Verso il voto

«La previdenza esce indebolita, ci guadagnano solo le casse»

L'intervista a Giangiorgio Gargantini, segretario regionale di Unia Ticino e Moesa
©Chiara Zocchetti
Giovanni Galli
02.09.2024 06:00

Il 22 settembre si vota sulla riforma della previdenza professionale, che prevede una riduzione dell’aliquota di conversione (con annesse misure compensative) e al tempo stesso si prefigge di rafforzare il processo di risparmio per chi ha salari bassi e/o impieghi a tempo parziale. I sindacati, promotori del referendum, sono in prima linea contro la nuova LPP. Ne parliamo con Giangiorgio Gargantini di Unia.

In breve, perché bisognerebbe votare contro la riforma della previdenza professionale, che voi definite una “fregatura”?
 «Semplicemente, perché è inaccettabile pagare di più per ricevere di meno! La riforma LPP 21 comporterà una riduzione delle rendite di cassa pensione di circa il 12% attraverso la riduzione dell’aliquota minima di conversione, a fronte di un aumento delle deduzioni salariali stimato globalmente attorno all’11,2% a seguito della riduzione della deduzione di coordinamento, dall’abbassamento della soglia d’entrata e dalla nuova struttura delle aliquote di contribuzione. Già negli ultimi decenni abbiamo subito un drastico calo delle rendite a fronte di contributi sempre più alti. Se questa riforma dovesse entrare in vigore sarebbe una vera fregatura per tutti gli assicurati. Per questo è necessario esprimere un secco no al referendum del 22 settembre».

La speranza di vita aumenta mentre i rendimenti sui mercati non sono più sufficienti per finanziare le rendite. Come sistemare le cose senza toccare l’aliquota di conversione?
 «Non facciamoci buttare ancora fumo negli occhi da cifre catastrofiste che non hanno alcuna aderenza con la realtà, come recentemente dimostrato dai calcoli errati sull’AVS. Non è affatto vero che le casse pensioni e gli istituti finanziari sono in difficoltà! Incrociando i dati della Commissione di alta sorveglianza della previdenza professionale con i conti di esercizio degli istituti previdenziali e delle assicurazioni vita è emerso che alla fine del 2023 le riserve delle casse pensioni ammontavano a ben 156 miliardi di franchi. Questo vuol dire che un importo pari all’11,8% del capitale di vecchiaia totale è stato allontanato dal suo scopo principale, vale a dire il pagamento delle rendite, andando a beneficio del settore finanziario e non degli assicurati. Inoltre, se le casse pensioni ottengono dei rendimenti medi sui mercati di circa il 5,4%, il tasso che viene riconosciuto agli assicurati è inferiore al 2%, vale a dire meno della metà. Negli ultimi decenni le pensioni sono diminuite drasticamente e ora, nonostante il tasso di copertura medio delle casse pensioni sia pari a circa il 110%, con questa riforma si vorrebbero tagliare ulteriormente le pensioni».

Secondo voi quindi il settore non ne esce nel complesso rafforzato? Perché?
 «La previdenza professionale uscirà globalmente indebolita a causa di questa riforma che ha lo scopo e l’effetto di smantellare le rendite ad unico vantaggio delle casse pensioni e del sistema finanziario».

Per anni ci sono stati travasi nelle casse pensioni dagli assicurati ai beneficiari di rendite, tramite minori interessi sugli averi di vecchiaia. Lo scopo della riforma è di limitare questi travasi estranei alla previdenza professionale. Con un no continuerebbero. Questa non sarebbe una “fregatura”?
 «Come dicevo prima, mal si comprende perché i tassi di interesse riconosciuti sugli averi di vecchiaia siano meno della metà rispetto agli effettivi tassi di rendimento sul mercato finanziario di que1gli averi. Non è più accettabile che a fronte di riserve miliardarie, si debba far ricorso al finanziamento trasversale tra assicurati e pensionati, come per altro non si fa più dal 2020 al di là dei regimi obbligatori. I premi che gli assicurati pagano sono sempre più salati: negli ultimi 10 anni sono stati trasferiti oltre 67 miliardi di franchi dagli assicurati al settore finanziario. Perché questi soldi, che sono soldi dei lavoratori e delle lavoratrici, non sono utilizzati per pagare le rendite? E perché mai dovrebbero essere ancora i lavoratori e le lavoratrici a subire una riduzione delle rendite per finanziare l’ingrassamento delle casse pensioni?».

Pagare di più per ricevere di meno recita il vostro slogan. Ma stando alle cifre ufficiali, per la maggioranza delle persone interessate dalla riforma le cose migliorerebbero.
 «Anche le cifre sullo stato dell’AVS erano “ufficiali”, salvo poi essere puntualmente smentite! Lo scorso 27 agosto l’Unione sindacale svizzera ha pubblicato delle cifre che smentiscono quanto dichiarato dalla Confederazione. Quest’ultima ha affermato che subiranno dei tagli di rendita le persone con salari superiori ai 70.000 franchi all’anno, e già questo sarebbe grave e preoccupante. In realtà, questi calcoli si basano su ipotesi del tutto lontane dalla realtà perché tenendo in considerazione le evoluzioni salariali durante un’intera carriera lavorativa, le rendite LPP saranno ridotte anche a coloro che oggi hanno salari di 54.000 franchi».

