La storia

La clavicembalista locarnese che va in cerca di cetacei

Incontro con Sara Osenda, di mestiere musicista, insegnante, «voltapagina» di spartiti per pianisti e collaboratrice a un progetto sui capodogli del Mediterraneo
Sara Osenda alla tastiera del suo adorato clavicembalo, costruito sul modello di uno strumento del ‘700. ©TiPress/Pablo Gianinazzi
Barbara Gianetti Lorenzetti
Barbara Gianetti Lorenzetti
11.10.2019 06:00

Per fare ciò che fa sono necessari sangue freddo e la capacità di rendersi invisibili. No, non è una «stuntwoman» e nemmeno una spia. Ha una poliedrica esistenza, certo, Sara Osenda (musicista di Minusio che va anche in cerca di capodogli), di professione è clavicembalista. Poi si è inventata una carriera da «voltapagine». Ed è così diventata una sorta di angelo custode per tanti colleghi pianisti, alcuni anche di grande fama. Che la apprezzano, tanto da averla trasformata in una risorsa insostituibile per le Settimane musicali di Ascona, che si concluderanno proprio stasera (con l’OSI e Pierre-Laurent Aimard) e sulla cui ribalta è tornata sotto i riflettori. Là seduta – attenta e discreta – dietro la spalla sinistra del solista di turno. Che, senza di lei, non potrebbe aspirare alla perfezione.

Questione di precisione

Sì, perché, spiega la stessa Osenda al Corriere del Ticino, «la musica – soprattutto la classica – è tutta una questione di precisione. Non si pensi che i pianisti non siano in grado di girarsi le pagine da sé, ma per farlo sono spesso costretti a non rispettare perfettamente lo spartito. Il che, soprattutto ai più alti livelli, non è accettabile. Il musicista ha infatti bisogno di poter eseguire il brano esattamente com’è scritto. Si tratta di una premessa fondamentale per poi potervi costruire la propria interpretazione e renderlo unico». Ed è qui che entra in gioco Osenda, la quale sa di cosa parla, essendo concertista lei stessa.

Gli esordi da studente

«Ho cominciato a sfogliare spartiti – come molti allievi del conservatorio – quando ero ancora studente – prosegue –. A quei tempi i ‘voltapagine’ erano molto ricercati grazie alla RSI, che li richiedeva per ogni sua produzione». Così Osenda è diventata una sorta di terza mano per i colleghi che siedono al piano (strumento di cui, assieme al clavicembalo, è pure insegnante). Non si pensi, però, che nel ruolo ci si possa improvvisare. «Essere musicisti ovviamente è fondamentale. Ma, soprattutto per i concerti importanti, la preparazione è indispensabile. Bisogna studiarsi bene lo spartito e, se non lo si conosce, magari ascoltarsi anche il brano». Già, perché per il «voltapagine» perdersi fra le note è ovviamente vietatissimo. «Certo, a volte può capitare – confessa la nostra interlocutrice – ma poi ci sono i trucchi per recuperare. Come seguire i movimenti della mano sinistra del solista, per individuare il punto in cui si trova sullo spartito».

Se, a prima vista, quella del «voltapagine» potrebbe apparire un’attività marginale, al di là dell’importanza per il musicista che si sta esibendo, anche per lo stesso «aiutante» si tratta invece di un lavoro arricchente.

Energia condivisa

«Premesso che ti permette di guadagnare qualcosa, offre anche l’occasione di affiancare, talvolta, musicisti davvero eccezionali e di percepirne l’energia». Già, perché sul palco è spesso questione di incroci di energia. «Il che – prosegue Sara Osenda – può anche farti sentire come un ‘terzo incomodo’... Succede, ad esempio, quando il pianista suona con un altro collega che conosce bene. Allora senti il forte legame fra loro e hai quasi paura a muoverti per non intrometterti in quella magica relazione musicale ed emotiva». Gli aneddoti legati all’esperienza di «voltapagine», poi, si sprecano. Come la maledetta sedia scricchiolante che ha rischiato di rovinare un concerto, il famoso solista che le chiese di togliere le scarpe perché erano «troppo rumorose», la richiesta di girare pagina in perfetta sincronia con una collega per non rovinare con troppi fruscii la registrazione di un brano per due pianoforti o quella volta che, durante un’esibizione all’aperto, fu costretta a difendere il pianista che suonava dall’assalto delle zanzare.

Rapporti molto speciali

Difficile, per Osenda, stilare una lista degli incontri più significativi. Pescando qua e là, ricorda «il grande Bruno Canino, che mi ringraziava con un cenno ad ogni pagina girata». O Nelson Freire «che, con le mani piene di artrosi, ha suonato come un angelo». E, naturalmente, Francesco Piemontesi: «il direttore delle Settimane lo seguivamo già da piccolo come un vero fenomeno. A volte suona con un trasporto tale, che rischiamo qualche capocciata».

Lo spazio è tiranno, ma non possiamo non accennare ai capodogli... «Da una ventina d’anni durante l’estate mi occupo di bioacustica di questi cetacei, al largo dell’isola di Ischia, nell’ambito di un progetto di ricerca nel Mediterraneo. Li individuiamo e li cataloghiamo. A volte capita di immergersi in mezzo a loro. Un’emozione unica e indescrivibile». Paragonabile, forse, a quelle suscitate dalla musica.