La «nefanda» senza il suo lago svela macerie e vecchi ricordi

Anna Gnesa la chiamava «la nefanda». Insomma, ci andava giù pesante. In effetti, c’è stata un’epoca in cui l’idea di costruire proprio lì, all’imbocco di una delle valli più strette, scomode e ripide del Ticino, una gigantesca diga, non piaceva. Scriveva ancora la maestra di Brione Verzasca nel libro Lungo la strada: «Qui natura e opera umana erano una volta così concordi. E adesso: l’opera umana ha violato la natura, dal bacino idroelettrico alle casette nuove di vacanza». Il sentimento di Anna Gnesa nei confronti del muro di calcestruzzo e del nuovo bacino della diga della Verzasca - preziosi simboli di un cantone che stava abbracciando il progresso, che guardava avanti - non era un’eccezione. In particolare a Vogorno, unico Comune della valle a votare contro la costruzione della diga e a impugnare, senza successo, la decisione di fronte al Tribunale federale. Fra gli abitanti i motivi erano diversi: alcuni pratici, altri di principio, altri ancora di cuore. Eppure c’era una ragione più ancestrale, istintiva. La paura. Nei confronti di un certo tipo di progresso, sicuramente. Ma anche perché - proprio durante i lavori di costruzione della diga, cominciati nel 1961 - ci fu la tragedia del Vajont. Era il 1963 e la Verzasca sarebbe stata inaugurata di lì a tre anni. Normale, quindi, pensare a quel dramma e collegarlo a ciò che stava avvenendo proprio lì, pochi metri sotto il paese.
Le paure
I timori della gente del posto si risvegliavano spesso durante la notte. Mentre il bacino si riempiva con decine di milioni di metri cubi d’acqua, infatti, si udivano «come dei botti improvvisi», ci racconta Ivo Bordoli, sindaco di Verzasca. Ma si avvertivano anche «piccoli sismi», spiega invece Carla Rezzonico Berri, docente e autrice di alcune pubblicazioni storiche sulla valle Verzasca. La spiegazione a questi fenomeni la ritroviamo in un’edizione del «Dovere» del 1965. «Le affermazioni delle popolazioni rivierasche circa l’esistenza di microsismi sovente accompagnati da colpi sono confermate», recita un comunicato dell’allora Dipartimento delle pubbliche costruzioni. Attraverso registrazioni sismografiche e acustiche, gli specialisti avevano in seguito appurato la causa: «All’origine dei microsismi vi sono delle rotture improvvise di parti di roccia che si possono localizzare in un limitato comprensorio, al di fuori della zona della diga». Fra Sant’Antonio e Vogorno appunto, all’imbocco della val Porta.
Arriva l’acqua
Un problema legato all’acqua, dunque, che prendeva man mano possesso dei suoi nuovi spazi «spaccando» superficialmente la roccia. E ricoprendo ogni cosa sul fondovalle. Nelle prossime settimane, e per la prima volta in oltre cinquant’anni, il bacino della Verzasca verrà interamente svuotato, come spieghiamo nell’articolo in basso. Si potrà dunque riscoprire tutto ciò che l’acqua ha celato in questi anni. E riaffioreranno i ricordi di un tempo, legati a quella valle «accessibile solo a chi sapeva arrampicare», come dicevano una volta i nostri vecchi.

Un mucchio di pietre
Già, ma che cosa si potrà riscoprire sotto il lago una volta che l’acqua sarà stata interamente inghiottita dagli scarichi della diga? «Mi aspetto di trovare un ambiente spoglio, quasi lunare», dice Carla Rezzonico. La vecchia frazione di Vogorno, Pioda, così come quella di Mergoscia, Tropino (o Tropìn in dialetto), non esistono più. «Ci sarà solo un mucchio di pietre», afferma il sindaco Bordoli. Ma non a causa dell’acqua. «Prima di procedere con il riempimento del bacino, le case sono state minate e distrutte». Non si conosce il motivo della demolizione completa delle due località. Tuttavia si sa che sono stati i militari, «probabilmente i granatieri di Isone», afferma Bordoli. «Ho assistito all’esplosione dal ponte. Un boato, una nuvola di polvere». E poi, appunto, macerie. All’epoca Pioda - non distante dal fiume sul fondovalle - ospitava l’ufficio postale di Vogorno, un distributore di benzina, un paio di osterie. «E anche una falegnameria, in seguito ricostruita più in alto», ricorda Rezzonico. «In tutto ci vivevano circa una trentina di persone», aggiunge Bordoli. Sommersi dal lago anche i vigneti terrazzati che da Vogorno scendevano a picco verso Pioda. «Dall’altra parte della valle si può invece intravedere il vecchio stand di tiro», indica il sindaco. Il manufatto è visibile già in questi giorni, dato l’abbassamento del livello del lago. «Sulla parete di roccia si possono notare i buchi provocati dai colpi di fucile. Noi, da bambini, andavamo là a raccogliere i bossoli in ottone da usare come birilli». E gli alberi? Che fine hanno fatto? «Il fondovalle è stato interamente disboscato», spiega Rezzonico. «Ricordo ancora il continuo rumore delle motoseghe». «Erano in gran parte boscaioli bergamaschi», precisa da parte sua Bordoli. Le poche opere umane ancora visibili sono le tracce della vecchia strada e il ponte ad arco in pietra all’imbocco della val Porta. «Ha resistito intatto tutti questi anni, è incredibile», dicono i nostri interlocutori.