Sta di fatto che per la maggioranza degli assicurati, che dispongono anche di una parte sovraobbligatoria, la riforma non avrebbe nessun effetto. O no?
 «Falso, perché l’aliquota di conversione prevista dalla legge, si applica alla parte obbligatoria degli averi di vecchiaia di tutti gli assicurati; quindi, se la cassa pensione applica due aliquote separate (una, quella legale per la parte obbligatoria e una, inferiore, per la parte sovraobbligatoria), vien da sé che, abbassando il tasso di conversione minimo, la rendita globale finale sarà ridotta. Mentre, se la cassa pensione applica la quota di conversione cosiddetta “globale”, questa può essere inferiore all’aliquota minima prevista dalla legge solo se la rendita risultante è almeno pari alla rendita calcolata sull’avere di vecchiaia obbligatorio. Di conseguenza una diminuzione dell’aliquota di conversione minima comporterebbe de facto una diminuzione di rendita per tutti, anche per gli assicurati assoggettati al regime sovraobbligatorio».

Ci saranno persone che grazie alle compensazioni riceveranno di più. I fautori della riforma sostengono che il grosso degli assicurati non è toccato dalla riforma e che alla fine i “perdenti” sono comunque una minoranza.
 «Tutti gli assicurati saranno toccati dalla riforma perché tutti hanno una parte predominante degli averi di vecchiaia assoggettata al regime obbligatorio, oggetto di questa pessima riforma. Dunque, quindi tutti coloro che hanno un salario annuo di 54.000 franchi subiranno un netto taglio delle rendite a fronte di un aumento dei contributi».

Il Parlamento ha voluto prevedere compensazioni mirate per la generazione di transizione. Chiedere di più non sarebbe come ricorrere all’innaffiatoio?
 «Purtroppo, solo la metà delle persone che fanno parte della generazione di transizione (dai 50 anni in su) avrà diritto ai miseri supplementi di rendita previsti dalla riforma. Inoltre, è utile ricordare che anche per coloro che ne avranno diritto, non ci sarà alcun effetto netto sul reddito percepito dopo il pensionamento, poiché le prestazioni complementari saranno ridotte dello stesso importo».

La riforma prevede miglioramenti per le donne. Perché vi opponete? Non è forse un’occasione per correggere gli squilibri che avete sempre denunciato nel secondo pilastro?
 «È insopportabile che vengano utilizzati gli argomenti storici della lotta per i diritti delle donne per spingere una riforma di smantellamento delle rendite, che avrà effetti negativi sull’intera popolazione e che non cambierà di un centimetro la situazione di svantaggio delle donne all’interno del sistema pensionistico. Attualmente le donne, nel solo secondo pilastro, subiscono un gap pensionistico pari al 60% rispetto agli uomini. Questa riforma, però, se da una parte riduce la soglia d’entrata, consentendo a più persone a reddito basso di entrare nel sistema previdenziale, genera una deduzione salariale molto importante proprio per le persone con piccole busta paga, con conseguenze negative sul reddito immediatamente disponibile. Inoltre, per le persone che hanno più di un datore di lavoro, la riforma non offre alcuna soluzione, oltre a non riconoscere il lavoro non remunerato di cura e assistenza, svolto principalmente dalle donne».

 La riduzione della soglia d’accesso permetterà a più lavoratori a basso reddito (che magari svolgono più lavori a tempo parziale) di essere assicurati. Un no non rischia forse di penalizzare queste persone? «Questa riforma non rappresenta un progresso per i lavoratori a basso reddito, e ancor meno per coloro che hanno un doppio lavoro, realtà molto diffusa ma non tenuta in considerazione nella riforma. I miglioramenti che vengono proposti per i redditi bassi saranno molto costosi e peseranno notevolmente sul reddito netto di questi lavoratori e lavoratrici nel corso della loro intera vita professionale. La misera rendita a cui avranno forse diritto all’età della pensione non solo non basterà per vivere, ma non sarà in alcun modo proporzionata ai costi sostenuti. E non dimentichiamo poi che queste rendite avranno un impatto sugli importi delle prestazioni complementari».

Lamentate che chi gestisce i fondi pensione guadagna troppo. Bocciando la riforma però non cambierebbe nulla. Il vostro fine ultimo è abolire il secondo pilastro e creare una pensione di Stato unica per tutti?
 «Il nostro scopo è quello di garantire ai pensionati attuali e ai pensionati futuri una pensione dignitosa che possa permettere loro di godere a pieno dei frutti di una vita di lavoro e sacrificio. La vittoria della nostra iniziativa sulla 13. AVS è stato un chiaro messaggio: non vogliamo più vivere in povertà durante la vecchiaia. Dobbiamo rafforzare le rendite!». Come sarebbe per voi una riforma giusta? «In questo momento, l’importante è bloccare questa riforma sbagliata ed ingiusta. Poi, una discussione su un modello a pilastro unico sociale e puramente redistributivo sembra imporsi, nell’interesse dell’intera popolazione».