L'intervista

«La diocesi luganese è vacante ormai da troppo tempo»

Dom Mauro-Giuseppe Lepori, 66 anni, è uno degli uomini di Chiesa ticinesi più influenti – Da quasi 15 anni, infatti, è abate generale dell’Ordine cistercense
© CdT/ Chiara Zocchetti

Dom Mauro-Giuseppe Lepori, 66 anni, è uno degli uomini di Chiesa ticinesi più influenti. Da quasi 15 anni, infatti, è abate generale dell’Ordine cistercense, carica alla quale è stato eletto il 2 settembre 2010 per poi essere riconfermato il 10 ottobre 2022. Nato a Lugano e cresciuto a Canobbio, si è laureato in Filosofia e in Teologia a Friburgo. Ha pronunciato i voti monastici il 17 maggio 1986 ed è stato ordinato sacerdote il 10 giugno 1990.

Qual è stato il suo rapporto personale con Papa Francesco?
«Non ho avuto un rapporto diretto e personale, ma un legame significativo tramite l’Unione dei Superiori Generali. Francesco ha voluto incontrarci in momenti riservati, come religiosi tra religiosi, per dialogare apertamente, vivendo momenti che hanno segnato il nostro cammino. L’ho incontrato anche nei Sinodi, in particolare quello sui giovani nel 2018 e quello sulla sinodalità. In questi contesti, il Papa era molto presente e accessibile. Anche se non avevamo una relazione privata, era sempre disponibile a parlare, salutarci, ascoltarci».

Qual è, secondo lei, l’eredità spirituale del pontefice argentino?
«È stato un Papa che ci ha provocati. Talvolta pure turbati, con parole o gesti che non capivamo subito. Ma questo è proprio il senso della provocazione: una chiamata ad ascoltare più profondamente. Il suo richiamo agli ultimi, agli scartati, è chiarissimo. Altre cose le comprenderemo solo con il tempo. Giovedì mattina ho pregato mezz’ora accanto alla sua salma, chiedendomi: l’ho ascoltato davvero? Forse l’eredità più profonda non è quella evidenziata dai media, ma quella nascosta, più esistenziale. Una riforma della Chiesa che è anche conversione interiore».

Una conversione che la Chiesa proseguirà, lungo la strada da lui indicata?
«La Chiesa deve seguire la strada di Cristo. Ciascun Papa ci accompagna per un tratto. Francesco ci ha aiutato, e il prossimo Papa lo farà a modo suo. L’eredità di Francesco non è solo sua, è un tratto della sequela di Gesù. La Chiesa non cammina nel nome di un uomo, ma nello Spirito Santo».

Lei è abate di un grande e secolare ordine monastico: come vede oggi la situazione della Chiesa?
«È un tempo di riforma, di rinnovamento. Siamo in continuità col Concilio Vaticano II, ma c’è anche una certa stanchezza. Il rapporto con i giovani, con il mondo, è in crisi. Eppure, ci sono segni profetici, doni dello Spirito che ci stimolano a camminare. In un’epoca dominata dai giochi di potere, la Chiesa è tra le poche realtà che continua a parlare di senso, di vita. Come diceva papa Francesco, non dobbiamo conquistare spazi di potere, ma generare processi di vita».

Bergoglio è stato un gesuita, lei è un cistercense: appartenere a un ordine religioso può essere un vantaggio per un Papa?
«È un’esperienza formativa. Non che i Papi provenienti da un altro percorso non abbiano la stessa profondità, ma chi vive in una comunità religiosa coltiva in modo particolare la vita comune, la preghiera, la Parola. Francesco era profondamente gesuita: nel metodo, nel discernimento, nella forma di governo. Un altro carisma porterebbe altri accenti. In ogni caso, l’importante è il cammino nella sequela di Cristo».

Scendendo nel microcosmo ticinese: pensa che il prossimo Papa dovrà risolvere la situazione della sede vacante a Lugano?
«Senza dubbio. La sede di Lugano è vacante ormai da troppo tempo, e non è una questione marginale. È una diocesi viva, con tante sfide, che ha bisogno di una guida stabile. Sono convinto che il prossimo Papa possa occuparsene rapidamente. È una responsabilità importante, anche simbolicamente, per il legame tra la Chiesa svizzera e Roma».

Quando Francesco le propose la diocesi di Coira, cosa pensò?
«“Chi è il matto che ha avuto quest’idea?”. Non ne avevo mai parlato con il Papa, e per fortuna non sono stato scelto. È stato un attestato di stima sorprendente, che ancora oggi fatico a capire».

Nella lettera di Natale ai suoi confratelli lei ha scritto che papa Francesco ci ha chiamati ad essere testimoni di speranza. Cosa significa oggi testimoniare la speranza?
«La speranza cristiana non è solo fiducia in un futuro migliore. È credere che Gesù risorto è presente oggi, guida il mondo e non ci abbandona. È una speranza che nasce dalla relazione con Lui. Anche chi vive in condizioni disperate può vivere una speranza profonda. Non perché le cose vadano bene, ma perché sa di essere amato e accompagnato. Francesco ce lo ha testimoniato con forza. Fino al suo ultimo giorno».