«La natura si è placata»
Il bacino vuoto attirerà numerosi curiosi nei prossimi mesi. Esattamente come negli anni Sessanta, quando l’opera venne completata. Vincendo ogni scetticismo, ogni opposizione. Come sottolineò Vittorino Maestrini sul Corriere del Ticino il giorno dell’inaugurazione, il 27 ottobre 1966. «Per sei lunghi anni l’uomo ha martoriato la valle, l’ha aggredita, l’ha ferita. Le forze della natura di tanto in tanto si vendicavano, quasi a impedire che si compisse la trasformazione voluta dal progresso. Poi l’uomo vi ha collocato gli strumenti del progresso e, finalmente, s’è fermato a contemplare la sua opera. La natura si è placata, dapprima si è inginocchiata, poi ha lasciato fare, convinta a poco a poco che quel male di cui l’uomo l’aveva fatta soffrire, si tramutava poi, adagio adagio, in un suo potenziamento. Oggi l’uomo, stanco dalla lunga fatica, si è seduto e si è messo a contemplare quel che ha portato a compimento e si è convinto che, alla fin fine, non ha fatto del male alla natura, ma l’ha rivalutata».
Un inizio quasi alla chetichella, seguendo i ritmi della natura
«Certo, attualmente il lago appare basso. Ma non è nulla di strano per la stagione. Ciò che ci limiteremo a fare in questo primo periodo sarà di assecondarne i ritmi, accelerando solamente la tendenza “turbinando” una maggior quantità d’acqua rispetto a un anno normale». Chi si aspettava grandi effetti speciali, insomma, è rimasto deluso passando accanto al lago di Vogorno. Anche se gli interventi per il primo svuotamento completo nella storia del bacino verzaschese stanno iniziando, praticamente nulla di visibile segna l’avvio della poderosa impresa (la capienza media dello sbarramento, lo ricordiamo, è di 85,5 milioni di metri cubi d’acqua). «L’operazione - spiega ancora al Corriere del Ticino Andrea Papina, direttore della Verzasca SA - raggiungerà il proprio apice entro la fine del mese di marzo», quando il bacino sarà completamente «a secco». «Per ora e fino alla fine dell’anno - prosegue il nostro interlocutore - ci limiteremo a consumare più acqua del solito, raggiungendo fra Natale e Capodanno il livello minimo d’esercizio». Quei 310 metri sul mare già toccati nel 1996, in occasione della sostituzione della griglia. Successivamente, a inizio 2022 (come spiega anche un prospetto informativo appena distribuito ai Comuni), il livello sarà portato a una quota inferiore alla presa, in modo da permettere l’inizio dei lavori di rinnovo della protezione anticorrosione delle condotte.
Verso lo scarico di fondo
Ma sarà solamente tra febbraio e marzo, come detto, che si arriverà allo svuotamento completo, in modo da poter effettuare la revisione dello scarico di fondo, situato al piede della diga, a un’altezza di 278 metri sul livello del mare. Non appena questo intervento sarà completato - ci vorranno almeno un paio di mesi - si potrà iniziare a invasare nuovamente il bacino.
Ovvio che l’operazione influenzerà anche la produzione di energia. «Certo - conferma Papina -, il programma che stiamo seguendo, stilato di concerto con il Cantone (che l’ha autorizzato), avrà due conseguenze. In questa parte iniziale si produce più del consueto, in un momento solitamente non ideale per il mercato. Ma la situazione attuale gioca comunque un po’ a nostro favore. Poi, una volta raggiunto il livello minimo, avremo ovviamente un periodo di mancata produzione che non potremo più recuperare. Ma, essendo lo svuotamento un’operazione obbligata, l’avevamo messo in conto». Nel frattempo i vertici dell’azienda si sono incontrati con i Comuni toccati dall’intervento, per illustrarne loro le modalità e i possibili effetti. Spiegando anche che tutte le fasi dello svuotamento (e anche quelle successive) saranno costantemente monitorate.